I presupposti. La violazione del dovere di fedeltà.L’abbandono del domicilio coniugale.La violazione degli obblighi di assistenza. La violazione del dovere di rispettare l’altro coniuge.La violazione del dovere di collaborazione e l’assunzione di decisioni contrarie all’interesse della famiglia. La dipendenza da alcol ed altre dipendenze. Le conseguenze dell’addebito
Dopo la rivoluzione copernicana costituita dalla riforma del diritto di famiglia, non esiste più nel nostro ordinamento la colpa nella separazione. Tuttavia, quello fra i coniugi che ritiene il fallimento dell’unione matrimoniale riconducile a scelte, condotte o atteggiamenti dell’altro può domandare che la separazione sia addebitata a quest’ultimo. La domanda di addebito è dunque eventuale ed accessoria alla domanda principale avente ad oggetto la separazione.
Poiché la domanda deve essere introdotta da una delle parti, spetta al richiedente dimostrare che il coniuge è venuto meno in maniera grave ai doveri connessi allo stato coniugale. Non solo, è richiesto anche che la violazione dei doveri matrimoniali da parte di un coniuge e l’intollerabilità della convivenza siano legati da un nesso causale nel senso che l’intollerabilità della convivenza sia l’effetto della violazione.
Anche tale nesso causale deve essere provato da chi chiede l’addebito. Tuttavia, in presenza di condotte particolarmente gravi e oggettivamente intollerabili si presume che tale comportamento abbia portato alla fine del matrimonio e spetta semmai al coniuge autore della violazione provare che l’unione affettiva e morale degli sposi era già finita per altra causa. Per tanto, qualora la violazione si verifichi in un contesto di crisi coniugale già in atto, non potrà darsi luogo all’addebito della separazione, non essendo riscontrabile il predetto nesso di causalità .
L’addebito della separazione è stato escluso qualora il venir meno ai doveri nascenti dal matrimonio si inserisca in una situazione interpersonale già pesantemente e irrimediabilmente compromessa talché i rapporti personali fra i coniugi siano già ridotti al solo fatto di condividere la stessa abitazione. A maggior ragione non possono essere presi in considerazione, ai fini dell’addebito, fatti accaduti successivamente all’instaurarsi di una separazione di fatto .
Il principio dell’irrilevanza ai fini dell’addebito di comportamenti che non siano la causa dell’intollerabilità della convivenza è stato portato alle sue estreme conseguenze dalla Corte di legittimità che ha affermato che non dà luogo ad addebito il comportamento del marito che, allo scopo di costringere la moglie a lasciare la casa comune e ad accettare condizioni di separazione inadeguate, tenga nei confronti di quest’ultima atteggiamenti persecutori qualora manchi la prova rigorosa della rilevanza causale di tali comportamenti rispetto alla intollerabilità della convivenza, ovvero al grave pregiudizio per la prole, ben potendo gli atti persecutori costituire la conseguenza e non la causa della crisi familiare già in atto.
La valutazione dell’esistenza o meno del nesso causale fra la condotta di uno dei coniugi e la fine dell’unione coniugale dovrà essere condotta dal giudice di merito sulla base di un accertamento rigoroso e di una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi. È possibile, infatti, che la violazione dei doveri coniugali dell’uno trovi causa in una condotta analoga o persino più grave tenuta precedentemente dall’altro. Dunque, il giudice non dovrà limitarsi a valutare atomisticamente il comportamento di uno solo dei coniugi, ma dovrà valutare il complesso dei rapporti interpersonali all’interno del matrimonio. Nel valutare il comportamento riprovevole del coniuge, non si potrà prescindere dall’esaminare anche la condotta dell’altro, procedendo ad una valutazione globale e comparativa, al fine di individuare se il comportamento censurato non sia solo l’effetto di una frattura coniugale già verificatasi.
Non sono mancate sentenze che hanno dichiarato la separazione addebitabile ad entrambi i coniugi , ovviamente sul presupposto che entrambi abbiano formulato la relativa domanda. Infatti, la violazione dei doveri coniugali operata da uno di essi come reazione immediata e proporzionata ad un torto ricevuto potrà risultare giustificata purché non si traduca in una violazione di norme imperative ed inderogabili o di norme morali di particolare rilevanza. Diversamente, una trasgressione grave dei doveri coniugali, pur se reattiva rispetto al comportamento dell’altro coniuge, dovrà essere valutata come autonoma violazione dei doveri e causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, con conseguente dichiarazione di addebito a carico di entrambi i coniugi . Nella maggior parte dei casi, comunque, la giurisprudenza di legittimità ha considerato la separazione addebitabile a quello fra i coniugi che, pur in una situazione di reciproca mancanza, ha aggredito e leso diritti fondamentali dell’altro.-
In un’occasione la Corte di cassazione ha affermato che il rifiuto prolungato di intrattenere rapporti sessuali con l’altro coniuge è causa di addebito. Tale ultima decisione appare in verità anacronistica laddove considera l’intrattenere rapporti sessuali con il coniuge un obbligo derivante dal matrimonio e rifiuta di comparare tale “mancanza” ai comportamenti dell’altro coniuge.
Una parte della dottrina richiede, inoltre, che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio sia commessa dal coniuge con colpa, sostenendo non sia possibile pronunciare l’addebito se, ad esempio, il coniuge è affetto da patologie fisiche o psichiche che lo inducono, suo malgrado, ad un certo comportamento. Ugualmente è stato escluso l’addebito laddove la condotta del coniuge volta ad imporre i propri particolari principi o la propria particolare mentalità, pur in sé criticabili, resti nell’ambito delle peculiarità caratteriali senza integrare violazione dei doveri che discendono dal matrimonio .
La giurisprudenza ormai consolidata afferma che la violazione dei doveri che nascono dal matrimonio, oltre che fondamento di una pronuncia di addebito della separazione, può essere un fatto illecito, fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c., che quindi obbliga chi lo ha commesso a risarcire il danno. Il risarcimento può essere esteso anche ai danni non patrimoniali nel caso in cui - secondo il noto orientamento che da tempo si è affermato nella giurisprudenza di legittimità - il fatto leda un diritto costituzionalmente tutelato del coniuge che subisce la violazione.
La Corte di cassazione si è trovata quindi a precisare che l’addebito, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extra-contrattuale ex art. 2043. Di conseguenza, il risarcimento del danno sarà possibile solo qualora i fatti che hanno dato luogo all’addebito integrino già autonomamente gli estremi dell’illecito extra-contrattuale.
2.2 La violazione del dovere di fedeltà
Rispetto alle domande di addebito formulate nelle aule dei nostri tribunali è possibile delineare una casistica che vede l’infedeltà del coniuge fra i primi posti.
In linea di massima, tuttavia, perché il tradimento possa essere considerato tale da giustificare una pronuncia di addebito è necessario che sia grave e ripetuto.
Di conseguenza è stato considerato rilevante ai fini dell’addebito l’esercizio del meretricio da parte di uno dei coniugi , così come il fatto che uno dei coniugi abbia intrattenuto rapporti omosessuali o abbia concepito un figlio con un'altra persona . Da segnalare, a proposito di omosessualità, che la giurisprudenza di merito ha respinto la domanda di addebito nei confronti della moglie che, pur intrattenendo (in forma riservata) una relazione omosessuale, causa della rottura del matrimonio, "non aveva coscienza e volontà di violare i doveri coniugali".
Ai fini della pronuncia dell’addebito non è necessario che la persona coniugata instauri una relazione amorosa con un terzo, essendo sufficienti anche gli insistenti approcci che un coniuge abbia posto in essere nei confronti di un terzo, pur senza successo .
È dibattuto se possa comportare pronuncia di addebito la relazione platonica che uno dei coniugi abbia instaurato con una terza persona. L’addebito è stato escluso in presenza di una relazione intrattenuta esclusivamente mediante contatti telefonici e via internet, priva delle caratteristiche di una relazione adulterina e, comunque, non tradotta in contegni offensivi per la dignità e l’onore del coniuge . Viceversa, è stata considerata rilevante una relazione che, a causa degli aspetti esteriori con cui era coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivevano, aveva dato luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, indipendentemente dall’effettiva consumazione dell’adulterio, aveva comportato offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge .
Nel caso in cui entrambi i coniugi sino venuti meno al dovere di fedeltà, l’addebito della separazione può essere posto a carico di uno solo di essi qualora sia accertata una “primazia” nella violazione del dovere di fedeltà da parte di questi che "conduca ad un giudizio di unica e unilaterale incidenza sull’irreparabile rottura dell’affectio maritalis".
Quanto all’onere della prova, grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà . La discrasia temporale fra infedeltà del coniuge e richiesta di addebito della separazione giudiziale è indice del fatto che l’infedeltà non ha causato l’intollerabilità della convivenza tant’è che essa è proseguita ben dopo la scoperta del tradimento.
La produzione in giudizio di fotografie che mostrano il marito in atteggiamenti di intimità con un’altra donna è, secondo le regole di comune esperienza, sufficiente a provare l’infedeltà coniugale . Allo stesso modo sono stati considerati prova sufficiente della relazione extraconiugale alcuni Sms dal contenuto amoroso ricevuti dal marito sul suo cellulare .
Chi deve dare in giudizio la prova dell’infedeltà del coniuge non di rado si rivolge ad un investigatore privato.
In proposito, la Corte di legittimità ha affermato che nell’ambito del processo di separazione "la relazione investigativa redatta da tecnico incaricato da una delle parti deve considerarsi prova documentale lecita e idonea a dimostrare la violazione del dovere di fedeltà, con le conseguenti ricadute in tema di domanda di addebito" .
2.3 L’abbandono del domicilio coniugale
Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già verificata, nonché in conseguenza di tale fatto.
Quanto all’onere della prova ai fini dell’addebito è stata ritenuta sufficiente la prova dell’allontanamento dalla casa familiare da parte di uno dei coniugi senza che sia necessario provare il nesso di causalità fra allontanamento e intollerabilità della convivenza che si può desumere anche in via presuntiva, mentre grava sull’altro coniuge provare la giusta causa dell’allontanamento. Pronunce meno recenti, tuttavia, hanno posto in capo alla parte che richiede la pronuncia dell’addebito l’onere di dimostrare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza, gravando, invece, sulla controparte la prova della giusta causa .
L’uscita dalla casa coniugale non porta all’addebito quando colui che si allontana dà prova della intollerabilità della coabitazione alla quale egli ha voluto sottrarsi. Sono stati considerati giusta causa di allontanamento i continui litigi con la suocera convivente e il conseguente deterioramento dei rapporti fra i coniugi.
L’abbandono della casa coniugale è giustificato, inoltre, qualora fra i coniugi sia venuta meno ogni intesa sessuale. L’assenza di intimità infatti, secondo la Corte, è indicativa di un rapporto non sereno e appagante che giustifica la violazione del dovere di coabitazione.
2.4 La violazione degli obblighi di assistenza
In generale un atteggiamento freddo e distante nei confronti del coniuge può configurare una violazione degli obblighi di assistenza morale se si protrae per lungo tempo e non appare giustificato , a maggiore ragione se vi è, da parte del coniuge, il rifiuto al dialogo e un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni e alle richieste del partner con conseguente violazione dell’obbligo di concordare l’indirizzo della vita familiare .
In tempi meno recenti è stata addebitata la separazione al coniuge che rifiutava di intrattenere rapporti sessuali con il partner .
Tema delicato è quello della malattia del coniuge a fronte della quale l’altro chieda la separazione: si discute se porre fine al matrimonio configuri, in questo caso, un abbandono del coniuge in difficoltà.
Una menzione a parte merita la malattia mentale. A tale riguardo la Suprema Corte ha affermato che il grave stato di infermità mentale di uno dei coniugi può costituire, per le modalità in cui si manifesti e per le implicazioni nella vita degli altri componenti il nucleo familiare, un elemento di così grave alterazione dell’equilibrio coniugale da determinare un’oggettiva impossibilità di prosecuzione della convivenza, cosicché, qualora il coniuge non venga meno all’impegno solidaristico nei confronti dell’altro, bensì domandi la separazione perché tale malattia è per lui divenuta causa di impossibilità di proseguire la convivenza, non può pronunciarsi nei suoi confronti l’addebito.
Qualora la malattia sia nota all’altro coniuge già prima del matrimonio "in caso di successiva separazione, il suddetto stato non può essere fatto valere ai fini dell’addebito".
2.5 La violazione del dovere di rispettare l’altro coniuge
L’aggressione fisica del coniuge e la lesione della sua integrità fisica e morale costituiscono causa di addebito della separazione anche qualora si siano manifestate in un’unica occasione.
La dignità del coniuge può essere offesa anche da atteggiamenti denigratori, da manifestazioni di disprezzo e da continue svalutazioni del partner le quali risultano tanto più gravi quanto più si manifestino anche in pubblico. In particolare, nella giurisprudenza di merito si rinviene una casistica piuttosto ripetitiva che vede uno dei coniugi denigrare l’altro perché non rispondente ai suoi canoni estetici di bellezza o eleganza o perché non istruito, fino ad accusarlo di essere un fallito dal punto di vista lavorativo e a mettere in dubbio le sue capacità come genitore.
Da segnalare la decisione che considera mancanza di rispetto "le reiterate pretese di scambio sessuale di un coniuge nei confronti dell’altro" che "violano il dovere di rispetto reciproco che si deve al coniuge non solo in quanto tale, ma in quanto persona, perché idonee a diminuire in modo progressivo la stima di sé in relazione all’altro. Tale atteggiamento, ripetuto nel tempo e unito alla circostanza che i continui rifiuti del coniuge siano stati tali da determinare la ostilità del richiedente nei suoi confronti, già da soli devono ritenersi la causa dell’impossibilità di proseguire la vita coniugale e, dunque, della separazione con addebito". In questo caso, dunque, il sottrarsi di un coniuge alle richieste sessuali dell’altro non solo non è stato stigmatizzato, ma le pressioni dell’altro coniuge sono state considerate causa di addebito.
2.6 La violazione del dovere di collaborazione e l’assunzione di decisioni contrarie all’interesse della famiglia
L’art. 143 del codice civile impone ad entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Dunque, la separazione può essere addebitata a colui che non presta alcuna collaborazione per soddisfare le necessità materiali e non materiali della famiglia o addirittura tiene una condotta gravemente pregiudizievole per la famiglia stessa. Così può fondare l’addebito della separazione il comportamento del coniuge che per osservare i propri obblighi religiosi venga meno al dovere di collaborazione nei confronti della famiglia, eventualmente imponendo pratiche che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza.
In particolare, la separazione è stata addebitata ad un marito che aveva privilegiato i doveri derivanti dall’appartenenza alla religione professata, venendo meno ai doveri elementari di assistenza e collaborazione verso la moglie privata financo della privacy domestica, a causa della continua presenza imposta al coniuge nella casa coniugale di correligionari di passaggio.
2.7 La dipendenza da alcol ed altre dipendenze
Le dipendenze sono state considerate causa di addebito, in particolare la dipendenza da alcol, sostanze stupefacenti e quella dal gioco di azzardo.
L’abuso di sostanze alcoliche da parte di uno dei coniugi protrattosi per diversi anni della vita matrimoniale consente di ritenere e presumere, sulla base dei comuni canoni dell’esperienza medica e sociale, la diretta influenza della dipendenza del coniuge sulla stabilità della coppia, logorandone e minandone le fondamenta, provocandone un’insanabile frattura e determinando una condizione di frustrazione generale di intollerabile convivenza tale da integrare la violazione dei doveri di assistenza e di coabitazione che derivano dal matrimonio.
Anche la dipendenza dal gioco d’azzardo o, comunque la consuetudine di uno dei coniugi a sperperare il denaro sui tavoli da gioco sottraendolo al ménage familiare, può dare luogo all’addebito della separazione.
Tra le forma di dipendenza si può annoverare anche lo shopping compulsivo che porti il coniuge a dedicarsi a spese smodate e inutili, spinto da un impulso irrefrenabile all’acquisto. Anche tale condizione è causa di addebito della separazione, purché permanga nella persona dedita a tale comportamento la capacità di intendere e di volere .
2.8 Le conseguenze dell’addebito
Il coniuge a cui sia stata addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento a suo favore . Egli conserva tuttavia il diritto agli alimenti qualora sussista il presupposto dello stato di bisogno richiesto dall’art. 438, comma 1, del codice civile. Gli alimenti potranno essere corrisposti solo nella misura determinata dal comma 2 della medesima norma, e quindi sono limitati a quanto necessario per superare lo stato di bisogno di chi li domanda e sono proporzionati alle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Il diritto alimentare, infatti, ha un contenuto più limitato rispetto a quello di mantenimento, ed include soltanto quanto sia necessario "per la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale".
In forza dell’art. 548 c.c., il coniuge cui sia stata addebitata la separazione perde i diritti successori nei confronti dell’altro, il quale invece conserva tali diritti nei confronti del coniuge colpevole. Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. Tale disposizione, come espressamente previsto dall’art. 585, comma 2, ultima parte, c.c. si applica anche nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
La perdita dei diritti successori come conseguenza dell’addebito è, nel contesto del diritto contemporaneo della crisi familiare, una sanzione assai poco e raramente efficace: i diritti successori, infatti, vengono comunque meno, anche per il coniuge incolpevole, come effetto del divorzio. In particolare, dopo l’introduzione - da parte del d.lsg. n. 149 del 2022 - nel codice di rito dell’art. 473-bis.49 che consente di presentare la domanda di divorzio con l’atto introduttivo del procedimento di separazione e considerando la possibilità che sia la separazione sia il divorzio siano pronunciati e passino immediatamente in giudicato nella forma della sentenza non definitiva prima della definizione del giudizio in relazione alle domande accessorie (e all’addebito in particolare), nella gran parte dei casi in cui viene chiesto l’addebito nel giudizio di separazione, il divorzio viene pronunciato con sentenza passata in giudicato mentre è ancora pendente l’istruttoria relativa all’addebito. Perciò la successiva sentenza che accolga la domanda di addebito non ha l’effetto di far venire meno i diritti successori in quanto essi sono già venuti meno per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.
La Corte costituzionale con le sentenze 28 luglio 1987, n. 286 e 27 luglio 1989, n. 450 ha stabilito che il coniuge separato con addebito può essere titolare del trattamento pensionistico di reversibilità dell’altro coniuge. Il diritto è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di cassazione: "Il coniuge superstite al quale sia stata addebitata la separazione, come già il coniuge separato per colpa nella previgente disciplina della separazione coniugale, ha diritto alla pensione di reversibilità, indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno e senza che rilevi l’attribuzione di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare".
Il fatto che l’addebito comporti, principale fra le sue conseguenze, la perdita da parte del coniuge che vi ha dato causa del diritto a ricevere un assegno di mantenimento rende l’istituto sostanzialmente iniquo e crea una situazione di squilibrio fra i coniugi. Il coniuge debole, infatti, nel caso in cui subisca una pronuncia di addebito, viene sanzionato con la perdita del diritto a ricevere un assegno di mantenimento. Al contrario, il coniuge forte può violare i doveri che derivano dal matrimonio nella consapevolezza che, anche qualora il suo comportamento fosse ritenuto ragione di addebito, non subirà alcuna concreta conseguenza. Questa è la ragione per cui, nella gran parte dei casi, la domanda di addebito viene proposta (o coltivata) solo nei confronti del coniuge debole ed è anche la vera ragione per cui le statistiche segnalano che, nell’ambito del matrimonio, è prevalentemente la moglie il coniuge a cui viene addebitata la separazione: non certo - come invece si afferma in occasione della pubblicazione di tali statistiche - per una (in realtà certamente inesistente) maggiore propensione del genere femminile a violare l’obbligo di fedeltà che deriva dal matrimonio, quanto piuttosto per la circostanza che la moglie (che nella nostra società è ancora più frequentemente il coniuge economicamente debole) non ha alcun interesse a proporre e coltivare una domanda di addebito - sostanzialmente inefficace - nei confronti del marito.
Peraltro, il giudice non ha alcuna possibilità di modulare le conseguenze sanzionatorie in funzione della gravità dei comportamenti ed è costretto a scegliere fra due soluzioni antitetiche: addebitare la separazione al coniuge debole e quindi lasciarlo senza alcuna tutela economica, oppure non addebitare la separazione e quindi lasciare i comportamenti da questi tenuti senza alcuna sanzione. Si tratta di una alternativa rigida che spesso si dimostra inadeguata al caso concreto.
13-03-2024 20:25
Richiedi una Consulenza