CASA FAMILIARE – Divisione della casa familiare
(Cc, articoli 1102, 1362 e seguenti; 1375)
La richiesta di divisione di un immobile, ai fini della cessazione dell’uso esclusivo da parte di uno dei comproprietari, deve essere supportata da una domanda giudiziale di divisione per avere effetti concreti, in conformità ai principi di effettività e buona fede contrattuale. Nella fattispecie, l’accordo di separazione conteneva una serie di compromessi per garantire un equilibrio economico tra le parti. La moglie avrebbe lasciato la casa coniugale a fronte di un assegno di mantenimento, mentre il marito vi sarebbe rimasto con il figlio, agevolandole la ricerca di una nuova abitazione fino alla vendita o divisione dell’immobile.
Corte d’Appello Torino, sezione II, sentenza 1° luglio 2025 n. 575 - Presidente rel. Marino
A CORTE D'APPELLO DI TORINO
II SEZIONE CIVILE
composta da
Marino dott.ssa Cecilia - Presidente rel.
Rivello dott. Roberto - Consigliere
Firrao dott.ssa Francesca - Consigliere
Ha emesso la seguente
SENTENZA
nel proc. n. …/2022 Cont. promosso da
P1 nata (...) a (...), residente in (...), Via (...), 50, C.F.: (...) rappresentata e difesa dall'avv. …del Foro di
Biella;
appellante
nei confronti di
C1 , nato a (...) il (...), residente in (...) (B.), via (...) n. 21, codice fiscale (...) rappresentato e difeso dagli
Avvocati …del Foro di Biella e …del Foro di Torino, unitamente e disgiuntamente tra loro;
appellato
ha emesso la seguente
SENTENZA
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 8.11.2022, P1 proponeva appello avverso all'ordinanza resa
dal Tribunale di Biella all'esito del giudizio di cognizione sommaria ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c.
dalla medesima instaurato, con il quale aveva chiesto la condanna del proprio marito alla
corresponsione di un'indennità (ovvero, in subordino, un risarcimento dei danni) per l'occupazione
esclusiva della casa familiare e relative pertinenze, che gli era stata assegnata in sede di separazione
consensuale, con diritto di occuparla in via esclusiva e gratuitamente, sino a quando l'immobile non
fosse stato venduto o ne fosse stata richiesta la divisione.
Si costituiva ritualmente parte appellata chiedendo in via principale il rigetto dell'appello e
chiedendo, in via subordinata, la riduzione dell'importo dell'indennità richiesta dall'appellante.
Depositate le conclusioni delle parti, in data 13 febbraio 2025 la causa veniva assunta a sentenza.
I MOTIVI DI APPELLO PROPOSTI DALLA SIGNORA F
a) Interpretazione della clausola n. 2
Secondo parte appellante il giudicante ha errato nel ritenere che l'accordo di separazione preveda la
necessità della richiesta giudiziale della divisione, in quanto la lettera di detto accordo è chiara nel
non prevedere altri elementi diversi dalla mera richiesta divisionale. Se le parti avessero voluto la
radicazione della divisione giudiziale, alle parole "ne chiede la divisione" avrebbero fatto seguire
l'inciso "giudiziale".
Le parti, secondo l'appellante, hanno strutturato l'accordo anche con riferimento alla loro qualità di
comproprietari della casa. Detta regolamentazione prevede l'uso e il possesso esclusivo al signor C1
fino al verificarsi a) dell'alienazione a terzi o b) della richiesta di divisione. Il giudice avrebbe dovuto
concludere che le parti vollero dare regolamentazione contrattuale alla comunione, sostituendo la
previsione di cui all'art. 1102 c.c..
Una corretta interpretazione dell'accordo ai sensi dell'art. 1362 c.c. avrebbe portato al
l'interpretazione della norma così come dalla stessa indicato.
b) Malgoverno delle norme sulla comunione applicate al caso di specie.
Il Tribunale afferma il diritto del resistente di partecipare all'esclusivo uso del bene in virtù del patto
di cui all'art. 2 ed il diritto di parteciparvi (non in via esclusiva) in forza dell'art. 1102 c.c., con la
conseguenza - secondo il Tribunale - che la ricorrente ha pari diritto di uso, ove non impedito
dall'altro comproprietario.
Dette affermazioni, secondo la signora P1 , sono ontologicamente incompatibili
La resistente ha stipulalo un patto, concedendo l'uso esclusivo all'altra parte; le parli hanno dato
attuazione al patto (nessuno ha allegato la mancata attuazione del patto), sicché è pacifico che solo
l'appellalo usa l'immobile. E se lo usa in via esclusiva non c'è spazio per indagare se sia possibile un
uso paritario e su chi abbia l'onere di provare la limitazione dell'uso paritario.
Dopo la richiesta di divisione controparte avrebbe dovuto - sempre in applicazione dei principi di
buona fede - o collaborare per la divisione o offrire di cessare l'uso esclusivo.
Ne è corretta l'affermazione del Tribunale secondo cui il resistente ha offerto l'uso paritario del bene.
c) La domanda posta a titolo di danno
Parte appellante lamenta l'errato rigetto della propria domanda di risarcimento del danno, motivata
con il comportamento inadempiente del resistente e la violazione dei canoni di buona fede.
Il signor C1 ha eccepito l'improcedibilità del procedimento per avere la ricorrente omesso la
procedura di mediazione e poi si è dichiarato indisponibile a partecipare al predetto procedimento.
Nuovamente erra il giudice nell'applicare al caso di specie solo i principi risarcitori di cui alla
comunione/divisione ignorando i patti della separazione e la loro violazione. Essendo ivi stata
prevista la possibile divisione o vendita dell'immobile quale evoluzione del loro stato di comunisti,
era dovere del resistente di partecipare attivamente alla esecuzione dei patti, in buona fede.
Egli invece si è arroccato nella colpevole non collaborazione, in violazione dell'art. 1375 c.c..
La buona fede contrattuale avrebbe imposto la partecipazione attiva al dialogo per la divisione e/o
vendita dell'immobile a fronte delle difficoltà divisionali dovute alla disomogeneità dei due
potenziali lotti, l'uno abitabile e l'altro privo di abitabilità.
Controparte, consapevole dell'onerosa e lunga procedura per ottenere dapprima, in sede di
divisione giudiziale, la pronunzia di indivisibilità e, poi, per concludere la procedura esecutiva per
l'alienazione dell'intero bene, sta sfruttando a proprio vantaggio queste circostanze abusando del
processo.
Il danno conseguente al divieto di cooperare per consentire che entrambe la parti traggano egual
vantaggio dal loro bene e conseguente all'uso esclusivo è voluto dalla prevalente giurisprudenza
essere in re ipsa.
La prova del danno è stata fornita dalla ricorrente: la mancata disponibilità dell'immobile la
costringe a vivere in alloggio in affilio.
-Spese di lite
Secondo l'appellante, poiché il giudicante aveva avvisato le parti che, in caso di mancato effettivo
impegno nel tentativo di conciliazione, ne avrebbe tenuto conto ai sensi degli artt. 116 e 96 c.p.c.,
considerando che la parte appellata ha disatteso l'impegno del giudice di partecipare attivamente al
procedimento mediazione, questo comportamento avrebbe dovuto portare il giudice ad applicare
quantomeno l'ultima parte dell'art. 92 c.p.c., compensando interamente le spese di lite.
La stessa afferma poi che il giudice, dopo avere considerato la controversia di bassa complessità,
avrebbe dovuto effettuare l'abbattimento del 50% di cui all'art. 4 reg. compensi. La causa non sarebbe
inoltre di valore indeterminabile in quanto occorreva applicare: a) il comma I dell'art. 5 del
regolamento di cui sopra , in forza del quale deve farsi riferimento al valore dei conguagli (nel caso
di specie 310,00 euro mensili), b) il comma 3 dell'art. 5, che comporterebbe che l'interesse sostanziale
della fattispecie è inferiore allo scaglione tra 26.000 e 52.000 curo. Il giudice inoltre erroneamente non
avrebbe tenuto conto del comma 7 dell'art. 4 che vieta condotte abusive, come quella tenuta
dall'appellato che non ha aderito alla mediazione. Anche sotto detto profilo il giudice avrebbe
dovuto provvedere alla compensazione delle spese o quantomeno gravarle di ulteriore pesante
abbattimento.
-LE MOTIVAZIONI DI PARTE APPELLATA
a) Interpretazione della clausola n. 2
Secondo parte convenuta è proprio l'applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e
seguenti c.c. applicati agli accordi di separazione a rendere insoddisfacente la soluzione prospettata
dalla controparte.
Con tali accordi, infatti, le parti intendevano regolare in primo luogo i rapporti familiari discendenti
dalla separazione, garantendo ad entrambi i coniugi una idonea sistemazione abitativa: alla moglie,
che rilasciava la casa familiare, in ciò aiutata anche mediante la costituzione di un assegno di
contributo nel mantenimento, evidentemente utile al fine di consentirle il reperimento di un alloggio
per sé; e al marito, che invece si vedeva assegnare la casa familiare medesima, garantendosi quindi
anch'egli la propria sistemazione post separazione: tale situazione abitativa avrebbe dovuto
mantenere una certa stabilità, almeno fino a quando la proprietà non venisse venduta, ovvero uno
dei coniugi, proprio in quanto al tempo stesso comproprietario, non avesse deciso di por line a quel
determinato stato di cose, attraverso alla divisione.
Tuttavia, proprio la considerazione della sede della separazione personale, in cui maturò l'accordo
in discussione, suggerisce di considerare che il diritto dell'odierno appellato di continuare ad
occupare la casa familiare potesse protrarsi, senza originare alcun diritto ad indennità di sorta a
favore dell'altro comproprietario (del resto espressamente escluso fui tanto che l'occupazione si
protragga) sino al momento in cui ne divenisse effettiva ed attuale una diversa utilizzazione
economica, attraverso la vendita ovvero la divisione dell'intero compendio: soltanto da tale
momento l'occupazione della proprietà da parte del marito assegnatario non sarebbe più stata
giustificata e avrebbe quindi legittimato la richiesta e la corresponsione di un'indennità all'altro
coniuge-comproprietario.
Riguardata da questa prospettiva, la corretta interpretazione della clausola della separazione
consensuale relativa alle sorti della casa familiare dovrebbe indurre a considerare, quale termine
finale dell'occupazione legittima della casa medesima da parte del marito, senza che sia dovuta
alcuna indennità, quello della effettiva divisione, perché solo da tale momento diverrebbe attuale ed
effettivo il diritto del condividente di utilizzare il lotto assegnato, mentre per il periodo precedente
dovrebbe darsi prevalenza alla considerazione della "causa" del negozio connessa alla separazione
personale e dunque alla qualità di coniugi dei contraenti.
Al più, e ove di volesse attribuire un valore di incentivo alla collaborazione da parte del marito nelle
operazioni di divisione o, rectius, un limite ad eventuali comportamenti dilatori, alla clausola
potrebbe attribuirsi il significato di far sorgere il diritto all'Indennità a partire dal momento in cui la
divisione fosse sì chiesta, ma in modo formale attraverso l'introduzione del relativo giudizio.
-L'applicazione delle norme della comunione e sul diritto dell'appellato di occupare in via esclusiva
l'immobile.
Secondo parte appellata, il provvedimento conclusivo del giudizio di cognizione sommaria adottato
dal tribunale bici lese asserisce con chiarezza che "l'occupazione da parte del resistente dell'immobile
è giuridicamente tutelata in primis ed in via esclusiva dalla suddetta clausola del verbale di
separazione " e solo in secondo luogo dallo stesso diritto civile; l'interpretazione proposta dal giudice
di primo grado della clausola attribuisce il titolo giustificativo che legittima in capo all'odierno
appellato l'utilizzo esclusivo della casa familiare, per cui ogni ulteriore indagine appare irrilevante
e ultronea.
In ogni caso, l'odierno appellato non ha mai "impedito" di utilizzare gli immobili all'altro
comproprietario, che peraltro mai ne ha fatto richiesta; e ciò nonostante che sarebbe piuttosto curioso
che il coniuge non assegnatario della casa familiare pretenda concretamente di utilizzarla.
-Sulla domanda di risarcimento del danno da mancata collaborazione alla divisione o alla vendita
degli immobili in comunione.
Parte appellata rileva di aver proposto l'eccezione di improcedibilità per mancata mediazione sul
presupposto della ritenuta necessarietà dell'incombente, e che comunque appare molto più rilevante
il rifiuto della signora P1 di aderire alla proposta formulata dal signor C1 all'udienza del 12.10.2022.
Non sussiste quindi alcun comportamento illecito da parte dell'odierno appellato, e comunque
manca la prova del danno subito.
-Spese di lite
Ribadisce sul punto di aver proposto l'eccezione di improcedibilità per mancata mediazione, che
essa è stata fatta sul presupposto della ritenuta necessarietà del l'incombente, e che comunque
appare molto più rilevante il rifiuto della signora P1 di aderire alla proposta formulata dal signor C1
all'udienza del 12.10.2022.
Afferma la correttezza dei parametri utilizzati dal giudice di primo grado con riferimento alla
disposizione di cui all'art. 6 comma VI del D.M. n. 55 del 2014 con riferimento alla fascia più bassa
compresa tra 26.000,00 e 52.000,00 euro. Né l'interesse sostanziale della originaria ricorrente sarebbe,
come afferma l'appellante, inferiore allo scaglione tra 26.000,00 e 52.000,00. in quanto, a norma
dell'art. 5 del D.M. n. 55 del 2014, "cumulando le annualità domandate fino ad un massimo di dieci"
si giunge all'importo di Euro 37.200,00 (310x12x10); se si ritenesse l'indennità richiesta dalla
controparte come connessa al diritto di uso esclusivo da parte dell'appellato, potrebbe trovare
applicazione l'art. 15 c.p.c. c l'applicazione della rendila catastale porterebbe ad un valore di
63.912,00 curo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Tutti i motivi di appello debbono essere rigettati.
-Interpretazione della clausola n. 2
Va premesso che la tesi del signor C1 secondo cui la clausola oggetto di causa deve essere interpretata
nel senso che essa ha effetto solo all'esito del giudizio divisionale, non può essere accolta in quanto
non proposta dallo stesso quale appello incidentale
Deve confermarsi quanto sostenuto dal giudice di primo grado che la dizione "fino a quando ...anche
uno dei coniugi ne chieda la divisione" deve essere interpretata nel senso che l'effetto previsto dalla
clausola decorre da quando il coniuge propone domanda giudiziale di divisione.
Ciò in ragione sia del contenuto complessivo dell'accordo di separazione che del contenuto della
specifica disposizione contenente il riferimento alla richiesta di divisione.
L'accordo di separazione, come si evince dallo stesso, contiene un insieme di pattuizioni,
evidentemente di compromesso, finalizzate alla creazione di un equilibrio economico tra le parti.
Tale punto di equilibrio prevedeva la moglie lasciasse la casa coniugale mentre il marito poteva
rimanere nella stessa con il figlio, versando però un assegno di mantenimento alla moglie,
mettendola così in una migliore condizione per trovare una nuova sistemazione abitativa, fino
appunto alla vendita ovvero alla richiesta di divisione.
Ora la modifica di tale situazione di equilibrio deve essere ancorata a dati certi, e non demandata ad
una mera dichiarazione di una parte non supportata da elementi oggettivi che comprovino in modo
certo la volontà di modificare detta situazione attraverso la divisione dell'immobile.
Dall'accordo si evince che la volontà delle parti era quella di dare stabilità alla rispettiva situazione,
sia pure con un termine finale.
Se si ritenesse d'altra parte la manifestazione di volontà sganciata da qualunque dato oggettivo la
clausola risulterebbe indeterminata
Allo stesso risultato si giunge interpretando la specifica clausola sopra richiamata "fino a quando
l'immobile non verrà alienato a terzi ovvero anche uno dei coniugi ne chieda la divisione" ai sensi
dell'art. 1362 u.c. e secondo il principio di buona fede.
Poiché la vendita è ancorata al dato effettivo dell'intervenuta alienazione a terzi, anche la parte
relativa alla divisione, per coerenza e senso complessiva della clausola, deve essere interpretata in
modo conforme al predetto principio di effettività. quindi con necessità, per il venir meno del diritto
del marito al "uso e possesso esclusivo " della casa, della proposizione di domanda giudiziale di
divisione.
-La domanda di risarcimento danni
Anche tale punto dell'appello deve essere rigettato.
Le parti affrontano infatti questa causa in ragione del contenuto di un accordo di separazione, frutto,
come già si è detto, di compromesso contenente una clausola che, per il suo contenuto letterale,
determina la necessità di interpretazione, e delle dichiarate difficoltà economiche delle parti,
A ciò si aggiunge che, se da una parte, il convenuto non ha cooperato al procedimento di mediazione,
dall'altra anche l'appellante non ha aderito ad una proposta conciliativa proposta dal marito (verbale
del 12.10.2022) che prevedeva la nomina di un tecnico per formare due fotti dell'immobile, con
assegnazione a sorte, in caso di mancato accordo, di ciascun lotto, e che era quindi era una base per
un accordo in sintonia con la previsione di divisione del bene prevista nell'accordo di separazione.
In base alla valutazione complessiva del comportamento delle parti, non può ritenersi sussistente
alcun comportamento illecito da parte del signor C1
-Le spese processuali
Per quanto riguarda la richiesta di parte appellante di compensazione delle spese di primo grado in
ragione del comportamento dell'appellato, essa non può essere accolta per le ragioni appena
indicate. Si ritiene poi che il giudice di primo grado ha correttamente applicato il valore
indeterminabile minimo, con riferimento, come indicato dalla parte convenuta, al comma VI dell'art.
5 del D.M. n. 55 del 2014. Peraltro, applicando i criteri indicati da parte convenuta, sopra riportati, il
valore della causa rientra nello scaglione da Euro 26.000,00 a 52.000,00.
Altrettanto correttamente il giudice ha fatto riferimento al valore medio all'interno dello scaglione,
in ragione delle media difficoltà della causa e delle problematiche poste dalle parti.
Per quanto riguarda le spese processuali di questo grado di giudizio, considerando che per effetto
della trattazione di primo grado essa risulta di minore complessità, si applica lo scaglione del valore
indeterminabile di complessità bassa, valore minimo, con aumento del 20% considerando che parte
appellata ha redatto gli atti con possibilità di ricerca testuale ai sensi dell'art. 4 del D.M. n. 55 del
2014. Sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, primo periodo, D.P.R. 30 maggio
2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte d'Appello di Torino - Sezione Seconda Civile
disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione,
definitivamente pronunciando sull'appello proposto da P1 avverso l'ordinanza ex art. 702 bis c.p.c.
pronunciata dal Tribunale di Biella in data 13.10.2022,
rigetta l'appello;
dichiara tenuta e condanna parte appellante a rimborsare a parte appellata le spese legali sostenute
per il presente giudizio, che liquida in Euro 4.167,60 oltre rimb. forf. 15%, iva e cpa;
dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, primo periodo, D.P.R. 30
maggio 2002, n. 115.
Conclusione
Così deciso in Torino, il 28 giugno 2025.
Depositata in Cancelleria il 1 luglio 2025.
01-08-2025 22:56
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