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Sentenza

Impossibile riconoscere la nullità del matrimonio ecclesiastico dopo 3 anni dalle nozze
Impossibile riconoscere la nullità del matrimonio ecclesiastico dopo 3 anni dalle nozze
Cass. civ., sez. I, ord., 10 ottobre 2023, n. 28308

Presidente Genovese – Relatore Nazzicone

Fatti di causa

La Corte d'appello di Napoli con sentenza del 12 maggio 2021 ha respinto la domanda per la dichiarazione di efficacia nel territorio della Repubblica Italiana della sentenza canonica di nullità del matrimonio concordatario fra le parti, resa del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano del omissis "del (omissis) ", dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il (omissis) , nullità derivante dal non essere il matrimonio "nato con i giusti presupposti a causa delle mancanze dell'attore che non ha effettuato una libera scelta nè mai riuscito ad assumersi gli oneri coniugali".

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che la convivenza fra i coniugi è durata dal matrimonio nel omissis sino ad oltre la nascita del figlio, potendosi ritenere i rapporti tra i coniugi interrotti solo dal omissis, oltre il triennio dalla celebrazione del vincolo.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il soccombente, sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso l'intimata.

Il ricorrente ha depositato la memoria.

Ragioni della decisione

1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza, la quale avrebbe ad oggetto una sentenza ecclesiastica diversa da quella delibanda, in quanto la corte territoriale discorre di un'inesistente "sentenza del (omissis) " ed ancora ripete di reputare insussistenti le condizioni per delibare la "sentenza del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano (omissis) del (omissis)". Invece, si trattava della sentenza del Tribunale di Prima Istanza del Vicariato di omissis del (omissis) , e la corte territoriale non ha delibato la giusta sentenza.

Il motivo è manifestamente infondato, dal momento che dalla piana lettura della sentenza impugnata palesa trattarsi in quelle frasi di meri refusi grafici, che lasciano intatta la riferibilità della decisione alla vicenda per cui è causa e la congruenza della sua motivazione.

Risulta invero chiaramente che la sentenza impugnata è affetta da un mero refuso, e cioè dell'inserimento nel corpo della motivazione del riferimento - dopo la corretta menzione della "sentenza del (omissis) " - di numeri e date incongruenti, rispetto al contenuto della coerente motivazione, in sostanza un mero errore materiale, irrilevante ancor meno di quello che richiede il procedimento apposito ex art. 287 c.p.c..

Esso è invero privo di qualsiasi carattere di vizio afferente la portata concettuale e sostanziale della decisione, essendo agevole dalla mera lettura della sentenza ovviare al medesimo.

2. - Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c., L. 25 marzo 1981, n. 121, art. 8, n. 2, e art. 4, lett. b), del Protocollo addizionale dell'Accordo del 18 febbraio 1984, L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 6, perché il giudice territoriale ha considerato rilevante la convivenza ultratriennale della coppia, che non costituisce però una condizione prevista dalla legge.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Con le due sentenze gemelle (la n. 16379 e la n. 16380 del 2014), le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto, dal quale il ricorso non offre ragioni per discostarsi, secondo cui la convivenza come coniugi, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di "ordine pubblico italiano", ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per vizio genetico del "matrimonio-atto". Tali pronunce si collocano nel solco della giurisprudenza che aveva delineato i confini tra l'ordinamento civile e quello canonico, tenendo distinte le peculiarità proprie di ciascuno.

È altresì vero che questa Corte, negli ultimi anni, sta procedendo ad una interpretazione restrittiva dei principi enunciati dalle Sezioni unite con le decisioni nn. 16379 e 16380 del 2014, limitandoli ai casi di nullità matrimoniale tipici e propri unicamente del diritto canonico, ma non anche del diritto italiano.

Si è, quindi, precisato che, da un lato, il giudice italiano è tenuto ad accertare autonomamente i profili estranei al processo canonico, in quanto in esso irrilevanti, e che, dall'altro lato, l'indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi invero luogo, in fase di delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria, e che il convincimento, espresso dal giudice di merito, sugli elementi di fatto costituisce apprezzamento al medesimo riservato e che si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 25 giugno 2019, n. 17036; Cass. 5 marzo 2012, n. 3378; Cass. 6 marzo 2003, n. 3339).

Nella specie, la sentenza impugnata ha affermato di avere accertato, sulla base degli atti del processo canonico e delle deposizioni ivi raccolte, che il matrimonio è stato dichiarato nullo solo perché non "nato con i giusti presupposti a causa delle mancanze dell'attore che non ha effettuato una libera scelta nè mai riuscito ad assumersi gli oneri coniugali", mentre la convivenza dei coniugi, dall'altro lato, cessò solo nel XXXX, dunque fu ultratriennale ed è nato pure un figlio.

E, come si è già osservato da questa Corte, "la convivenza come coniugi" non presuppone certo un rapporto matrimoniale sempre e comunque privo di screzi e contrasti (Cass. 9 agosto 2017, n. 19762, non massimata), in quanto la "convivenza" tra coniugi non è necessariamente collegata ad un matrimonio fondato sempre su solidarietà ed affetti, ma ad un matrimonio comunque celebrato, salvo che i coniugi si trovino in una condizione di totale estraneità, pur coabitando, senza alcun rapporto personale, laddove ai fini ora in esame l'esistenza di contrasti ed incomprensioni resta irrilevante (Cass. 24 maggio 2017, n. 13120, non mass.): e, nella specie, il giudice a quo, con ampia e approfondita motivazione, richiama il periodo di convivenza superiore a tre anni, nonché un consorzio coniugale allietato dalla nascita di un figlio.

Ne deriva che correttamente il giudice del merito ha deciso, in conformità del ricordato orientamento delle Sezioni unite, più volte riconfermato (e multis, Cass. 20 aprile 2020, n. 7923; Cass. 8 ottobre 2018, n. 24729; Cass. 15 maggio 2018, n. 11808; Cass. 8 marzo 2018, n. 5596; Cass. 20 febbraio 2018, n. 4106; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29294; Cass. 29 agosto 2017, n. 20524; Cass. 9 agosto 2017, n. 19762; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2486; Cass. 19 dicembre 2016, n. 26188; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1494).

3. - Con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 797 c.p.c., art. 8, n. 2, lett. c), dell'Accordo ratificato con L. 25 marzo 1981, n. 121, ed altresì l'omesso esame di fatto decisivo, per avere ritenuto la corte territoriale interrotta la convivenza solo dopo oltre tre anni di matrimonio, mentre ciò non corrisponde all'effettivo svolgimento dei fatti.

L'articolazione del motivo - incentrato sulla non considerata rilevanza, da parte della Corte d'appello, del dato fattuale delle difficoltà di coppia già anteriori al triennio e sulla negata estrinsecazione di quella convivenza effettiva, stabile e continua nel tempo che la Corte medesima ha qualificato in termini di ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio - sostanzialmente si traduce in una richiesta di differente valutazione del materiale probatorio ed dell'accertamento di fatto, non consentito in sede di legittimità, onde esso si palesa inammissibile.

In questo modo, il ricorso ha allegato un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ponendosi al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato.

4. - Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per ultrapetizione, ai sensi degli artt. 99,112 c.p.c., e di altre disposizioni, avendo condannato l'istante alle spese di lite, mentre controparte ne aveva chiesto unicamente la compensazione ed aveva proposto domande riconvenzionali inammissibili.

Il motivo è inammissibile, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., per difetto di specificità, menzionando solo parzialmente alcune affermazioni di controparte, onde non si rende ammissibile ai sensi della norma menzionata, ed avendo altresì l'intimata precisato di avere depositato nota spese insieme alla comparsa conclusionale, chiedendo la condanna di controparte.

Onde, in definitiva, la censura difetta di autosufficienza, in quanto non riporta, nei punti essenziali, le avverse dichiarazioni, onde consentire alla Corte di apprezzarle: come noto, infatti, il ricorrente che intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (cfr., e plurimis, Cass. 3 maggio 2023, n. 11507; Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass. 24 luglio 2014, n. 16872; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846).

5. - Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Avv. Antonino Sugamele

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