Separazioni. Collocamento preferenziale presso la madre se questo evita al minore un estenuante pendolarismo
Cass. civ., sez. I, ord., 9 agosto 2023, n. 24226
Presidente Genovese – Relatore Reggiani
Svolgimento del processo
A seguito di ricorso congiunto dei genitori, con provvedimento del 07/03/2019, il Tribunale di Reggio Emilia regolava l'esercizio della responsabilità genitoriale di questi ultimi sul figlio minore F. (nato nel …), disponendo l'affido condiviso con prevalente e preferenziale e residenza anagrafica presso la madre e prevedendo il diritto del padre a tenere con sé il figlio un week end a settimane alterne, dal sabato mattina alla domenica, con pernottamento presso la casa paterna in entrambe le serate, nonché, nella stessa settimana, il diritto a tenere con sé il figlio il lunedì e il mercoledì dall'uscita di scuola, con pernottamento. Prevedeva che nella settimana in cui il week-end era di spettanza della madre, il padre avesse il diritto di tenere con sé il figlio il lunedì e il mercoledì e il giovedì dall'uscita di scuola, con pernottamento, cui seguiva l'accompagnamento del bambino l'indomani a scuola. Il giudice stabiliva l'obbligo per i genitori, in caso di impegni lavorativi nei periodi di loro spettanza, di interpellarsi reciprocamente in via prioritaria per l'accudimento del minore. Individuava, inoltre, durante il periodo estivo, tempi di permanenza del minore presso ciascun genitore di 30 giorni, suddivisi in due tranches, e, durante il periodo natalizio, la spettanza - ad anni alterni - nel periodo compreso tra il 25 e il 31 dicembre e tra il 1 e il 6 gennaio. Stesso criterio di alternanza annuale veniva stabilito per le vacanze pasquali e le giornate del 25 aprile e 1 maggio. Veniva infine determinato nella somma mensile di Euro 250,00 il contributo al mantenimento del figlio a carico del padre.
Con ricorso ex art. 337 quinquies c.c., C.P.S. adiva il Tribunale di Reggio Emilia chiedendo la modifica del provvedimento appena descritto, con riguardo ai tempi di permanenza del minore presso la casa paterna, adducendo la sopravvenuta non conformità della regolamentazione agli interessi del minore. Deduceva la eccessiva distanza fra l'abitazione della madre/scuola materna dalla casa paterna, che costringeva a impegnativi quotidiani "viaggi" il minore, l'eccessiva alternanza madre-padre, che privava il minore della necessaria stabilità abitativa, ed aggiungeva che il padre accordava prevalenza ai propri impegni lavorativi, quando il minore si trovava con lui, e che quest'ultimo non possedeva un adeguato ambiente domestico ove ospitare il minore.
Nel costituirsi, F.A. eccepiva l'inammissibilità del ricorso, stante la mancata deduzione ex adverso di un intervenuto mutamento nei presupposti fattuali che avevano determinato il regime inizialmente concordato, contestando comunque le richieste avversarie, ritenute frutto di mere valutazioni soggettive e personali, prive di supporto probatorio, di cui contestava categoricamente la corrispondenza alla realtà. Evidenziava la piena conformità del proprio ambiente domestico all'interesse del minore, rilevando come presso lo stesso il bambino avesse creato importanti rapporti affettivi e legami sociali, diversamente da quanto accaduto presso l'ambiente materno, che solo anagraficamente rappresentava il luogo di residenza abituale, trascorrendo il figlio la maggioranza dei pomeriggi infrasettimanali presso la casa della nonna materna, sita in altro paese, a causa degli impegni lavorativi della madre. In ragione dello sviluppo dei legami del minore presso l'ambiente paterno, il F. chiedeva, dunque, in via riconvenzionale, che il Tribunale disponesse la "collocazione paritaria" del figlio, autorizzando l'iscrizione del minore, per l'anno scolastico 2020/21, presso la prima elementare nella scuola di …, paese di residenza del padre, rappresentando di avere tempo a disposizione per seguire il figlio, in ragione di impegni lavorativi solo mattutini, quale professore di scuole superiori. Proponeva, quindi, un calendario per il figlio che, pur non modificando il numero delle notti da trascorrere presso le case di madre e padre, a vantaggio della prima, garantiva al minore la presenza pomeridiana sempre di un genitore e anche maggior tempo insieme al padre, tanto da equiparare le posizioni genitoriali.
Chiedeva altresì la revoca dell'obbligo di versare alla C.P. il contributo al mantenimento del minore. In via subordinata, formulava varie soluzioni di collocamento-diritto di visita e-o in ultima ipotesi il mero rigetto del ricorso con conferma delle condizioni di cui all'originario accordo.
Fallito il percorso di mediazione familiare, con provvedimento del 19/03/2021, il Tribunale statuiva sulle richieste delle parti, ritenendo non accoglibile l'eccezione del F. riguardo al mancato mutamento nei presupposti fattuali necessari per la proposizione della domanda, affermando che era mutata la condizione professionale di F.A. , il quale, al momento della firma degli accordi, non svolgeva l'attività di insegnante, usufruendo dei benefici della l. n. 104 del 1992 per la malattia del padre, venuti poi meno a seguito della morte di quest'ultimo. Disponeva, quindi, che il minore venisse iscritto presso l'istituto scolastico sito nel comune di residenza della madre, non ravvisando concrete ragioni che giustificassero una deroga alla regola, in forza della quale, in caso di conflitto genitoriale, deve essere individuato l'istituto pubblico più prossimo al luogo di residenza del minore. In ragione di tale nuovo impegno mattutino del padre e della distanza della casa di quest'ultimo dalla città di residenza della madre e di ubicazione della futura scuola elementare stabilita per il minore, il giudice riteneva altresì destabilizzante ed eccessivamente oneroso per il minore il calendario allora vigente e, rigettate le domande del resistente, modificava le modalità di visita e frequentazione del minore nei seguenti termini: "il padre terrà con sé il figlio a fine settimana alterni, dal venerdì dall'uscita da scuola fino al lunedì mattina, quando il figlio verrà riaccompagnato a scuola dal padre; un pomeriggio a settimana dall'uscita da scuola sino alla mattina seguente; quando il fine settimana è di competenza della madre, il padre terrà con sé il figlio due giorni infrasettimanali, dall'uscita da scuola sino al mattino seguente, quando il padre riaccompagnerà il figlio a scuola. In merito alle festività natalizie, ciascun genitore terrà con sé il figlio ad anni alterni dal 25 al 31.12 e dal 01.01 al 06.01 con la precisazione che il genitore che non trascorrerà il giorno di Natale con il figlio lo terrà con sé il 24.12 (i genitori dovranno accordarsi al riguardo almeno sei mesi prima). Durante le vacanze pasquali ciascun genitore, ad anni alterni, previo accordo ad inizio di ogni anno, terrà con sé il figlio per tutte le festività pasquali e l'altro genitore lo terrà con sé per le giornate del 25 Aprile e del 1 Maggio ed eventuali "ponti". Durante le ferie estive ciascun genitore terrà con sé il figlio 30 giorni suddivisi in due periodi di due settimane ciascuno, da concordarsi entro il 31.03 di ogni anno. Durante il periodo in cui ciascun genitore è in vacanza con il figlio il calendario ordinario resterà sospeso. Ciascun genitore comunicherà all'altro il luogo prescelto per le vacanze che verranno trascorse con il figlio indicando altresì indirizzo ed eventuale recapito telefonico. Il giorno del compleanno del figlio varrà il calendario standard."
F.A. proponeva reclamo contro tale provvedimento, il quale è stato respinto con il decreto del 23/06/2022.
Avverso tale pronuncia il F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, e la C.P. si è difesa con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 710 c.p.c. e 337 quinquies c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte d'appello erroneamente ritenuto che si fosse verificata una modifica dei presupposti fattuali che avevano determinato l'adozione del precedente regime di visita padre-figlio, nello specifico con riferimento agli impegni lavorativi del padre, mentre, invece, il ricorso doveva essere ritenuto inammissibile, perché nessuna modifica era sopravvenuta alla situazione di fatto, sulla base della quale erano stati raggiunti gli accordi fra le parti, che erano stati attuati sin dal marzo 2017, mese in cui era cessata la convivenza more uxorio, quando il ricorrente svolgeva regolarmente l'attività di professore al mattino, come aveva fatto sino all'Ottobre 2018, data di inizio del concedo straordinario, poi cessato dopo la morte del padre.
Con il secondo motivo, è dedotta la nullità della decisione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c., avendo la Corte di Appello di Bologna assunto un provvedimento riguardante la vita del minore senza procedere al suo ascolto e senza motivare sulle ragioni di detta omissione.
Con il terzo motivo di ricorso, è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 ter c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, interpretato in conformità al cogente principio di parità genitoriale, avendo la Corte bolognese escluso la applicabilità del "collocamento paritario" in ragione della necessaria individuazione di un habitat preferenziale e poi individuato detto habitat in base al genere del genitore (in senso contrario alla comune discriminazione verso la donna, perché verso il padre).
Con il quarto motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame di un fatto allegato dal F. , su cui vi era stato contraddittorio tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, potendo il padre prendersi cura del minore tutti i pomeriggi, essendo professore alle medie superiori, diversamente dalla madre che lavora full time.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Dalla stessa illustrazione del motivo si evince con chiarezza che il ricorrente non ha contestato il fatto che alla data del 07/03/2019, quando è stato adottato il provvedimento che ha regolato l'esercizio della responsabilità genitoriale godesse del congedo straordinario per assistere il padre disabile, non più goduto dopo la morte del padre, intervenuta successivamente all'azione del provvedimento del Tribunale.
La contestazione attiene alla valenza di tale fatto, in termini di sopravvenienza rilevante ai fini della modifica della regolamentazione operata dal Tribunale del 07/03/2023, perché, secondo il ricorrente, la situazione era la stessa di quando le parti hanno deciso di presentare congiuntamente la domanda ex art. 337 ter c.c., anche se diversa da quella esistente al momento dell'adozione del provvedimento che ha fatto proprio l'accordo delle parti.
È pertanto evidente che la censura si fonda sulla ritenuta rilevanza di una determinata situazione di fatto che, invece, non è stata considerata dal giudice di merito. Tale censura attiene, tuttavia, al merito della vertenza, di per sé insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quale violazione di legge.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. Com'è noto, il legislatore ha previsto che l'ascolto deve essere disposto quando il minore interessato al procedimento abbia compiuto i dodici anni di età o anche quando sia di età inferiore, ma comunque risulti capace di discernimento.
Qualche problema interpretativo si pone con riferimento alla nozione di capacità di discernimento, che implica un rinvio a nozioni tratte dalle scienze psicologiche.
Tra le tante definizioni che possono essere rinvenute, senza dubbio pertinente appare quella che intende la capacità di discernimento come capacità di comprendere ciò che avviene fuori della propria sfera personale e quindi di esprimere la propria consapevole volontà e le proprie aspirazioni con riferimento a quanto si vede accadere.
A differenza della maturità, che attiene alla capacità di comprendere il significato anche morale dei propri atti, la capacità di discernimento attiene alla sfera cognitiva e affettiva, che cresce e si sviluppa nel tempo, e deve essere sempre rapportata al caso concreto.
Passando alla valutazione in termini giuridici di tale capacità, si deve subito evidenziare che le disposizioni di diritto interno costituiscono un adattamento del principio contenuto nell'art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, secondo cui, come sopra evidenziato, al fanciullo capace di discernimento deve essere data la possibilità di essere ascoltato nella procedura giudiziaria che lo concerne.
Il legislatore italiano ha operato una semplificazione, che rende più agevole gli adempimenti del processo, ritenendo ex lege sussistente la capacità di discernimento, e doveroso l'ascolto del minore, ove quest'ultimo abbia compiuto i dodici anni, senza la necessità di alcun accertamento, mentre, con riferimento ai bambini infradodicenni, ha reso obbligatorio l'ascolto solo nel caso in cui il minore risulti capace di discernimento.
In sostanza, ai fini dell'ascolto, al di sopra dei dodici anni la capacità di discernimento si presume (e non è ammessa prova contraria, ma solo cause che giustificano il mancato ascolto), mentre al di sotto di quest'età la menzionata capacità deve essere dimostrata. Ovviamente, una volta ritenuta la capacità di discernimento del minore che non abbia compiuto i dodici anni, l'ascolto non è discrezionale, ma doveroso, ove non siano presenti gli altri limiti previsti dalla legge.
Numerose, e anche risalenti, sono le pronunce che hanno ritenuto conforme alla Convenzione di New York del 1980 la normativa interna, relativa all'ascolto del minore nei giudizi volti alla sua dichiarazione di adottabilità, ove ancor prima delle previsioni generali, contenute negli art. 315 bis e 336 bis c.c. (disciplina vigente prima del D.Lgs. n. 149 del 2022), era già previsto l'obbligo di sentire il minore che avesse compiuto i dodici anni o anche di età minore ove capace di discernimento.
In particolare, Cass., Sez. 1, n. 13262 del 27/11/1999, ha affermato che, nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità a norma della l. n. 184 del 1983, art. 10 (previsto dalla disciplina previgente), i minori devono essere sentiti solo se di età superiore ai dodici anni, mentre, se di età inferiore, la loro audizione viene rimessa al prudente apprezzamento del giudice, senza che perciò possa configurarsi un contrasto tra la legge nazionale e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con l. n. 176 del 1991, giacché la suddetta Convenzione, all'art. 12, introduce l'obbligo di tener conto delle opinioni del minore in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguardi solo se si tratti di "fanciullo capace di discernimento" e "tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità". Negli stessi termini si è pronunciata Cass., Sez. 1, n. 22350 del 26/11/2004.
Più articolato è l'approccio seguito dalla S.C. nelle pronunce successive, sempre riferite ai procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità.
In tale quadro, assume fondamentale rilievo Sez. 1, n. 5676 del 07/03/2017, ove la S.C., dopo aver precisato che all'audizione del minore prevista dalla l. n. 184 del 1983, art. 15, comma 2, si applica la disciplina dettata dall'art. 336 bis c.c., ha ritenuto che da tale norma emerge una diversa modulazione dell'obbligo di ascolto per il minore dodicenne rispetto a quello di età inferiore.
Nella prima ipotesi, la presunzione della capacità di discernimento, fissata in via legislativa, impone al giudice di primo grado di prevedere, anche officiosamente, una scansione procedimentale dedicata all'ascolto stesso, da svolgersi secondo le modalità stabilite nei commi secondo e terzo dell'art. 336 bis c.c., salvo che motivatamente non ritenga l'ascolto superfluo o contrario all'interesse del minore. Il mancato ascolto del minore senza una esplicita motivazione al riguardo determina la nullità del procedimento di primo grado per omessa ingiustificata audizione del minore.
Nella seconda ipotesi, il minore deve essere ascoltato solo se ritenuto capace di discernimento. Ciò non toglie che il giudice abbia senz'altro il potere officioso di procedere all'ascolto del minore, pur quando non abbia compiuto i dodici anni, anche al fine di accertarsi della capacità di discernimento, sempre nel rigoroso rispetto delle modalità stabilite dall'art. 336 bis c.c., poiché la norma sta solo a significare che tale adempimento non è obbligatorio.
In questa ipotesi, dunque, il giudice può procedere all'ascolto e può anche non procedervi.
Ove, tuttavia, sempre in detta ipotesi, sia formulata specifica richiesta di ascolto, essendovi l'obbligo di procedere all'ascolto se il minore infradodicenne è capace di discernimento, il giudice è tenuto a motivare le ragioni per cui non procede a tale incombente, prima tra tutte quella sulla ritenuta insussistenza della capacità di discernimento e, poi, anche per le altre ragioni ostative, scattando in mancanza la sanzione della nullità processuale.
La Corte ha evidenziato, in sintesi, che l'ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo lo strumento peculiare di partecipazione alle decisioni che lo investono e al conseguimento del suo preminente interesse. Tuttavia, tale obiettivo non si realizza, per i minori di età inferiore ai dodici anni, mediante la previsione di un obbligo generalizzato ed officioso di ascolto o della correlata necessità della giustificazione espressa delle ragioni dell'omessa audizione, poiché il diritto alla partecipazione alle decisioni del giudice deve essere esercitato in modo consapevole ed effettivo.
In questi casi, dunque: 1) il giudice ha il potere discrezionale officioso di disporre l'ascolto del minore anche al fine di verificarne la capacità di discernimento; 2) il giudice deve disporre l'ascolto o motivarne l'omissione se vi è un'istanza di parte che indichi gli argomenti e i temi di approfondimento sui quali si ritiene necessario l'ascolto, scattando in mancanza la sanzione della nullità processuale; 3) il giudice non ha l'obbligo, senza sollecitazione di parte, di giustificare la scelta omissiva.
Nel caso in cui nessuna richiesta di ascolto del minore infradodicenne venga formulata, anche se manca poco al raggiungimento dei dodici anni, non è, dunque, necessaria alcuna specifica motivazione da parte del giudice che non ritenga di procedere all'ascolto, assecondando la presunzione di incapacità di discernimento dettata dalla legge.
In tale ottica, ai fini della specificità della censura in sede di legittimità, ove la parte impugni la decisione di merito davanti al giudice di legittimità, lamentando il mancato ascolto di un minore infradodicenne, deve anche dedurre di avere chiesto l'audizione dello stesso e che vi erano elementi (forniti dalla parte o comunque acquisiti al processo) dai quali emergeva la capacità di discernimento del fanciullo, fermo restando che tale onere è tanto più gravoso quanto più l'età del minore è distante dai dodici anni.
3.2. In conclusione, tenuto conto di quanto appena evidenziato, possono riassumersi i seguenti aspetti.
In base al disposto dell'art. 336 bis c.c. (disciplina previgente al D.Lgs. n. 149 del 2022), il giudice che deve adottare provvedimenti riguardanti il minore non può decidere senza ascoltare quest'ultimo, ove il medesimo sia capace di discernimento, e cioè sia in grado di esprimere una propria opinione sulla questione che lo interessa, a meno che l'ascolto non si riveli contrario all'interesse del minore o manifestamente superfluo (sempre che il minore non abbia espresso il suo rifiuto).
Se il minore ha compiuto dodici anni la capacità di discernimento si presume.
Se il bambino non ha raggiunto questa età, il giudice deve sentirlo solo se lo ritiene capace di discernimento.
La relativa valutazione è una valutazione di merito ma, se il giudice decide di non ascoltare il minore infradodicenne, e vi è espressa richiesta di procedere a tale incombente, tale valutazione deve essere esplicitata nella motivazione del provvedimento che nega l'ascolto.
Più precisamente, la motivazione non è necessaria quando nessuna delle parti chieda di procedere all'ascolto e in giudice non vi provveda.
Se, invece, l'ascolto è richiesto, il giudice, valutati gli elementi di giudizio che attengano alla capacità di discernimento, deve fornire la motivazione dell'eventuale rifiuto, la quale deve essere tanto più argomentata quanto più il minore si avvicina all'età che rende l'ascolto obbligatorio.
3.3. Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto di avere richiesto che venisse ascoltato il figlio, nato nel mese di (OMISSIS) , che, quando è stato avviato il procedimento, non aveva ancora compiuto sei anni, nè ha argomentato in ordine ad una sua precoce capacità di discernimento, sicché la censura deve essere respinta.
4. Prima di esaminare il terzo motivo di ricorso, occorre compiere alcune precisazioni.
4.1. Si deve, in particolare, rilevare che il presente giudizio ha ad oggetto il decreto pronunciato sul reclamo proposto avverso il provvedimento che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 337 ter e 337 quinquies c.c., ha statuito sulla richiesta di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli.
Si tratta, dunque, di un provvedimento del tutto distinto da quelli limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale adottati in corso di causa, in ordine ai quali è stata rimessa alle Sezioni Unite (Cass., Sez. 1, Ordinanza interlocutoria n. 30457 del 17/10/2022), e di recente anche decisa (Cass., Sez. U, n. 22423 del 25/07/2023), la questione dell'ammissibilità del ricorso ex Cost., art. 111 avverso i detti provvedimenti provvisori e urgenti.
In ordine all'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro i provvedimenti che, all'esito dell'appello o del reclamo (a seconda del tipo di procedimento avviato), attengono all'affidamento e al mantenimento dei figli minori, questa Corte si è già pronunciata più volte in senso positivo (Cass., Sez. U, Sentenza n. 30903 del 19/10/2022; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3192 del 07/02/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6132 del 26/03/2015).
Alcuni dubbi interpretativi sono, tuttavia, sorti con riferimento alle statuizioni che disciplinano, nello specifico, i tempi e i modi di visita e frequentazione dei figli da parte dei genitori esercenti la responsabilità.
Superando recenti discordanze, questa Corte, con orientamento condiviso, ha affermato che i provvedimenti giudiziali che, all'esito dell'appello o del reclamo (a seconda del tipo di procedimento avviato) statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori, sono ricorribili per cassazione nella misura in cui il diniego si risolve nella negazione della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare che, sancito dall'art. 8 CEDU (Corte EDU, sentenza del 09/02/2017, Solarino c. Italia), è leso da quelle statuizioni che, adottate in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità, inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire a quest'ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione della prole il cui rispetto deve essere sempre assicurato nell'interesse superiore del minore (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4796 del 14/02/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9764 dell'08/04/2019; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 30903 del 19/10/2022).
In altre parole, le statuizioni che attengono alle modalità di frequentazione e visita del minore sono censurabili per cassazione, superando il filtro dell'inammissibilità per il difetto di decisorietà o per carattere di valutazione di merito, quando l'invalidità dedotta si risolve nella lesione del diritto alla vita familiare, che appartiene al minore ed anche a ciascuno dei genitori, e trova esplicazione nel diritto alla bigenitorialità.
4.2. Nella specie, il terzo motivo di ricorso, con il quale sono criticate le statuizioni del provvedimento impugnato che hanno regolamentato l'esercizio della responsabilità genitoriale, attiene proprio alla asserita violazione del diritto alla bigenitorialità, a causa della mancata previsione dell'affidamento paritario del minore.
Il terzo motivo di ricorso è, pertanto, da ritenersi ammissibile.
5. Tale motivo risulta, tuttavia, infondato.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato contrasta gravemente con i nuovi principi vigenti in ambito nazionale (v. il riconoscimento del congedo obbligatorio di paternità, quale diritto autonomo e aggiuntivo a quello della madre; cfr. l'intervento della Corte Costituzionale sugli artt. 262, comma 1, e 299, comma 3, c.c., oltre che sul R.D. n. 1239 del 1939, art. 72 e sul D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 33 e 34, in merito all'attribuzione automatica del cognome paterno) e sovranazionale (v. la risoluzione del Consiglio di Europa, n. 2079/15 contenente l'espresso invito agli Stati membri ad assicurare l'effettiva eguaglianza tra genitori anche attraverso la promozione della cd shared residence, definita quale forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre).
Tale contrasto è stato prospettato in ragione della ritenuta automaticità nell'esclusione del collocamento paritario e nell'individuazione, quale residenza prevalente del minore, della residenza materna.
Tuttavia, dalla lettura del provvedimento impugnato si evince con chiarezza che la scelta di disporre il collocamento prevalente presso un genitore ed anche quella di individuare la madre come genitore collocatario con prevalenza sono state tutt'altro che automatiche.
La Corte d'appello ha, infatti, illustrato le ragioni che hanno portato ad escludere il "collocamento paritario" e anche quelle sono state poste a fondamento del disposto collocamento prevalente del minore presso la madre.
In particolare, il giudice di merito, dopo avere illustrato in via generale il significato attribuito alla nozione di bigenitorialità, ha rilevato che il provvedimento impugnato, garantendo una significativa frequentazione tra il F. e il figlio, ha tutelato pienamente il diritto di quest'ultimo alla bigenitorialità, ed ha evitato, nel contempo, di sottoporre il minore ad un estenuante pendolarismo, tanto più in ragione del maggiore impegno, che richiede la scuola primaria rispetto alla scuola dell'infanzia, frequentata dal bambino all'epoca del provvedimento del 07/03/ 2019.
La Corte ha, in particolare, rilevato che i genitori del minore abitavano a una distanza di circa trenta chilometri e che il collocamento paritario era più funzionale alle esigenze del genitore che lo promuoveva, piuttosto che all'interesse del figlio, evidenziando che il provvedimento reclamato, nella parte cui ha statuito sulla collocazione del minore, ha dato rilievo alla circostanza che la madre continuava ad abitare la casa familiare, vale a dire il luogo in cui il bambino aveva vissuto fin dalla nascita, e che, già nel primo decreto del 07/03/2019 era previsto che il minore fosse collocato presso la madre, adottando una soluzione in linea, peraltro, con il criterio di scelta, ordinariamente seguito, in assenza di specifiche ragioni di deroga, che vede i bambini in età scolare collocati, in via preferenziale, con la madre, anche quando il padre dimostri eccellenti capacità genitoriali (p. 9-10 del decreto impugnato).
Il collocamento preferenziale presso la madre, in quanto madre, è stato, dunque, solo uno degli elementi di valutazione, peraltro considerato per ultimo, in aggiunta agli altri, tutti diversi e concorrenti tutti nel giustificare il collocamento prevalente presso un genitore, individuato nella persona della madre.
La pronuncia si pone, invece, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha evidenziato come, in tema di affidamento condiviso, la frequentazione, del tutto paritaria, tra genitore e figlio che si accompagna a tale regime, nella tutela dell'interesse morale e materiale del secondo, ha natura tendenziale ben potendo il giudice di merito individuare, nell'interesse del minore, senza che possa predicarsi alcuna lesione del diritto alla bigenitorialità, un assetto che se ne discosti, al fine di assicurare al minore stesso la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4790 del 14/02/2022, ove la S.C. ha ritenuto non lesivo del diritto alla bigenitorialità il provvedimento della Corte d'appello che, in sede di reclamo, aveva conservato l'affidamento condiviso delle figlie minori prevedendo, in luogo della precedente collocazione a settimane alterne presso i due genitori, la collocazione prevalente presso la madre e la previsione dei tempi di permanenza delle minori presso il padre).
6. Il quarto motivo è inammissibile.
Parte ricorrente ha dedotto l'omesso esame del fatto dedotto in giudizio, consistente nella sua disponibilità a tenere presso di sé il minore tutti i pomeriggi della settimana, essendo libero da impegni lavorativi.
Si tratta di un elemento di fatto che non è prospettato come decisivo, nè risulta esserlo, non essendo nè dedotto nè provato che, ove il giudice avesse espressamente considerato tale circostanza avrebbe statuito diversamente.
Il tenore della decisione, come sopra evidenziato, si incentra su plurimi elementi che hanno fondato la soluzione adottata (in particolare, la necessità di conservare un habitat principale per il minore, che sia quello in cui è da sempre vissuto insieme alla madre, evitando continui spostamenti da una città all'altra tra loro anche distanti) e che non risultano tali da essere diversamente valutati a seguito della espressa valutazione della circostanza indicata.
7. Il ricorso deve pertanto essere respinto.
8. La statuizione sulle spese di lite, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.
9. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
la Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. n. 196 del 2003, art. 52.
18-08-2023 15:11
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