Un solo episodio di violenza è sufficiente per l'addebito della separazione al marito.
Tribunale di La Spezia, sez. Civile, sentenza 18 – 25 marzo 2021, n. 179
Presidente Sebastiani – Relatore Di Roberto
Motivi in fatto e in diritto della decisione
Con sentenza parziale n. 620/2017 questo Tribunale ha già pronunciato la separazione personale tra Mi. e Tr. (che si sono sposati nel 2006).
La ricorrente chiede che tale separazione sia addebitata al marito, deducendo gravi episodi di violenza e maltrattamenti posti in essere nei suoi confronti; ciò che l'avrebbe, infine, costretta, nel marzo del 2015, a lasciare la casa coniugale.
Mi. evidenzia in particolare un episodio, occorso nel pomeriggio del 24 agosto del 2007 quando, in ragione di una crisi di gelosia, il marito l'avrebbe chiusa a chiave in camera da letto per oltre quattro ore e quindi presa a calci, pugni e schiaffi, causandole gravi lesioni (agli avambracci destro e sinistro) e vistose ecchimosi (sotto gli occhi e sulle gambe).
Sempre secondo quanto prospettato dalla parte, negli anni successivi i maltrattamenti sarebbero proseguiti con cadenza quasi settimanale, per lo più verbalmente (insulti), comunque attraverso continuative aggressioni psicologiche, in alcuni casi sfociate ancora in violenze fisiche (tirate di capelli, lancio di oggetti, spinte), con il risultato di imporre un regime di vita "vessatorio, mortificante e insostenibile" (mai denunciato in precedenza solo per paura).
Il convenuto non ha contestato il fatto di aver avuto una reazione violenta nei confronti della moglie quel giorno del 2007; reazione a suo dire scatenata dallo stato di rabbia e umiliazione conseguito alla confessione di un tradimento. Secondo tale prospettazione, tuttavia, l'episodio sarebbe rimasto isolato; la parte contestando in particolare il fatto di aver tenuto nel prosieguo del matrimonio comportamenti dispotici o maltrattanti. Anche Tr. ha formulato domanda di addebito, riconducendo la sopravvenuta situazione di intollerabilità della convivenza matrimoniale proprio a quella relazione extraconiugale (di cui sarebbero stati messi a conoscenza anche i genitori di Mi. e i parenti più vicini alla coppia); evidenziando l'esito negativo dei successivi tentativi di riavvicinamento. E' stata svolta attività istruttoria, mediante l'interpello del convenuto e l'ascolto, quali testimoni: della madre (Ro.Ro.), del padre (Em.Mi.) e del fratello (Ma.Mi.) della ricorrente; dell'ex moglie (Si.Pi.) di quest'ultimo; della madre (An.Sc.) e della sorella (Ce.Tr.) del convenuto; di An.Co., vicina di casa; infine, ai sensi dell'art. 257 comma 1 c.p.c., di An.Lo. (che per anni ha lavorato nella pasticceria gestita dalla famiglia di Mi.) e Fa.Ar. (amica di lunga data e anche testimone di nozze della ricorrente). All'esito, può accertarsi la particolare gravità dell'episodio occorso nell'estate del 2007. Tr. in sede di interrogatorio formale ha riferito di una colluttazione, nell'ambito della quale avrebbe dato uno spintone e colpito con una sberla la moglie. In realtà gli elementi in atti inducono a ritenere che le violenze nel frangente siano state ben più significative. A tal fine possono essere valorizzate le dichiarazioni rese dai testimoni non legati da vincoli di parentela con le parti.
Ebbene:
- Ar. ha ricordato di aver visto i lividi sulla faccia e anche su altre parti del corpo di Mi. e di aver sentito il racconto dell'amica al riguardo, secondo cui il marito, infuriatosi, buttò all'area i cassetti della stanza e fece "partire una scarica di botte" prolungata;
- Lo. ha dichiarato che l'odierna ricorrente, con cui all'epoca era in rapporti di confidenza, la mattina successiva al riferito evento passò da casa sua prima di andare a lavoro, piangente e con un livido in faccia, dicendole di essere stata insultata e picchiata, per tante ore, da Tr.;
- Co. ha riferito di aver visto i lividi sulla faccia di Mi. in negozio e successivamente di aver ascoltato il racconto della donna, che disse di essere stata sbattuta sul divano e picchiata per ore dall'odierno convenuto.
Le tre dichiarazioni, tutte puntualmente circostanziate, concordano sulla presenza di segni visibili, come direttamente percepiti, sulla persona; segni evidentemente riconducibili alle violenze dedotte; ciò che conferisce credibilità a quanto testimoniato anche nella parte limitata al riferito dell'odierna ricorrente.
Sia Co. sia Ar., poi, hanno confermato il movente della gelosia; Ar., in particolare, ha specificato che Mi. in quell'occasione aveva confessato al marito di essersi "invaghita" di un'altra persona (il teste ha dichiarato di essere in effetti a conoscenza di un "cedimento mentale" dell'amica). Deve ora richiamarsi la preferibile giurisprudenza della Suprema Corte in materia, secondo cui: da un lato, "la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona" (cfr. Cass. n. 433/2016); dall'altro, fatti come quelli qui in considerazione costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da esonerare il giudice del merito "dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei" (cfr. Cass. n. 31901/2018).
E' vero che la violenza così accertata si verificò oltre setti anni prima dell'effettiva fine della convivenza tra i coniugi.
Tuttavia, può ritenersi che dopo quel fatto il rapporto matrimoniale, al di là delle apparenze (nei rapporti con le rispettive famiglie e con amici e conoscenti) non fu mai più realmente recuperato, perlomeno per un periodo di tempo sufficientemente prolungato e stabile.
In tale senso sono le stesse allegazioni del convenuto, il quale - pur riconducendo la crisi (a questo punto, si è detto, secondo prospettazione irrilevante ai fini di decisione) all'iniziale infedeltà della moglie (oltre che a un successivo atteggiamento di Mi., "sordo alle richieste del coniuge", genericamente dedotto e comunque non provato) - ha evidenziato come ogni tentativo di mantenere l'unione familiare in quegli anni si sia rivelato vano.
Il fatto che i coniugi non siano più stati in grado di recuperare la giusta intesa nel corso degli anni ha trovato, poi, conferma nelle dichiarazioni delle solite Ar., Lo. e Co.: alla prima Mi. aveva riferito di un rapporto ormai completamente deteriorato, con il marito che faceva valere qualsiasi pretesto per offenderla; la seconda ha ricordato come l'odierna ricorrente in pasticceria spesso si lamentasse ,dicendo di non voler tornare a casa per non venire ancora insultata e maltrattata; la terza ha riferito di una coppia non serena e del fatto che Mi. fosse spesso arrabbiata e di cattivo umore (raccontando anche di episodi in cui lui le aveva tirato i capelli o dato degli spintoni). Conclusivamente sul punto, va accolta la domanda di parte ricorrente e rigettata quella del convenuto. Passando oltre e rilevato che i coniugi non hanno figli, occorre accertare le rispettive condizioni economiche.
Tr. è sottoufficiale della Marina Militare e dichiara un reddito lordo annuo di oltre 38.000,00 Euro, con imposta lorda di circa 11.000,00 Euro (come da certificazione unica 2017, l'ultima versata in atti dalla parte); ha lo stipendio gravato (fino a giugno 2022) da una cessione del
quinto di 270,00 Euro, per debiti contratti in relazione all'ex casa coniugale (in cui il convenuto continua a vivere); provvede per intero al pagamento delle rate del mutuo acceso per l'acquisto del suddetto immobile, per un importo di 750,00 Euro al mese.
Mi., che è da tempo tornata a vivere con i genitori, durante il matrimonio lavorava quale collaboratrice famigliare presso la pasticceria del fratello, con un reddito di circa 600,00 Euro al mese (cfr. docc. 3-8 fasc. p. ric.); nel corso del 2017 ha avviato un'attività imprenditoriale in proprio, aprendo un negozio di abbigliamento e prodotti tipici a Ma.; attività in grado di assicurarle nel 2018 redditi (come dichiarati) poco più che minimali e che oggi può presumersi stia scontando le inevitabili difficoltà legate alla pandemia.
Tanto detto, deve in via generale richiamarsi l'orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 12196/2017) secondo cui: "La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio".
Secondo Cass. n. 14840/2006, poi: "Al coniuge cui non sia addebitabile la separazione spetta, ai sensi dell'art. 156 cod. civ., un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione, sempre che non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione e che sussista una differenza di reddito tra i coniugi. La quantificazione dell'assegno deve tener conto delle circostanze (ai sensi del secondo comma del citato art. 156), consistenti in quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti".
Ai presenti fini appare, dunque, decisivo rilevare l'attuale persistente disparità (cfr. Cass. 14128/2014) di posizioni economiche tra i coniugi; ciò che giustifica la previsione di un contributo per il mantenimento di Mi. a carico di Tr..
Per la relativa quantificazione, si possono confermare le valutazioni già compiute in sede presidenziale, stabilendo in 350,00 Euro al mese la somma che deve essere corrisposta mensilmente dal convenuto.
Quanto, infine, al cane delle parti, di nome Al., ci si limita a prendere atto del fatto che in questi anni l'animale è rimasto a vivere nella casa di proprietà del convenuto, con possibilità per Mi. di vederlo secondo tempi e modalità concordati.
Sul punto, tuttavia, così come su eventuali ripartizioni tra le parti delle spese sostenute e da sostenere per il relativo mantenimento, si ritiene che non vi sia qui luogo a provvedere. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della metà, stante la natura della
controversia; il restante mezzo è posto a carico del convenuto, considerato l'esito della lite, in particolare con riguardo alla domanda di addebito.
Tali spese sono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014, tenuto conto dello scaglione di riferimento e dell'attività processuale resasi necessaria.
P.Q.M.
Il Tribunale della Spezia, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, così provvede:
- dichiara che la separazione tra le parti è addebitabile al marito;
- rigetta la domanda di addebito formulata dal convenuto;
- condanna il convenuto a versare in favore della ricorrente, a titolo di contributo di mantenimento, entro il giorno 5 di ogni mese, un assegno mensile dell'importo di 350,00 euro; con adeguamento annuale automatico secondo gli indici ISTAT;
- condanna il convenuto alla rifusione in favore di parte ricorrente del 50% delle spese processuali, 50% che si liquida in 3.000,00 Euro per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario, Iva e Cpa come per legge; compensa il restante mezzo.
22-05-2021 18:13
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