Nell'ambito del diritto di famiglia, l'ammissibilità dell'applicazione del principio della tutela risarcitoria per violazione di diritti fondamentali è ormai da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare».
Violazione di diritti inviolabili del coniuge e tutela risarcitoria
Nell'ambito del diritto di famiglia, l'ammissibilità dell'applicazione del principio della tutela risarcitoria per violazione di diritti fondamentali è ormai da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare».
La Suprema Corte ha inoltre precisato che la mera violazione dei doveri matrimoniali o anche la pronuncia di addebito della separazione non possono di per sé e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, poiché la tutela risarcitoria è connessa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona di rilevanza costituzionale.
Tuttavia, nella giurisprudenza di merito si sono nel tempo evidenziati orientamenti contrastanti, nel far discendere o meno dal presupposto dell'addebito della separazione il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale. In vero - come si seguito meglio si vedrà - il tradizionale contrasto sembra essere ormai superato, essendo prevalso l’indiritto giurisprudenziale secondo cui, indipendentemente dalla pronuncia di addebito in sede di separazione, è comunque esperibile una autonoma azione per il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione di cui all’art. 143 e riguardanti diritti costituzionalmente protetti (Trib. Crotone, 24 giugno 2020, n. 548).
A seguito della nota sentenza della Cassazione n. 9801/2005, vi è stato un incremento della proposizione di domande di risarcimento del danno non patrimoniale, in relazione a una lamentata violazione di doveri coniugali o genitoriali. Queste domande vengono svolte quasi sempre nell'ambito del procedimento di separazione, nonostante il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità volto anegare l'ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni nell'ambito di un procedimento di separazione, divorzio o regolamentazione dei rapporti genitoriali, che si svolge con il rito speciale e non ordinario, e dunque nonostante sia ben noto che una domanda di risarcimento danni proposta in tali giudizi è destinata a essere rigettata sotto il profilo processuale, in quanto inammissibile e improcedibile, e a non essere conseguentemente neppure esaminata nel merito.
È peraltro evidente che la proposizione della domanda di risarcimento di danno non patrimoniale proposta nell'interesse di un coniuge nel procedimento di separazione corrisponde all'esigenza di una maggiore tutela della situazione personale ed economica di quel coniuge, che si ritiene essere stata lesa dall'altro nel corso del matrimonio.
Tutela che non trova sufficiente riconoscimento nel solo criterio assistenziale sul quale è fondata l'attuale disciplina dell'assegno di mantenimento e dell'assegno di divorzio, considerato anche che l'importo di questi assegni è proporzionalmente diminuito rispetto al passato, sia per l'aumento del costo della vita e la difficoltà di mantenere l'effettivo tenore di vita pregresso, sia in virtù di un astratto principio di parità di risorse e capacità lavorativa tra uomo e donna. Le indagini svolte periodicamente dall'Istat sulla famiglia italiana in realtà non confermano affatto questa posizione di parità.
Distinzione della domanda di addebito da quella risarcitoria
Secondo l'orientamento della Suprema Corte, la misura sanzionatoria dell'addebito e la tutela risarcitoria per la lesione di diritti inviolabili del coniuge, quale persona, si differenziano sia in relazione al titolo giuridico da cui traggono fondamento, che ai loro effetti, e alla differente disciplina processuale delle rispettive domande.
Già nelle prime pronunce in materia di risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali si è precisato che «la responsabilità ex art. 2043 c.c. non può discendere automaticamente da una pronuncia di addebito nei confronti di un coniuge in quanto il Legislatore ne ha specificato analiticamente le conseguenze nella disciplina del diritto di famiglia e in quanto sussiste il rimedio della separazione personale che costituisce un diritto inquadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona», tuttavia «non può escludersi, in astratto, che sia configurabile la risarcibilità di danni ulteriori qualora i fatti che abbiano dato luogo all'addebito integrino gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità ex art. 2043 c.c.».
Si è pure affermato che, pronunciata la separazione personale dei coniugi con addebito a uno di essi, è ipotizzabile a carico di quest'ultimo una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., in quanto inadempiente ai doveri coniugali «ove venga accertata sia l'obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più doveri nascenti dal matrimonio, sia la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali».
In altri termini, la Suprema Corte è ormai pacifica nell’affermare che la violazione dei doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio, avendo questi natura oltre che morale anche giuridica, ben può integrare, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, gli estremi dell’illecito civile, dando così luogo ad una autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. (Cassazione civile, sez. I, ord. 23 febbraio 2018, n. 4470).
La tutela del risarcimento del danno non patrimoniale è dunque applicabile nell'ambito dei rapporti tra coniugi indipendentemente da una eventuale pronuncia di addebito in sede di separazione, qualora la condotta assunta da uno di essi - contraria ai doveri nascenti dal matrimonio e posta in essere nella consapevolezza di recare pregiudizio alla sfera dell'altro coniuge - sia gravemente lesiva di un diritto inviolabile, di rilevanza costituzionale, del coniuge, e abbia prodotto la conseguenza di un danno ingiusto, e sempre che fra la condotta stessa e il danno accertato sussista un nesso di causalità giuridicamente apprezzabile.
In tal senso, si è altresì espressa la giurisprudenza di merito, la quale, nell’affermare il principio dell’autonoma risarcibilità del danno da violazione dei doveri coniugali, ha recentissimamente ribadito che tale violazione non è sanzionabile unicamente con i rimedi tipici del diritto di famiglia - come, per l’appunto, l’addebito della separazione - ma può dare luogo anche ad una autonoma azione diretta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., ove si realizzi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, quali ad esempio la dignità, la salute, l’immagine o l’onore della persona (Trib. di Pavia, 04 maggio 2022, n. 627; Tribunale Roma, sez. I, 01 marzo 2017, n. 4187.
Alla diversità di titolo giuridico su cui si fondano le due domande consegue che la domanda risarcitoria è inammissibile se proposta nel corso del procedimento di separazione personale, pur se scaturente dalle medesime ragioni che sorreggono la domanda di addebito.
La tesi dell'addebito della separazione come titolo per il risarcimento del danno non patrimoniale
Di segno contrario è la tesi che ritiene l'addebito della separazione «titolo per il risarcimento del danno ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2043 c.c.», e giunge a sostenere che «il presupposto per la possibilità di riconoscere, in favore di uno dei coniugi, il risarcimento dei danni ulteriori ex art. 2043 c.c., causati dal comportamento, asseritamene dannoso, posto in essere dall'altro, è dato dalla circostanza che sia stata addebitata la separazione a quest'ultimo coniuge».
Pertanto «la contrarietà della condotta, tenuta dal coniuge, ai doveri derivanti dal matrimonio, è idonea a fondare non solo la pronuncia di addebito nella separazione, ma pure quella di responsabilità per danni all'integrità psico-fisica e più in generale alla salute dell'altro coniuge, con condanna al risarcimento del danno biologico».
Dalla considerazione dell'addebito della separazione quale titolo su cui si fonda l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, consegue il ritenere che il giudice della separazione sia competente anche in merito alla domanda di risarcimento danni.
In talune pronunce si è pure ritenuta ammissibile la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale nell'ambito di un giudizio di separazione, con il richiamo all'art. 709 ter c.p.c., introdotto dall'art. 2, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che avrebbe ampliato la possibilità di accertare la sussistenza del danno e il conseguente risarcimento nell'ambito dei procedimenti familiari.
Come sopra accennato, tale orientamento giurisprudenziale sembra essere ormai superato. La giurisprudenza, difatti, sembra orientata nel non considerare più, quale indispensabile ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., la circostanza che sia stata addebitata la separazione al coniuge. Al contrario, secondo la recente giurisprudenza, il risarcimento per la violazione dei doveri matrimoniale è sanzionabile autonomamente, senza essere in alcun modo preclusa dal riconoscimento o meno dell’addebito; essendo solo necessario che tale danno si risolva nella lesione di uno dei diritto costituzionalmente tutelati (salute, onore, dignità personale) e che di tale lesione ne sia data prova (Cass. civ., sez. VI I, ord. 19 novembre 2020, n. 26383).
12-05-2024 15:20
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