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Sentenza

L'amante è corresponsabile quando, in forza della propria condotta e avuto riguardo alle modalità con cui si è svolta la relazione extraconiugale, abbia direttamente leso ovvero abbia concorso a violare diritti inviolabili quali la dignità e l'onore del coniuge tradito?
L'amante è corresponsabile quando, in forza della propria condotta e avuto riguardo alle modalità con cui si è svolta la relazione extraconiugale, abbia direttamente leso ovvero abbia concorso a violare diritti inviolabili quali la dignità e l'onore del coniuge tradito?
Tribunale Padova, Sent., 24/06/2021
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Padova

Il Giudice

dott. Guido Marzella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa di primo grado iscritta al n. 7158/2017 R.G. e promossa

da

V.S.D.V.G.,

(C.F. (...))

- attrice -

elettivamente domiciliata in P., via A. n. 17, con il patrocinio dell'avv. TAMIAZZO LAURA,

contro

V.F.,

(C.F. (...))

- convenuta -

elettivamente domiciliata in P., Piazzale S. n. 7, con il patrocinio dell'avv. BALBO ENRICO.
Svolgimento del processo

V.S.D.V.G., premettendo:

- di essere coniugata in regime di separazione dei beni con L.P. in forza di matrimonio civile celebrato in data 27.4.93,

- che a seguito di una crisi irreversibile del loro rapporto, la quale aveva comportato la consensuale cessazione della convivenza, ella aveva quindi dato corso alla instaurazione di un procedimento di separazione giudiziale,

- che il venir meno dell'unione affettiva e sentimentale doveva essere ricondotto alle condotte fedifraghe del marito, il quale aveva allacciato una relazione extra coniugale con V.F., impiegata presso la ditta di famiglia "N.L.A. srl", non peritandosi nemmeno di nascondere in pubblico la propria attrazione per la dipendente con baci e abbracci,

- che in forza di tale situazione la F. aveva quindi cominciato di mancarle di rispetto, sminuendo la sua persona di fronte agli altri lavoratori, rivolgendosi nei suoi confronti in maniera denigratoria e dispregiativa ed altresì incitando il P. a non tollerare che ella si intromettesse nella contabilità della società, sino a quando non aveva infine deciso di dimettersi affermando di essere stressata,

- che la medesima le aveva d'altro canto confermato l'esistenza della predetta relazione nel corso di una telefonata debitamente registrata,

- che la descritta situazione risultava aggravata dal fatto che a seguito di tali vicende il marito aveva interrotto ogni rapporto sessuale con lei e, sempre su istigazione dell'amante, l'aveva inoltre allontanata dal lavoro,

- che a seguito di tali fatti aveva accusato un grave malessere psicofisico,

- che di tutte le predette circostanze la convenuta doveva pertanto rispondere dal momento che il rapporto coniugale risultava soggetto alla tutela aquiliana apprestata dall'ordinamento in favore del consorte tradito, attivabile laddove la relazione adulterina fosse sfociata in condotte aggressive, violente, moleste o altrimenti vessatorie,

- che, d'altro canto, della violazione dei doveri coniugali ben poteva rispondere anche un terzo laddove questi avesse concorso con il coniuge nella loro trasgressione,

ha convenuto in giudizio la menzionata controparte chiedendone la condanna al pagamento dell'importo di Euro 30.000,00.

Costituitasi in giudizio, la convenuta eccepiva preliminarmente l'improcedibilità della domanda a causa del mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita; ricordava che l'attrice aveva cominciato ad ingerirsi nella gestione della ditta del marito, in quanto preoccupata per i rischi legati alle garanzie personali da ella fornite in favore della compagine, dopo che questi si era separato dall'ex socio V.B., dando vita ad una propria compagine; sottolineava come la medesima avesse quindi assunto nei confronti dei dipendenti atteggiamenti sempre più autoritari oltre a continuamente denigrare il marito nei di fronte ai medesimi, definendolo nel corso di numerosi litigi un fallito ed un donnaiolo; sosteneva che le manifestazioni di stima rivoltele dal P. per come svolgeva il proprio lavoro di ragioniera erano quindi state erroneamente interpretate dalla moglie, accecata dalla gelosia, alla stregua di un corteggiamento; affermava che a seguito del protrarsi delle condotte ostili da parte di quest'ultima ella aveva cominciato a difendersi e, da ultimo, stanca ormai della situazione, si era quindi dimessa, riprendendo poi solo per un breve periodo di tempo il posto lavorativo in questione a part-time, su espressa richiesta di entrambe i coniugi; deduceva di essere stata in seguito vittima di una aggressione da parte della D.V. nel centro di Abano Terme, a seguito della quale aveva dovuto ricorrere alle cure dei sanitari del Pronto Soccorso; affermava pertanto che solo al fine di placare la condotta di stalkeraggio condotta dalla controparte ed in ragione della situazione di forte disagio e timore creati da tale episodio ella aveva reso le ammissioni contenute nella telefonata registrata dall'attrice; denegava comunque di aver mai intrattenuto con il P. una relazione amorosa; sosteneva che il dovere di fedeltà coniugale grava unicamente sui coniugi e non certo sui terzi, laddove l'intrattenimento di una relazione con una persona sposata costituisce per il partner la semplice espressione della propria personalità; precisava che solo un tradimento condotto con modalità particolarmente lesive dell'altrui dignità poteva d'altronde risultare fonte di responsabilità extracontrattuale; denegava che nel caso di specie sussistessero i citati presupposti e ciò anche in considerazione del fatto che, in realtà, i rapporti tra l'attrice ed il marito già da tempo risultavano compromessi; chiedeva pertanto il rigetto delle avverse pretese ovvero, in subordine, la quantificazione del risarcimento nei limiti di quanto in concreto accertato in corso di causa.

Concesso termine alle parti per l'esperimento della procedura di negoziazione assistita e depositate le memorie autorizzate, si dava quindi corso alla fase istruttoria mediante l'assunzione delle prove orali, all'esito delle quali la causa è stata infine trattenuta in decisione all'udienza del 25 marzo 2021, tenuta con modalità cartolare.
Motivi della decisione

La domanda attorea è infondata e deve pertanto essere respinta.

Come invero ben chiarito dalla più recente giurisprudenza di legittimità in materia, la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio riguarda ovviamente e principalmente i coniugi stessi che, a seguito dello sposalizio, hanno reciprocamente assunto a proprio carico i doveri delineati nel secondo e terzo comma dell'art. 143 c.p.c., il quale appunto elenca accanto a quello sopra richiamato, anche gli ulteriori doveri di assistenza morale e materiale, di collaborazione, di coabitazione e di contribuzione ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo.

In tale ambito poi, si è d'altro canto precisato come la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implichi che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale (Cass. 7.3.19 n. 6598 e 15.9.11 n. 18853).

Da ciò derivandone:

- che la violazione di un obbligo scaturente dal matrimonio, compreso quello della fedeltà coniugale, non determina automaticamente conseguenze diverse dai rimedi previsti dall'ordinamento del diritto di famiglia, non essendo quindi possibile promuovere efficacemente una richiesta di danno per il semplice fatto che sia stato provato l'adulterio,

- che tuttavia, la violazione del dovere di fedeltà risulta risarcibile qualora l'afflizione provocata superi la soglia della tollerabilità e si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primo tra tutti il diritto alla salute ovvero alla dignità personale e all'onore.

Ciò detto per quanto attiene alla posizione del coniuge fedifrago e venendo invece alla posizione dell'amante, si osserva invece come il medesimo - pur non essendo ovviamente soggetto all'obbligo di fedeltà coniugale e non potendo quindi essere chiamato a rispondere per la violazione di tale dovere - ciò nonostante possa assumere il ruolo di corresponsabile quando, in forza della propria condotta e avuto riguardo alle modalità con cui si è svolta la relazione extraconiugale, abbia direttamente leso ovvero abbia concorso a violare diritti inviolabili quali la dignità e l'onore del coniuge tradito, affermandosi che ciò possa riscontrarsi laddove egli si sia ad esempio vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini nei confronti di terzi.

Restando evidente, in proposito, che al pari di una qualsiasi richiesta risarcitoria, spetterà al coniuge tradito l'onere di provare le predette circostanze ed altresì il nesso di causalità tra la condotta denunciata e il danno lamentato, in assenza dei quali l'amante andrà esente da responsabilità, essendo il suo comportamento inidoneo a integrare gli estremi del danno ingiusto ex art. 2043 c.c., essendosi egli limitato ad esercitare il diritto, costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità, che si concretizza anche nella libertà di scelta del partner amoroso.

Alla luce delle esposte premesse, rileva quindi il giudice come all'esito della fase istruttoria i testi B. e C. abbiano recisamente contestato la veridicità degli addebiti mossi dall'attrice nei confronti della F., negando categoricamente di aver avuto la benché minima conoscenza dell'esistenza di una eventuale relazione fra quest'ultima ed il P. e pure affermando di non aver mai assistito ad alcuna effusione ovvero manifestazione di affetto tra i due all'interno dei locali della ditta.

Quanto al teste B., la cui attendibilità è comunque da valutare con un minimo di cautela in ragione dei trascorsi che hanno condotto alla messa in liquidazione della compagine di cui era inizialmente socio assieme al P. e quindi alla instaurazione di una causa da parte del medesimo nei confronti dell'ex socio per il recupero di un credito di Euro 17.000,00, va invece rilevato come il medesimo si sia limitato a riferire:

- che tra i dipendenti delle due società sorte in seguito alla cessazione dell'attività di quella originaria, si vociferava dell'esistenza di una relazione tra la convenuta ed il P.,

- che quest'ultimo manifestava una particolare simpatia per la F.,

- che in un'unica occasione ebbe anche modo di presenziare ad effusioni affettive tra i due, avvenute all'interno del capannone cui avevano accesso i lavoratori di entrambe le compagini,

- che in più occasioni invece aveva rinvenuto in lacrime la F., la quale si era sfogata con lui delle insistenti attenzioni rivoltele dal P., talora anche per via telefonica,

- che il teste provvide ad informare la D.V. di siffatta situazione,

- che talora la F. si è rifiutata di spiegare questioni di contabilità alla D.V., asserendo che quest'ultima non era in grado di capirle poiché non aveva fatto gli studi di ragioneria,

- che il P. in più occasioni affermava, anche di fronte a clienti e fornitori della ditta, che la presenza della moglie in azienda era unicamente dovuta al fatto che ella aveva prestato fideiussioni in favore della compagine e che doveva considerarsi il bancomat dell'impresa.

Le quali circostanze inducono anch'esse a ritenere destituite di fondamento le doglianze manifestate dall'attrice essendo per la gran parte riferite - ad eccezione di un'unica occasione - avances e condotte di corteggiamento semmai imputabili al P. e non invece alla F., la quale al contrario ne rimaneva sconcertata e sconvolta.

Ciò che - quand'anche possa fornire elementi presuntivi dell'esistenza di una stabile relazione tra i menzionati soggetti - di certo non serve però a dimostrare l'esistenza di una condotta della convenuta volta a denigrare la dignità e l'onore della moglie del P., così come privi di qualsiasi valenza censurabile nei confronti della F. ai fini della domanda esperita in causa risultano:

- per un verso, il riferimento a vociferazioni dei dipendenti, le quali ben potrebbero essere sorte a fronte dell'univoco atteggiamento del P., che non risulta incoraggiato dalla propria dipendente se non nell'unica occasione di cui sopra,

- per altro verso, la circostanza che in qualche caso la medesima si sia rivolta in maniera non del tutto urbana nei confronti della D.V., trattandosi di condotta di minimo rilievo e comunque del tutto svincolata dalle vicende amorose oggetto della presente controversia.

Né a conclusioni sostanzialmente diverse conduce l'esame delle dichiarazioni rilasciate dalla teste Z., la quale si è limitata a confermare l'episodio dell'unico bacio scambiato tra i due e già riferito dal B..

Sicché, a sostegno delle pretese avanzate dalla D.V. potrebbero semmai unicamente restare le dichiarazioni rese dal teste M., il quale ha affermato:

- che fu il P. a raccontargli di aver intessuto una relazione extra coniugale con la F.,

- che all'inizio i due non facevano nulla per nascondere tale realtà, avendoli egli rinvenuti più volte molto vicini, pur senza aver assistito a baci od abbracci fra i medesimi,

- che in particolare era il P. ad avvicinarsi alla propria dipendente, la quale mal sopportava tali attenzioni,

- che ciò nonostante la moglie dapprima non parve accorgersi di nulla e poi cercò di non dare peso eccessivo alla vicenda,

- che in seguito il P. gli riferì del suo desiderio di stare con la F. e di essersi incontrato da solo con lei, affermando di essere stato sorpreso in cinque occasioni da terzi mentre faceva colazione con la medesima presso il bar di un albergo situato nei pressi dello svincolo dell'autostrada a Rovigo,

- che varie volte la convenuta ebbe a lamentarsi del fatto di essere perseguitata telefonicamente dal marito dell'attrice,

- che in più occasioni la medesima si rifiutò inoltre di rendere chiarimenti di natura contabile alla D.V., dal momento che la medesima non era ragioniera,

- che in molti casi il P. riferiva ai clienti ed ai fornitori della ditta che la presenza della moglie in azienda era unicamente dovuta al fatto di aver prestato fideiussioni in favore della compagine,

- che dopo l'allontanamento della D.V. la F. affermava di essere l'unica donna del P..

Anche siffatta testimonianza risulta peraltro in parte poco credibile ed in parte irrilevante ai fini decisori dal momento che:

- per un verso, il M. si è limitato a riferire condotte poste in essere dal P., di cui la F. non può ovviamente essere chiamata a rispondere, o comunque da lui raccontate, senza che delle medesime sussista peraltro alcun riscontro oggettivo delle medesime,

- per altro verso, lo stesso ha dato atto che la F. si schermiva e non accettava per nulla di buon grado le avances del suo datore di lavoro, così risultando dimostrato proprio il contrario dell'assunto attoreo.

Mentre, sotto un ulteriore profilo, alla luce delle concordi dichiarazioni rese da parte di tutti gli altri testi, i quali hanno sostanzialmente negato l'esistenza di manifestazioni affettive di alcun genere tra i due, ad eccezione di un unico bacio, appaiono assai poco credibili, ed anzi intrinsecamente contraddittorie, le affermazioni secondo cui:

- la F. ed il P. non avrebbero mai nascosto l'esistenza della tresca, manifestandola di fronte a tutti.

- la D.V. non si sarebbe accorta di quanto accadeva e, una volta portata a conoscenza della vicenda, avrebbe fatto finta di nulla, trattandosi di circostanza smentita dalla stessa attrice, che al contrario sostiene di essersi sempre fieramente

opposta alla relazione extraconiugale del marito,

- la convenuta, che avrebbe sempre sopportato con fastidio le avances del P., si sarebbe da ultimo viceversa vantata di fronte a tutti di esserne l'unica donna.

E ciò senza contare che non si capisce bene per quale motivo il M., che - quale allestitore degli stand per conto della società del P., non lavorava comunque all'interno dell'azienda - dovrebbe essere a conoscenza di tutti questi particolari della vicenda, viceversa negati o comunque sconosciuti a coloro che quotidianamente si recavano in loco.

Sicché conclusivamente - una volta riscontrato come a tutto concedere risulti dimostrata l'esistenza di una tresca di incerto spessore emotivo tra il P. e la F., caratterizzata in particolare da una serie di condotte moleste da parte del primo nei confronti della seconda, che le sopportava a fatica - non ritiene il giudicante che nella fattispecie si possa parlare di una liaison connotata da comportamenti della F. volti in alcun modo a denigrare l'attrice o comunque a lederne l'onore o la reputazione.

Né, a confutare quanto sin qui esposto vale riferirsi al contenuto della telefonata intercorsa fra le parti e registrata dalla D.V. (doc. 6 attoreo), la quale, se vale a confermare l'esistenza della relazione, certo però nulla dice in merito alla sussistenza delle asserite modalità vessatorie con cui essa sarebbe stata condotta.

E tanto meno può dedursi un qualsiasi intento persecutorio o molesto a carico della F. in relazione al fatto che la stessa - dopo essersi una prima volta dimessa dall'incarico ricoperto presso la ditta del P. - si prestasse poi ad essere riassunta, avendo la stessa attrice ben chiarito, in sede di interpello, di essere stata proprio ella a chiederle di tornare poiché aveva piena fiducia nelle sue capacità professionali.

Laddove siffatta circostanza - testimoniando della evidente ignoranza da parte della D.V. della asserita relazione intercorrente tra la F. ed il marito (che altrimenti non si comprenderebbe a quale scopo a tanto si fosse ciò nonostante determinata) - risulta poi anche ben idonea a dimostrare come la liaison, comunque assai poco strutturata, mantenesse in realtà i caratteri della sostanziale segretezza tanto che l'attrice, la quale era quotidianamente presente in ufficio, nessuna cognizione risultava avere di essa.

Il che, conclusivamente, comporta il rigetto delle domande formulate dalla D.V..

Quanto, infine, alle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo in forza dei parametri dettati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, le stesse gravano sull'attrice in forza del principio della soccombenza sancito dall'art. 91 c.p.c. dovendo, in proposito, sottolinearsi che la loro determinazione viene compiuta in complessivi Euro 5.700,00 sulla base del seguente prospetto:

Fasi processuali Liquidazione

Fase di studio Euro 1.300,00

Fase introduttiva Euro 900,00

Fase istruttoria Euro 1.500,00

Fase decisionale Euro 2.000,00

tenuto conto:

- dello scaglione di riferimento compreso fra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000,00 in ragione del valore della causa,

- della circostanza che si ritiene di liquidare i compensi in misura vicina al minimo, dal momento che l'ammontare della causa si situa in prossimità della soglia inferiore dello scaglione di riferimento.
P.Q.M.

Il Giudice, pronunciando in maniera definitiva sulla presente controversia, disattesa ogni diversa istanza:

1) rigetta le domande attoree;

2) condanna l'attrice a rifondere in favore della convenuta le spese processuali che liquida in Euro 5.700,00 per competenze, oltre al rimborso delle anticipazioni, delle spese generali, dell'IVA e degli accessori di legge.

Così deciso in Padova, il 24 giugno 2021.

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2021.
Avv. Antonino Sugamele

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