Assegnazione della casa familiare nella crisi del matrimonio e della convivenza
Preliminarmente va osservato che in tema di assegnazione della casa familiare nella crisi della coppia, sono al momento vigenti due distinte disposizioni normative che in più di un punto, anche rilevante, non coincidono. Si tratta dell'art. 337-sexies c.c. e il comma 6 dell'art. 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, c.d., "legge sul divorzio". Il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, infatti, per un verso ha introdotto nel Codice civile l'art. 337-sexies c.c., racchiudendo nel comma 1 di esso le stesse regole che la L. 8 febbraio 2006, n. 54 aveva inserito nel comma 6 dell'abrogato art. 155-quater c.c., per altro verso ha confermato la vigenza di parti del comma 6, art. 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, anch'esso destinato, appunto, a regolare l'assegnazione della casa familiare in caso di crisi tra i coniugi (art. 337-sexies c.c. ipertestuale commentato). Tuttavia, autorevole dottrina afferma che sia stata acquisita una identità di disciplina del diritto di abitazione nella separazione e nel divorzio [C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., Diritto di famiglia, Milano, 2014, 311].
2. Nozione
La casa familiare è il bene immobile in cui si svolgeva la vita familiare allorché la famiglia era unita (cfr. Cass., 20 gennaio 2006, n. 1198).
Applicando tale principio, si afferma che non può essere oggetto di un provvedimento di assegnazione un immobile in cui i coniugi avevano solo progettato di trasferirsi prima della crisi familiare, senza avere tuttavia ancora realizzato il loro proposito. D'altro lato, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che per casa familiare si può intendere solo l'immobile che costituisce ancora, al momento della separazione, il luogo in cui la famiglia vive (cfr. Cass., 9 settembre 2002 n. 13065, in Fam. e dir., 2002, 587): non può pertanto essere oggetto di assegnazione un immobile che i coniugi avevano già lasciato, seppure da poco tempo, prima della separazione.
A questo proposito, la giurisprudenza di merito ha affermato che l'allontanamento dalla precedente casa familiare comporta lo sradicamento dei figli da quell'ambiente di vita, recidendo il collegamento preesistente. Il ripristino di tale collegamento non può, a maggior ragione, essere stabilito dal Giudice allorquando la casa familiare, oramai abbandonata, appartenga a terzi, i quali abbiano recuperato il godimento del proprio immobile: tali terzi non possono rimanere assoggettati alle mutevoli ed imprevedibili vicende della vita della famiglia che occupava l'abitazione, ed agli altrettanto mutevoli ed imprevedibili provvedimenti che possano adottarsi nei procedimenti relativi alla crisi familiare: il loro diritto, dunque, si riespande in maniera definitiva ed irreversibile (Trib. Benevento, 16 dicembre 2015).
Quando uno dei coniugi chiede l'assegnazione di un immobile affermando che si tratta della casa familiare e l'altro contesta tale qualità dell'immobile, spetta a chi chiede l'assegnazione dimostrare la sussistenza della contestata qualità (Cass., 29 ottobre 1998, n. 10797 ). Si deve peraltro tenere presente che i dati che risultano dai registri anagrafici fanno sorgere una presunzione iuris tantum. Pertanto, se la famiglia anagrafica è registrata residente in un certo luogo, il coniuge che chiede l'assegnazione dell'immobile ove la famiglia è anagraficamente residente, non dovrà fornire alcuna prova, spettando all'altro che si opponga all'assegnazione l'onere di superare la presunzione.
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale si estende anche ai beni mobili che costituiscono l'arredo della abitazione, a meno che i coniugi non abbiano pattuito - anche al fuori dei patti omologati in una separazione consensuale - che alcuni beni mobili siano prelevati dalla casa coniugale dal coniuge che ne è proprietario esclusivo (cfr. Cass., 25 maggio 1998, n. 5189, in Fam. e dir., 1998, 570).
Giurisprudenza
L'art. 155-quater c.c., comma 1, (ora art. 337-sexies c.c. ) anche nella parte in cui dispone che il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, deve essere interpretato nel senso che la prova degli eventi che legittimano la revoca è a carico di colui che agisce chiedendola e tale prova deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l'assegnatario ed attestare in modo univoco che gli eventi medesimi sono connotati dal carattere della stabilità e cioè dell'irreversibilità, ed inoltre nel senso che il giudice investito della domanda di revoca deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l'assegnatario (App. Catania, 12 dicembre 2013).
In base all'art. 155-quater c.c., (ora art. 337-sexies c.c.) il giudice può assegnare la casa coniugale, onde tutelare l'ambiente domestico e familiare dei minori e, dunque, garantire la continuità delle abitudini di vita degli stessi, al genitore prevalente collocatario (Trib. Milano, sez. IX, 22 ottobre 2013).
Ove si operasse la decurtazione dal valore della casa familiare in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell'effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l'assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavare l'intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione (Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843).
3. Presupposti
Il primo presupposto dell'assegnazione del diritto di abitare nella casa familiare è che il coniuge dell'assegnatario o entrambi i coniugi abbiano la proprietà della casa o un altro diritto di godimento reale o personale.
Altro presupposto, secondo la giurisprudenza, è che il coniuge assegnatario sia affidatario di figli minori o conviva con figli maggiorenni non indipendenti economicamente. Tuttavia, il dettato legislativo sembrerebbe consentire una interpretazione più ampia. Nel prevedere il diritto di abitazione a norma dell'art. 337sexies c.c. occorre tener conto prioritariamente dell'interesse dei figli ad abitare nella propria casa. Secondo la dottrina l'uso dell'avverbio "prioritariamente" intende che può rilevare anche l'interesse del coniuge. Infatti, in mancanza di figli, l'abitazione della casa familiare potrebbe quindi essere eccezionalmente assegnata al coniuge che ne abbia un preminente e serio bisogno.
Giurisprudenza
Stante il richiamo dell'art. 155-quinquies c.c., (ora art. 337-sexies c.c.) all'art. 3, comma 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104 ed alle disposizioni a favore dei figli minori, ai fini dell'assegnazione della casa coniugale occorre considerare la convivenza del genitore con il figlio portatore di handicap grave. Può tuttavia farsi luogo ad assegnazione della casa già coniugale ad uno dei genitori, nell'interesse preminente dei figli minori (ai quali possono assimilarsi i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti ed i figli maggiorenni portatori di handicap grave) purché la casa sia abitata dai coniugi e dai figli fino all'instaurazione del procedimento di separazione o, almeno, fino a poco tempo prima: non può infatti parlarsi di casa coniugale allorché i coniugi siano separati di fatto da molti anni, e ciò indipendentemente dalle ragioni di tale separazione. Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12977.
In ipotesi di separazione personale dei coniugi, l'assegnazione della casa familiare, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, spetta di preferenza e ove possibile (perciò non necessariamente) al coniuge cui vengano affidati i figli medesimi, mentre, in assenza di figli, può essere utilizzata come strumento per realizzare (in tutto o in parte) il diritto al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri; nel primo caso, trattandosi di provvedimento da adottare nel preminente interesse della prole, il giudice può provvedere alla suddetta assegnazione anche in mancanza di specifica domanda di parte, mentre, nel secondo caso, trattandosi di questione concernente il regolamento dei rapporti patrimoniali tra coniugi, la suddetta assegnazione presuppone un'apposita domanda del coniuge richiedente il mantenimento, onde non è configurabile in ogni caso un dovere (e un potere) del giudice di identificare ed assegnare comunque la casa familiare anche in assenza di qualsivoglia istanza in tal senso. Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1783.
4. Disciplina applicabile
Alla casa familiare si applica l'art. 337-sexies c.c. Il quale prevede che:
1) il giudice assegna il godimento della casa familiare tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli;
2) il giudice deve tenere conto dell'assegnazione nella regolazione dei rapporti economici fra i coniugi;
3) il diritto al godimento della casa familiare viene meno nei casi in cui l'assegnatario:
non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa;
conviva more uxorio;
contragga nuovo matrimonio;
4) il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.
È ormai definitivamente risolto in senso affermativo il dubbio relativo alla possibilità di assegnare la casa familiare all'ex convivente more uxorio con cui continuino a vivere, dopo la cessazione della convivenza, figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti.
5. La natura del diritto del coniuge assegnatario
Ci si chiedeva, infatti, se dal provvedimento di assegnazione della casa coniugale derivasse, in capo all'assegnatario, un diritto qualificabile come diritto reale di abitazione, oppure soltanto un diritto personale di godimento (v. ex multis Cass., 12 aprile 2011, n. 8361).
Il vecchio testo dell'art. 155, comma 4, c.c. aveva dato luogo a qualche incertezza. In esso, infatti, si faceva espressamente riferimento alla "abitazione" e ciò poteva apparire come un riferimento testuale al diritto contemplato all'art. 1022 c.c. Il testo dell'art. 337-sexies c.c., che riprende quello dell'ormai abrogato art. 155quater c.c., dissolve invece qualsiasi dubbio. In esso infatti il legislatore si riferisce al "godimento" della casa familiare, confermando l'esattezza della conclusione secondo cui il diritto spettante all'assegnatario è un diritto personale di godimento, conclusione alla quale peraltro la giurisprudenza di legittimità era già pervenuta prima dell'intervento novellatore (cfr. Cass., 19 settembre 2005, n. 18476).
Focus
6. I limiti del potere del giudice in relazione alla casa coniugale
Il giudice, durante il giudizio di separazione o divorzio e con la sentenza che lo definisce, ha solamente il potere - ove ne ricorrano i presupposti - di assegnare all'uno o all'altro coniuge la casa familiare, con gli effetti di natura obbligatoria sopra menzionati. Può assegnare ad un coniuge solo una porzione dell'immobile se questo sia già diviso in due unità indipendenti e se tale soluzione realizzi al meglio l'interesse dei figli dei coniugi conviventi (cfr. Cass., 22 novembre 2010, n. 23591; Cass., 17 dicembre 2009, n. 26586 ).
Non può invece attribuire la proprietà della casa o un altro diritto reale all'uno o all'altro dei coniugi; neppure può prevedere un uso turnario dell'abitazione oppure assegnare l'immobile ad entrambi i coniugi disciplinandone l'utilizzo con riferimento ad alcuni locali di uso esclusivo ed alcuni di uso comune.
Perciò, nell'ambito di una separazione consensuale o di un divorzio congiunto, i coniugi possono prevedere il trasferimento della proprietà della casa coniugale dall'uno all'altro oppure dai genitori, o da uno di essi, ai figli; possono anche prevedere la costituzione di un diritto reale di usufrutto o di abitazione sulla casa coniugale a favore di un coniuge (cfr. Cass., 12 aprile 2006, n. 8516). Possono inoltre impegnarsi a vendere in futuro la casa comune (cfr. Cass., 22 novembre 2007, n. 24321) oppure prevedere la divisione del prezzo fra il coniuge proprietario e il coniuge assegnatario nel caso in cui il proprietario esclusivo del bene decidesse di venderlo (cfr. Cass., 29 marzo 2007 n. 7784). Infine, possono costituire un vincolo di destinazione sulla casa familiare ai sensi dell'art. 2645-ter c.c. (Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007 ) oppure istituire un trust a cui uno di essi o entrambi conferiscono la proprietà della casa (Trib. Milano, 23 febbraio 2005).
Giurisprudenza
L'assegnazione della casa coniugale, in caso di separazione o divorzio, è unicamente funzionale agli interessi esclusivi della prole e non già alle necessità del coniuge incolpevole. Al Giudice, pertanto, in circostanze siffatte è precluso il potere di far luogo all'assegnazione della casa al coniuge che non risulti assegnatario di figli, minori o maggiori di età, incolpevolmente non autosufficienti (Trib. Monza, 3 febbraio 2011).
03-10-2021 19:12
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