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Sentenza

Lei lavora, lui durante il matrimonio si laurea: spetta assegno divorzile alla donna per il sacrificio da lei fatto per consentire all'allora marito di proseguire e portare a termine gli studi universitari.
Lei lavora, lui durante il matrimonio si laurea: spetta assegno divorzile alla donna per il sacrificio da lei fatto per consentire all'allora marito di proseguire e portare a termine gli studi universitari.
Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 16 dicembre 2021, n. 40385

Presidente Scotti – Relatore Scalia

Fatti di causa e ragioni della decisione

1. Il signor M.A. ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d'Appello di Bologna, nel confermare la sentenza di primo grado, adottata dal Tribunale di Modena nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra il primo e la signora B.A.M. il (omissis) , da cui erano nati due figli nel 1974 e nel 1976, ha confermato l'assegno divorzile fissato dal primo giudice a carico del ricorrente nella misura di Euro 250,00 mensili.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'erronea applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nella interpretazione datane dalle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 18287 nel 2018.

2.1. I giudici di merito non avevano correttamente inteso i criteri assistenziale, compensativo e perequativo dell'assegno pure affermati dalle citate Sezioni Unite, non valorizzando la durata del matrimonio, di appena due anni, dal 1974 al 1976, ed il lungo periodo, pari a quaranta anni, in cui i coniugi avevano vissuto autonomamente nel periodo intercorrente tra la separazione ed il divorzio.

2.2. Non era stato inoltre correttamente inteso il criterio assistenziale che nella specie era del tutto assente, essendo la richiedente (dapprima retribuita e quindi pensionata e, inoltre, titolare di beni ricevuti in eredità) economicamente autonoma, avendo vissuto senza difficoltà per tutto il tempo della separazione.

L'apparente sproporzione tra i redditi delle parti non aveva impedito alla signora B. di conservare la propria capacità lavorativa e di godere di un tenore di vita assimilabile a quello avuto in costanza di matrimonio. La disparità dei patrimoni individuata dalla Corte d'appello era dovuta alla diversa valenze delle attività svolte dai coniugi (operaia, B.A.M. ; ingegnere, M.A. ) dovuta alla differente loro formazione professionale.

La signora B. lavorava già prima di contrarre matrimonio con M.A. , che era, invece, ancora studente in ingegneria e che era rimasto tale anche durante la vita matrimoniale, essendosi, egli, laureato nel 1978, dopo la separazione.

La disparità di reddito tra gli ex coniugi non poteva pertanto valere per il riconoscimento dell'assegno, essendosi formata dopo la separazione, epoca in cui il M. aveva iniziato a lavorare come ingegnere e la B. , come operaia, in una ditta di tessuti.

L'interruzione dell'attività lavorativa da parte della sig.ra B. era poi avvenuta nel corso del matrimonio su sua espressa rinuncia e dopo la separazione la stessa si era "accontentata del mestiere di operaia" non proseguendo negli studi, come invece aveva fatto il sig.M. .

Il fatto che la sig.ra B. non avesse richiesto alcun contributo per 40 anni - e tale era stata la durata del periodo di separazione tra i coniugi - esprimeva una implicita rinuncia a pretese economiche non più deducibili, tanto più che le sue condizioni economiche erano rimaste inalterate nel tempo.

3. Il motivo è infondato là dove nel dare lettura ai principi affermati da questa Corte con le citate Sezioni Unite, e le successive pronunzie di indirizzo, ne ritiene l'inapplicabilità alla fattispecie in esame.

3.1. La Corte di merito, tenuto conto della situazione di disequilibrio economico esistente tra i coniugi all'epoca del divorzio e valorizzando la finalità compensativo-perequativa dell'assegno, ha apprezzato, nella pur contenuta durata del matrimonio - peraltro ritenuta pari a cinque e non a due anni e tanto in ragione dell'anno, il 1979, in cui è intervenuta separazione consensuale omologata tra i coniugi-, la nascita, in questo arco temporale, dei due figli della coppia e la scelta della donna, non contrastata dal marito e quindi apprezzata dai giudici quale sicuro indice di accordo tra gli ex coniugi, di lasciare l'occupazione lavorativa dell'epoca, per attendere alla cura dei primi.

I giudici di appello hanno poi valorizzato la rinuncia della signora B. a raggiungere più alti livelli nel settore lavorativo prescelto (quello tessile e dell'abbigliamento), richiamando, pure, l'età della donna, il tutto in un giudizio di stima sul reimpiego delle sue forze lavorative.

In tal modo la sentenza impugnata ha dato conto, in piena applicazione dei principi sanciti da questa Corte, dell'apporto fornito dall'ex coniuge alla famiglia evidenziando come l'impegno della donna abbia consentito al marito di laurearsi, potendo egli attendere, a tempo pieno, agli studi prescelti, così conseguendo una collocazione lavorativa adeguata, nella rinuncia invece operata dall'ex coniuge a più alti livelli di impiego nel proprio settore lavorativo.

3.2. La sentenza delle Sezioni Unite del 2018 ha attribuito all'assegno di divorzio una funzione non già soltanto assistenziale (il che avviene quando la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisca l'autosufficienza), ma anche riequilibratrice, ovvero, come pure vi si afferma, compensativo-perequativa, ove ne sussistano i presupposti (ossia alla condizione, necessaria, ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell'uno e dell'altro coniuge, all'esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza) esclusa la separazione tra criteri attributivi, tali da incidere sull'an del diritto all'assegno, e criteri determinativi, da utilizzarsi solo successivamente ai fini della fissazione del quantum.

Quanto rileva è quindi che il coniuge richiedente, pur trovandosi all'esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all'altro in condizioni economico-patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico-professionale, a favore dell'altro, che meriti un intervento compensativo-perequativo (Cass. n. 21228 del 2019, p. 6), in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente.

3.3. Nessuna puntuale contestazione ha poi condotto il ricorrente, nel far valere la dedotta violazione di legge, sulla rinuncia ad un migliore livello professionale, nel settore di competenza, dell'ex coniuge come affermato dalla Corte di merito.

4. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di allegazione del pure dedotto contrasto tra motivazione e dispositivo ed è, comunque, infondato.

Come rilevato sub n. 1 l'autosufficienza economica non è presupposto per il riconoscimento dell'assegno divorzile ex Cass. SU cit., e non vi è alcuna contraddizione logica nell'impugnata sentenza, tale da qualificare come mancante la resa motivazione o non comprensibile nel suo sviluppo, là dove la Corte di merito riconosce l'assegno nella funzione perequativa dallo stesso assolta.

5. Il terzo motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, là dove contrasta la decisione di condanna alle spese, deducendo la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., senza indicare il percorso delle norme violate nella interpretazione fornitane da questa Corte, non facendosi forte del principio di censurabilità della prima in sede di legittimità solo in caso di contrasto con il divieto per il giudice del merito di onerare delle spese la parte vittoriosa (ex multis: Cass. n. 406 del 11/01/2008).

La soccombenza del ricorrente rispetto alla domanda di corresponsione dell'assegno divorzile basta, infatti, per l'indicato principio, a sostenere la statuizione di condanna nei suoi confronti nel grado d'appello.

L'ulteriore censura, pure contenuta nel motivo, circa il carattere esorbitante della liquidazione è poi generica non segnalando le disposizioni che sarebbero state violate, a fronte di una motivazione e muove dalle tariffe di cui ai D.M. n. 55 del 2014, e D.M. n. 37 del 2018, una volta richiamati il carattere indeterminabile della controversia e la misura minima liquidata, in ragione delle spiegate attività difensive.

6. Il ricorso va pertanto, ed in via conclusiva, rigettato. Spese secondo soccombenza liquidate come in dispositivo indicato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 - quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente M.A. a rifondere a B.A.M. le spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 - quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Avv. Antonino Sugamele

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