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Sentenza

L'azione di arricchimento.
L'azione di arricchimento.
Tribunale di S.Maria Capua Vetere 23 settembre 2024
Data Ud.: 23 set 2024
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Si richiamano gli atti delle parti ed i verbali di causa per ciò che concerne lo svolgimento del
processo e ciò in ossequio al disposto contenuto al n. 4 dell'art. 132 c.p.c., così come inciso dall'art.
45, comma 17, legge 18.6.2009, n. 69.
Con atto di citazione notificato il [omissis] A. A. conveniva in giudizio B. B. adducendo:
1. che in data [omissis], aveva contratto matrimonio concordatario con la sig.ra B. B., nel Comune di
[omissis], trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio, Anno [omissis], Parte [omissis], A N
[omissis], optando per il regime patrimoniale della separazione dei beni;
2. di aver vissuto inizialmente in un appartamento di proprietà del sig. A. A. sito in [omissis], e di
aver deciso di trasferirsi in una villa di proprietà della sig.ra B. B., sita in [omissis];
3. che per la ristrutturazione e l'arredamento della suddetta villa, il A. A. ha sostenuto costi per
l'esecuzione dei lavori di miglioria dell'immobile della sig.ra B. B. e per l'acquisto dei materiali e dei
mobili, per un importo complessivo di € 60.494,67;
4. che il rapporto coniugale è andato via via deteriorandosi tanto da portare le parti a separarsi, con
accordo di separazione a seguito di negoziazione assistita sottoscritto in data [omissis], al quale
faceva seguito accordo di divorzio, nelle medesime modalità, sottoscritto in data [omissis],
depositati presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria C.V.;
5. che nell'accordo di divorzio le parti hanno statuito che la casa coniugale, di esclusiva proprietà
della sig.ra B. B., restava assegnata a quest'ultima unitamente agli arredi, i mobili e le suppellettili,
che ivi si trovavano, mentre il A. A. avrebbe provveduto ad asportare dalla casa coniugale alcuni
beni, di sua esclusiva proprietà, acquistati antecedentemente al matrimonio;
6. che nel suddetto accordo di divorzio non veniva disposto null'altro in ordine alle restanti
pendenze economiche che le parti avevano deciso di regolamentarle con una scrittura privata a
latere;
7. che la sig.ra B. B. si era impegnata a rimborsare al sig. A. A. un importo forfetario per gli esborsi
sostenuti da quest'ultimo per la ristrutturazione e l'arredo dell'immobile di sua proprietà, poiché
trattandosi di mobilio eseguito su misura e acquistato in maniera funzionale alla villa della
convenuta, quest'ultima voleva trattenerlo per sé;
8. che tale volontà delle parti emerge da messaggi Whatsapp, dalla bozza di scrittura privata e dal
bonifico bancario di € 5.000,00 effettuato dalla B. B. in favore del A. A. in data [omissis], a titolo di
acconto sull'importo dovuto, con causale “rata restituzione per lavori di ristrutturazione”;
9. che ad oggi, la convenuta non ha più versato alcunché, rifiutandosi di sottoscrivere l'accordo
transattivo con il sig. A. A. benché diffidata in data [omissis];
10. che dal matrimonio, di breve durata, non sono nati figli, sicchè l'immobile di proprietà della sig.ra
B. B. non è mai stato in godimento del nucleo familiare ed i coniugi hanno vissuto in detta abitazione
appena due anni, per cui l'esborso dell'attore non è stato sostenuto in adempimento dell'obbligo di
contribuzione di cui all'art. 143 c.c., bensì i lavori effettuati avevano il solo fine di abbellire e
migliorare l'immobile;
11. che si configura un arricchimento “senza giusta causa” e la convenuta è tenuta ex art. 2041,1°co.,
c.c., a indennizzare l'attore della correlativa diminuzione patrimoniale subita per i lavori svolti,
nonché a restituite i mobili dallo stesso acquistati, ex art. 2041,2°co., c.c.;
12. che in subordine al sig. A. A. spetta il diritto ad ottenere l'indennità di cui all'art. 1150, comma 3,
c.c., nella misura dell'aumento di valore conseguito dall'immobile per effetto dei miglioramenti.
Ciò posto, l'attore rassegnava le seguenti conclusioni: 1) Accertare e dichiarare il diritto del sig. A.
A. al rimborso delle spese sostenute per l'arredo e la ristrutturazione dell'immobile di proprietà della
sig.ra B. B. e alle indennità per i miglioramenti arrecati all'immobile di proprietà di quest'ultima e,
per l'effetto, condannare la convenuta al pagamento in favore dell'attore della somma residua di €
55.494,67 o della diversa somma, maggiore o minore, che risulterà di giustizia, oltre ad interessi e
rivalutazione monetaria; 2) In alternativa accertare e dichiarare il diritto del sig. A. A. a ottenere
l'indennità di cui all'art. 1150 c.c. per le migliorie apportate all'immobile di proprietà della sig.ra B.
B., nella misura dell'aumento di valore conseguito dallo stesso, da determinarsi in corso di causa a
mezzo C.T.U., che sin da ora si chiede. Per l'effetto, condannare la sig.ra B. B. alla corresponsione, in
favore del sig. A. A. dell'indennità di cui all'art. 1150 c.c., nonché al pagamento del corrispettivo
valore dei beni mobili e degli arredi trattenuti dalla convenuta. 3) Condannare la sig.ra B. B. alla
refusione delle spese, di ritti ed onorario del presente giudizio, oltre I.v.a., C.p.A. e rimborso
forfettario per spese generali, in favore del sottoscritto avvocato.
Si costituiva tempestivamente in giudizio il convenuto contestando la domanda adducendo:
1. che non corrisponde al vero la circostanza che l'attore abbia sostenuto costi per le migliorie o per
l'acquisto dei materiali e dei mobili a proprie esclusive spese le quali sono state sostenute da
entrambi gli allora coniugi, grazie anche al rilevante aiuto economico dei rispettivi genitori;
2. di contestare la circostanza che le parti avrebbero voluto disciplinare eventuali ed ulteriori
pendenze economiche al di là degli accordi di divorzio, nonché quella circa una presunta volontà
manifestata dalla sig.ra B. B. di voler risarcire l'attore;
3. di disconoscere i messaggi Whatsapp prodotti, del tutto illeggibili, non si comprende da quale
portale siano stati estratti e privi di alcun valido contenuto e che nessun valore probatorio assume
la scrittura privata versata in atti dall'attore, non recante alcuna data e sottoscritta unicamente dal
medesimo A. A.
4. l'irrilevanza del bonifico liberamente elargito dalla sig.ra B. B. in favore del suo ex coniuge, in
quanto atto di estrema cortesia e generosità del tutto frainteso, ovvero decontestualizzato;
5. che il contributo economico che l'attore vorrà dimostrare di aver offerto, potrà essere inquadrato
come dovere di contribuire, secondo le proprie sostanze, ai bisogni della famiglia di cui all'art. 143
c.c.;
6. che la ristrutturazione dell'immobile di proprietà della sig.ra B. B. avvenne nel [omissis],
allorquando gli allori coniugi, sposati nel [omissis], convivevano già da tre anni e la convivenza è
durata per altri quattro anni dopo la ristrutturazione presso la suddetta proprietà della sig.ra B. B. ;
7. che l'adempimento spontaneo del dovere morale di cui all'art. 143 c.c., ha un proprio fondamento
giuridico nelle “obbligazioni naturali”, ex art. 2034, e si connota per l'irripetibilità della prestazione
effettuate spontaneamente;
8. l'inapplicabilità delle fattispecie di cui agli artt. 2041 co. 1, nonché 1150 co. 3, c.c. essendo del tutto
insussistenti i presupposti in fatto che giustificherebbero la richiesta indennità.
Per quanto esposto la convenuta concludeva:
Voglia l'On. Giudice Istruttore designato, rigettare la domanda attorea così come proposta, in
quanto inammissibile ed improcedibile, oltre infondata in fatto e in diritto, per i su esposti motivi
che abbiansi qui per ripetuti e trascritti;
Voglia l'On. Giudice Istruttore designato, condannare parte attrice al risarcimento del danno in
favore della parte convenuta, per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civile, da liquidarsi in
misura equitativa; Voglia l'On. Giudice Istruttore designato, condannare parte attrice, in favore della
convenuta, pagamento di spese, diritti ed onorari di giudizio, oltre a spese generali del 15%, con
accessori (CPA e IVA) come per Legge, con attribuzione allo scrivente procuratore per fattone
anticipo.
Alla odierna udienza la causa è stata discussa nelle forme di cui all'art 127 ter c.p.c. mediante
autorizzazione allo scambio anticipato di note scritte.
Nel merito la domanda è infondata.
In punto di diritto, si rileva che "nel contenzioso post coniugale i coniugi separati o separandi non
possono rimettere in discussione tutte le voci di spesa di cui ciascuno si è fatto carico nel periodo di
convivenza matrimoniale, rientrando tali spese tra quelle effettuate per i bisogni della famiglia e
riconducibili alla logica della solidarietà familiare in adempimento dell'obbligo di contribuzione di
cui all'art. 143 c.c." (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza del 21/10/2019, n. 26777). Dunque, le spese dei
coniugi per i bisogni della famiglia sono un'obbligazione spontanea che si sostiene non in vista di
una futura restituzione, ma con l'intento della reciproca assistenza: se una prestazione è dovuta
perché prevista come doverosa da una norma giuridica (art. 143 c.c.), è evidente che non è ammessa
la ripetibilità, posto che l'art. 2034 c.c. esclude la ripetizione di quanto spontaneamente prestato in
esecuzione di doveri morali o sociali. La giurisprudenza è unanime nel ritenere che poiché durante
il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura
proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316 bis, primo comma,
c. c., a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti
dell'altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il
matrimonio (cfr. Cass. 10927/2018).
Nello specifico, in controversie relative a reciproche pretese restitutorie azionate dai coniugi dopo il
fallimento dell'unione matrimoniale, si è affermato che “i bisogni della famiglia, al cui
soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell'art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli
minimi al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza
del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in
quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni
le quali sono anch'esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale” (Cass. n. 18749/2004).
Concetto ribadito dal giudice di legittimità laddove, chiamato a pronunciarsi in materia di assegno
divorzile, ha riaffermato che l'assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione
dell'immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell'altro coniuge, rientra nell'ambito
dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la
comunione di vita coniugale (cfr. Cass. Ordinanza n. 4909 del 16/02/2023).
Nel caso in esame, l'attore non ha in alcun modo provato un titolo diverso per il pagamento dei
lavori di ristrutturazione e dei mobili, non avendo neppure allegato la circostanza di averli effettuati,
in costanza di matrimonio, con finalità diversa dall'adempimento dei doveri di solidarietà familiare.
È pacifica, infatti, la circostanza che a seguito dell'intervento di ristrutturazione dell'immobile, i
coniugi hanno continuato ad abitarvi sino alla separazione avvenuta in data [omissis], come provato
dall'accordo di negoziazione per il quale, in data [omissis], la Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Santa Maria C.V., rilasciava Nulla Osta.
In definitiva, l'assunzione di tali spese da parte del coniuge rientra nell'ambito dei doveri primari di
solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia (art.143 c.c.) durante la comunione di
vita coniugale e non può essere isolatamente vagliata ai fini che qui interessano, considerandola
prova del contributo dato all'accrescimento del patrimonio dell'altro, dovendosi ritenere che
entrambi i coniugi hanno goduto, sino a quando è perdurata la convivenza, delle migliorie apportate
nell'immobile e che tali spese sono proporzionate al reddito percepito dalle parti. Inoltre, è stato più
volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, che l'azione generale di arricchimento, ex art. 2041
c.c., che presuppone la locupletazione, senza giusta causa, di un soggetto a danno di un altro, non è
invocabile per ottenere il rimborso delle spese sostenute da uno dei coniugi per il miglioramento
della casa coniugale, poiché sussiste la causa dello spostamento patrimoniale consistente
nell'adempimento di obbligazioni nell'ambito dei rapporti familiari regolate dalla legge (ex plurimis
Cass. Ordinanza n. 4909 del 16/02/2023; Cass Ordinanza n. 15243 del 12/06/2018). Circa la natura di
tale obbligazione, la giurisprudenza ha chiarito che “l'attività con la quale il marito fornisce il denaro
affinché la moglie divenga con lui comproprietaria di un immobile è riconducibile nell'ambito della
donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finché dura il matrimonio, i conferimenti
patrimoniali eseguiti spontaneamente dal donante, volti a finanziare lavori nell'immobile, giacché
tali conferimenti hanno la stessa causa della donazione indiretta” (Cassazione Sez. 3, Ordinanza n.
24160 del 04/10/2018). Del pari deve essere rigettata la domanda ex art. 1150, comma 3, c.c.,
astrattamente ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza, la quale riconosce non il diritto alla
restituzione, bensì il diritto all'indennizzo, fondato su una norma inerente il possesso, l'art. 1150 c.c.,
sul rilievo che la spesa ha incrementato il valore patrimoniale dell'immobile del coniuge esclusivo
proprietario, ma ha anche avvantaggiato, nell'uso e nel godimento, tutta la famiglia. Il coniuge non
proprietario, che pure ha usufruito del vantaggio conseguente alla ristrutturazione, ha diritto ad un
indennizzo nel momento in cui, in sede di separazione, la comunione spirituale e materiale viene
meno e, con essa, anche la situazione legittima del compossesso derivante dal vincolo matrimoniale
e dal dovere di convivenza coniugale. In altri termini, il coniuge non proprietario che abbia investito
nella ristrutturazione dell'immobile altrui potrà ottenere un indennizzo in base al disposto di cui
all'art. 1150 c.c., laddove dimostri che le spese sostenute abbiano aumentato il valore patrimoniale
dell'immobile e che siano state poste in essere, se non esclusivamente, prevalentemente per questo
fine, e non, invece, per soddisfare i bisogni della famiglia. Tale orientamento merita condivisione
soprattutto in considerazione della natura di compossessore del coniuge non proprietario (su cui
vedi anche Cass. n. 2199/1989).
Nel caso di specie, tuttavia, l'attore nulla ha provato in merito all'aumento del valore
dell'appartamento né che tali spese siano state sostenute prevalentemente per tale finalità,
emergendo al contrario che le stesse venivano poste in essere al fine di d isporre dell'abitazione in
cui il medesimo ha convissuto. La domanda non merita, quindi, accoglimento. In ordine alle spese
di lite, stante il pregresso rapporto di coniugio si ritengono sussistenti i giusti motivi per dichiararle
compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così
provvede:
• Rigetta la domanda;
• Dichiara compensate le spese di lite.


Nel contenzioso post coniugale, i coniugi separati o separandi non possono rimettere in discussione tutte le voci di spesa di cui ciascuno si è fatto carico nel periodo di convivenza matrimoniale, rientrando tali spese tra quelle effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà familiare in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’articolo 143 c.c.

Dunque, le spese dei coniugi per i bisogni della famiglia sono un’obbligazione spontanea che si sostiene non in vista di una futura restituzione, ma con l’intento della reciproca assistenza: se una prestazione è dovuta perché prevista come doverosa da una norma giuridica, è evidente che non è ammessa la ripetibilità, posto che l’articolo 2034 c.c. esclude la ripetizione di quanto spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali.

Poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli articoli 143 e 316 bis, primo comma, c. c., a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio.

L’azione generale di arricchimento, ex articolo 2041 c.c., che presuppone la locupletazione, senza giusta causa, di un soggetto a danno di un altro, non è invocabile per ottenere il rimborso delle spese sostenute da uno dei coniugi per il miglioramento della casa coniugale, poiché sussiste la causa dello spostamento patrimoniale consistente nell’adempimento di obbligazioni nell’ambito dei rapporti familiari regolate dalla legge.

Avv. Antonino Sugamele

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