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Sentenza

Assegno divorzile. Disparità reddituale e ruolo endo-familiare (legge 898/1970, articolo 5)
Assegno divorzile. Disparità reddituale e ruolo endo-familiare (legge 898/1970, articolo 5)
Di tale contributo deve tenersi conto nel valutare la funzione cosiddetta compensativa dell’assegno divorzile.

Il presupposto dell’assegno divorzile non è dato, infatti, solo dall’avere l’istante dovuto rinunciare ad occasioni di lavoro e di reddito, ma, in base alla sentenza n. 18287/2018, anche dall’aver contribuito alla formazione del “patrimonio famigliare” per tale dovendosi intendere la complessiva posizione economica raggiunta dall’altro coniuge in costanza di matrimonio

Ciò che rileva e deve essere dimostrato è che l’ex coniuge abbia effettivamente fornito il proprio contributo personale alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello personale dell’altro coniuge, a scapito del tempo e delle energie che avrebbe potuto dedicare al lavoro e alla carriera; né è necessario che tale contributo comporti il sacrificio totale di ogni attività lavorativa per dedicarsi alla famiglia, poiché la legge non richiede una dedizione esclusiva, essendo necessario e sufficiente che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa per dedicarsi di più alla famiglia; e non è necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime che hanno portato a compiere tale scelta, che, comunque, è stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge.

Corretta è stata, quindi, secondo la Corte territoriale, la valutazione effettuata dal giudice di primo grado, di una ridotta capacità lavorativa della donna in relazione sia alle patologie che all’età anagrafica, elementi la cui combinazione ha reso presumibile, in proiezione futura, il diminuire del reddito prodotto negli anni precedenti, (reddito che, comunque, anche nella sua massima espansione, era pari a meno della metà di quello dell’ex coniuge). Ciò, unitamente alla precarietà della posizione lavorativa e della situazione pensionistica dell’ex moglie, ha giustificato l’assegno divorzile anche in funzione assistenziale.
Corte d’Appello Bologna, sentenza 5 febbraio 2024 n. 268 – Presidente Rel. Montanari
Corte di Appello di Bologna
Prima Sezione Civile
riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati:
dott. Paola Montanari Presidente rel.
dott. Antonella Allegra Consigliere
dott. Rosario Lionello Rossino Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel procedimento camerale in grado d’appello iscritto al n. …/2023 R. G.,
promosso da
X (avv.ti…)
appellante
contro
Y (avv.to…)
appellato
Avente ad oggetto: appello contro la sentenza n. …/2023 del Tribunale di Forlì
CONCLUSIONI
Appellante: come da ricorso in appello
Appellata: come da memoria di costituzione
La Corte
udita la relazione della causa fatta dal Presidente rel. dott. P. Montanari;
udita la lettura delle conclusioni prese dal procuratore dell’appellante;
letti ed esaminati gli atti ed i documenti del processo, ha così deciso:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 29-1-2020 X adiva il Tribunale di Forlì chiedendo dichiararsi la cessazione
degli effetti civili del matrimonio celebrato il ***-***-2004 tra X e Y , unione dalla quale il ***-***-2007
era nato il figlio T., e rispetto alla quale ancora pendeva il procedimento avente ad oggetto l’addebito
della già pronunciata separazione ed il regime della separazione.
Y si costituiva in giudizio non opponendosi alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del
matrimonio e chiedendo la conferma delle statuizioni in essere relativamente all’affidamento del
figlio T., al contributo stabilito per il mantenimento dello stesso nonché di Y.
Con sentenza n. 310/2023 il Tribunale di Forlì: 1) dichiarava lo scioglimento del matrimonio inter
partes, 2) confermava l’affidamento condiviso del figlio minore, con collocazione presso la madre
nella casa coniugale alla stessa assegnata in conduzione; 3) regolamentava la frequentazione padre-
figlio; 4) poneva a carico del X l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio con la somma
mensile di euro 400,00, rivalutabile, oltre al 70% delle spese straordinarie, 5) poneva a carico di X un
assegno divorzile pari ad euro 350,00 mensili; 6) condannava X a rifondere Y delle spese di lite.
Con ricorso depositato in data 26-5-2023, X ha proposto appello avverso la citata sentenza chiedendo
che, in riforma della stessa, l’adita Corte dichiari non dovuto l’assegno divor zile, con condanna di Y
a restituire le somme incassate a tale titolo, oltre a rivalutazione, interessi e spese liquidatele per il
giudizio di primo grado e con condanna di Y a rifondere le spese relative ad entrambi i gradi di
giudizio.
Y si è costituita nel giudizio d'appello chiedendo il rigetto dell'impugnazione o, in subordine, e per
l’ipotesi della revoca dell’assegno divorzile, che sia posto a carico di X l’obbligo di contribuire al
mantenimento del figlio T. con la somma mensile di euro 800,00, rivalutabile, oltre al 100% delle
spese straordinarie.
Il Procuratore Generale, cui gli atti sono stati comunicati il 22-1-2024, non ha rassegnato conclusioni.
All'udienza del 23-1-2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appellante ha dedotto:
un vizio di ultrapetizione derivante dal fatto che il Tribunale ha qualificato la domanda avanzata da
Y come domanda di assegno divorzile a fronte della diversa richiesta di assegno di mantenimento;
che il Tribunale ha erroneamente ritenuto la sussistenza dei presupposti dell’assegno divorzile in
assenza di qualsiasi deduzione e dimostrazione al riguardo;
che a sostegno della richiesta di un assegno di mantenimento l’appellata aveva unicamente dedotto
la differenza reddituale tra i coniugi e motivi di tipo assistenziale senza nulla dedurre e provare in
merito al rapporto tra l’asserita insufficienza dei propri mezzi e le scelte famigliari o all’aver
sacrificato la propria attività professionale per dedicarsi prevalentemente alla vita familiare;
non esservi prova che la riduzione dell’orario di lavoro non sia dipesa da una scelta di Y per la quale
sarebbe, quindi, ben possibile ottenere il completamento dell’orario sino a raggiungere il tetto delle
18 ore settimanali;
che su tale possibilità non incide l’invalidità di Y, invalidità che sussiste sin dal 2012 senza aver
inciso sulla sua capacità lavorativa;
che il Tribunale ha errato a non dare rilievo alla consistenza patrimoniale di Y rilevata dalla GdF e
che deriva dall’essere ella cointestaria di un conto corrente presso (...) con saldo contabile di euro
91.157,97 e di un conto presso (...) con giacenza media di oltre euro 28.000 per l’anno 2021;
l’insufficienza in ogni caso del mero squilibrio reddituale in quanto il riconoscimento dell’assegno
divorzile non può prescindere da una disamina delle ragioni che lo hanno determinato e dalla prova
che esso sia causalmente ricollegato alle scelte di conduzione della vita familiare adottate in costanza
di matrimonio ed alla perdita di concrete prospettive professionali e di potenzialità reddituali.
Y si è difesa affermando:
che la richiesta di un assegno di mantenimento anziché divorzile è una modalità terminologica
irrilevante per l’individuazione del petitum;
che sin dalla comparsa di risposta la signora Y ha dedotto in merito a ragioni non solo assistenziali,
ma anche perequative assumendo di essersi trasferita da Napoli a Cesena per consentire al marito,
militare di stanza in aeronautica, di seguire il proprio progetto di carriera e di essersi dovuta
occupare in prima persona del figlio e delle esigenze domestiche (pagg. 5-6);
di aver portato avanti la propria carriera di insegnante solo attraverso sporadiche supplenze e,
quindi, con una posizione lavorativa che all’età di cinquantacinque anni la vede precaria e non le
consentirà di godere di una posizione pensionistica;
di percepire un reddito esiguo e non costante, attualmente pari a circa euro 1.000 mensili, a fronte
del quale deve pagare un canone di locazione di euro 461,41;
che la situazione di precariato fa sì che il numero delle ore assegnatele è questione sottratta al
controllo dell’insegnante e che varia di anno in anno;
che X percepisce un reddito mensile superiore ad euro 3.000,00;
che l’appellante sminuisce la condizione di salute della resistente, resa oggi ancora più complicata
dal fatto che nel 2017 alla signora Y è stata diagnosticata una "microectasia aneurismatica",
condizione pericolosa che necessita anch’essa di monitoraggio periodico;
che infondate e strumentali sono anche le affermazioni relative al presunto patrimonio della
resistente in quanto si tratta dei conti correnti riferibili esclusivamente ai genitori e di cui Y era
cointestataria formale per ragioni di mera opportunità, come evidenziato dalla stessa GdF nelle sue
relazioni;
che dato l’elevato reddito di controparte, non è chiara l’assenza di risparmi, così come è poco chiara
la decisione del signor X di non accettare l’eredità paterna.
L'appello è infondato.
Alcun dubbio può esservi sull’irrilevanza ai fini dell’individuazione del petitum del fatto che venga
richiesto un assegno di mantenimento in luogo di un assegno divorzile essendo noto che le
conclusioni rassegnate dalla parte vanno necessariamente correlate alle allegazioni di fatto dalla
stessa effettuate e la qualificazione giuridica della domanda è compito del Giudice, restando
irrilevanti le diverse qualificazioni eventualmente effettuate dalla parte.
Costituendosi nel giudizio di primo grado la convenuta allegava:
di essere la sola ad occuparsi di tutte le esigenze del figlio con conseguente necessità di valutare, ai
fini della decisione sul mantenimento dello stesso, insieme alle esigenze ed ai tempi di permanenza
presso ciascun genitore, anche le risorse economiche dei genitori e la valenza economica dei compiti
domestici e di cura assunti da padre e madre;
che i redditi del X sono due volte e mezzo superiori a quelli della signora Y e che vi è una totale
sproporzione dell’impegno genitoriale nei confronti del figlio;
non essere intervenute modifiche della situazione reddituale delle parti che potessero giustificare la
modifica degli oneri contributivi stabiliti in regime di separazione tenuto, altresì, conto del fatto che
Y aveva anche subito l’asportazione della tiroide per un carcinoma maligno per cui è stata
riconosciuta invalida al 67% e soffre da molti anni di fibromialgia, malattia che provoca dolore
cronico, stanchezza generalizzata e necessità di lunghi periodi di riposo (docc. n. 5, 6);
che per tali motivi è per ella molto gravoso il mestiere di insegnante precaria, con conseguente
impossibilità di migliorare la propria situazione reddituale e probabilità di richiesta di un part-time.
Le affermazioni secondo cui era Y ad occuparsi in via esclusiva delle esigenze del figlio e vi era totale
sproporzione dell’impegno genitoriale nei confronti del figlio, seppur effettuate in relazione al
contributo richiesto per il mantenimento dello stesso, ben potevano essere considerate anche agli
effetti della richiesta partecipazione di X al mantenimento di Y.
L’appellante non ha dedotto nel presente giudizio di aver contestato tali affermazioni o, in ipotesi,
di avere allegato di essersi occupato in prima persona delle incombenze domestiche. Correttamente,
quindi, il primo giudice ha ritenuto provate le circostanze allegate da Y e valutato che: "...la Y,
insegnante di lingua inglese, ha sempre lavorato nella scuola con contratti a tempo determinato
rinnovati di anno in anno per periodi di tempo e monte ore di lavoro variabili un arco temporale
non sempre corrispondente all’annualità scolastica, percependo quindi redditi variabili,
incrementatisi negli anni antecedenti alla presente causa di divorzio … indubbia quindi la valenza
assolutamente residuale del contributo offerto dalla resistente al sostegno economico della famiglia
in costanza di matrimonio (a fronte di redditi nell’ordine di appena euro 10.000,00 circa all’anno in
costanza di matrimonio), che può ritenersi essere stata impostata sul modello della famiglia
monoreddito nella quale il marito era impegnato prevalentemente, anche con missioni di importante
durata all’estero, nel lavoro produttivo...mentre la moglie, complice il limitato impegno lavorativo,
era dedita in via preponderante alla cura della famiglia. Circostanza della quale, quand’anche non
espressamente configurabile quale sacrificio delle aspettative professionali poiché, in ipotesi,
ascrivibile alla condizione del mercato del lavoro, ha comunque beneficiato l’intero nucleo familiare,
in termini di risparmio di spesa, ed il marito in particolare, che nella sicurezza che vi fosse la moglie
ad occuparsi degli incombenti domestici e della cura del figlio, ha potuto dedicarsi al proprio
lavoro...".
Che fosse Y ad avere un ruolo preponderante nella conduzione della casa e nell'accudimento del
figlio sono, come già detto, circostanze tempestivamente allegate in causa da Y, seppur in modo
sintetico, e da tali circostanze è logico desumere, come ha fatto il primo giudice, che Y ha contribuito
indirettamente al raggiungimento della più vantaggiosa posizione reddituale di X .
Ritiene, infatti, la Corte del tutto presumibile, in base all'id quod plerumque accidit, che il contributo
indiretto dato in ragione dei ruoli endo familiari svolti in costanza di matrimonio, costituisca ex sé
un’agevolazione per l’altro coniuge nello svolgimento della propria attività lavorativa e, quindi, nel
conseguimento della finale posizione reddituale e/o patrimoniale dallo stesso raggiunta onde di tale
contributo deve tenersi conto nel valutare la funzione c.d. compensativa d ell'assegno divorzile.
Il presupposto dell’assegno divorzile non è dato, infatti, solo dall'avere l’istante dovuto rinunciare
ad occasioni di lavoro e di reddito, ma, in base alla citata sentenza n. 18287/2018, anche dall'aver
contribuito alla formazione del "patrimonio famigliare" per tale dovendosi intendere la complessiva
posizione economica raggiunta dall'altro coniuge in costanza di matrimonio
Come sottolineato anche dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27945/2023, ciò che rileva e deve
essere dimostrato è che l’ex coniuge abbia effettivamente fornito il proprio contributo personale alla
conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello personale dell’altro
coniuge, a scapito del tempo e delle energie che avrebbe potuto dedicare al lavoro e alla carriera; né
è necessario che tale contributo comporti il sacrificio totale di ogni attività lavorativa per dedicarsi
alla famiglia, poiché la legge non richiede una dedizione esclusiva, essendo necessario e sufficiente
che il coniuge abbia sacrificato l’attività lavorativa per dedicarsi di più alla famiglia; e non è
necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime che hanno
portato a compiere tale scelta, che, comunque, è stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge.
Il principio corrisponde del resto a quanto affermato dalla Corte di Cassazione anche nell’ordinanza
n. 29195/2021 secondo la quale il mancato sacrificio di aspettative professionali ed economiche del
coniuge c.d. debole può incidere, riducendola, sulla componente perequativa-riequilibratrice
dell’assegno, ma non azzerarla ove risulti che il coniuge abbia con le proprie maggiori incombenze
familiari comunque contribuito, oltre che alla realizzazione della vita familiare, al successo
professionale ed economico dell’altro coniuge.
E questa Corte reputa che, a fronte della prova del prevalente ruolo familiare svolto da uno dei
coniugi, siano in tutto e per tutto presumibili, sia il sacrificio della personale attività lavorativa (in
termini di ricerca di opportunità lavorative, mancanza di dedizione piena all’attività lavorativa
svolta, cui notoriamente si correla la progressione in carriera, l’acquisizione di nuove capacità ed
opportunità di crescita professionale ed il maturare di una posizione pensionistica), sia i benefici
effetti sull’attività lavorativa dell’altro coniuge in termini di stabilità e carriera e, quindi, sulla finale
posizione reddituale dallo stesso raggiunta.
In base all’id quod plerumque accidit il lavoro svolto da un coniuge all’interno della famiglia agevola
l’altro coniuge nello svolgimento della propria attività professionale e, nel contempo allontana, in
tutto o in parte, il soggetto che si occupa prevalentemente del menage familiare dal proprio ambiente
professionale e/o dal mercato del lavoro, quindi dalla possibilità di conseguire posizioni o
progressioni reddituali e professionali sottoponendolo agli svantaggi futuri insiti in tale
allontanamento.
I criteri per la determinazione dell’assegno divorzile, come individuati dalla giurisprudenza già
sopra richiamata (cfr. anche Cass. S. U., 11/07/2018, n. 18287 e ancora Cass. Civ. Sez. I n. 5603/2020;
Cass., 23/01/2019, n. 1882), sono, appunto, finalizzati a riconoscere, in virtù dei principi
costituzionale di pari dignità e di solidarietà che permeano il rapporto fra gli ex coniugi anche dopo
lo scioglimento del matrimonio, il valore del contributo fornito alla conduzione del menage familiare
allorquando sia stato il frutto di decisioni prese in comune dai coniugi, libere e responsabili, che
possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo
la fine dell’unione matrimoniale.
Venendo ora al tema, sul quale l’appellante insiste, della possibilità che Y avrebbe di migliorare la
propria situazione reddituale, va sottolineato che la doglianza non si rapporta adeguatamente a
quanto in proposito argomentato dal primo giudice in relazione alla condizione di parziale
invalidità (67%) della Y valutata anche in relazione all’età anagrafica (anni 53).
L’invalidità al 67% di Y deriva, oltre che dall’intervento di tiroidectomia, anche dalla diagnosi di
sindrome fibromialgica e la riconosciuta invalidità permanente è di per sé prova sufficiente di una
ridotta capacità lavorativa derivante da tali patologie.
Corretta è, quindi, la valutazione effettuata dal Tribunale di una ridotta capacità lavorativa di Y in
relazione sia alle patologie che all’età anagrafica, elementi la cui combinazione rende presumibile,
in proiezione futura, il diminuire del reddito prodotto da Y negli anni 2018 e 2019, (reddito che,
comunque, anche nella sua massima espansione, era pari a meno della metà di quello dell’ex
coniuge). Ciò, unitamente alla precarietà della posizione lavorativa e della situazione pensionistica
di Y, giustifica l’assegno divorzile anche in funzione assistenziale.
Quanto ai conti cointestati, la difesa secondo cui si tratta di conti riferibili ai genitori di Y dei quali
ella era cointestataria per ragioni di opportunità, come evincibile dagli estratti conto che riportano
solo spese effettuate a Napoli, non è stata in alcun modo contestata.
Il dato è, quindi, inidoneo ad inficiare l’appellata sentenza anche in ordine all’ammontare
dell’assegno divorzile.
Ex art. 91 cpc X va condannato a rifondere Y delle spese relative al presente giudizio, come liquidate
in dispositivo ex DM 147/2022 atteso che l'attività difensiva è stata ultimata dopo la sua entrata in
vigore (23 ottobre 2022) esclusa la fase istruttoria in quanto non svolta.
P.Q.M.
LA CORTE
1) rigetta l’appello;
2) condanna X a rifondere Y delle spese relative al presente giudizio che si liquidano in complessivi
euro 3.000,00, oltre ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per l’appello, a norma dell’art. 13, comma 1
bis del DPR suddetto (vedi Cass. Civ. S.U. n. 23535 del 20 settembre 2019; Cass. Civ. S.U. n. 4315 del
20 aprile 2020).
Bologna, 23-1-2024
Avv. Antonino Sugamele

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