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Sentenza

Per iscrivere l’ipoteca giudiziale a garanzia dell’assegno divorzile basta la sentenza.
Per iscrivere l’ipoteca giudiziale a garanzia dell’assegno divorzile basta la sentenza.
Corte d'Appello di Milano, sentenza 25 settembre 2019 – 18 maggio 2020, n. 1154
Presidente Schiaffino – Estensore Ferrari da Grado

Svolgimento del processo

Con atto ritualmente notificato (omissis...) ha proposto tempestivo appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 9164/2018, R.G. n. 2051/2017, pubblicata in data 18/09/2018 che in ordine alle domande poste dalle parti ha così statuito:
"1. Ordina all'Ufficio del Territorio di Sondrio di provvedere alla cancellazione dell'ipoteca iscritta in data 2.12.2016 ai nn. 12451/1592 a carico di (omissis...), con esonero del competente Conservatore dei Registri immobiliari da ogni responsabilità al riguardo e con spese a carico della (omissis...),
2. Condanna la (omissis...) alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte attrice che si liquidano in Euro 25.000,00 per compensi professionali, oltre ad Iva e CPA come per legge,
3. Condanna la (omissis...) al pagamento della somma di Euro 10.000,00 a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 co. 2 c.p.c., oltre agli interessi tasso legale dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo”.
Lo svolgimento del giudizio di primo grado può essere riassunto come segue.
In data 10.1.2017 (omissis...), con atto di citazione notificato, ha convenuto dinnanzi al Tribunale di Milano l'ex moglie (omissis...) chiedendo di: accertare e dichiarare che egli non ha debiti pregressi verso la (omissis...) e che difettano i presupposti per mantenere a proprio carico l'iscrizione di ipoteca giudiziale iscritta in data 2.12.2016 ai nn. 12451/1592 a garanzia dei futuri versamenti dell'assegno di divorzio; dichiarare illegittima l'iscrizione ipotecaria; condannare la C i al risarcimento dei danni, anche a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. primo e/o secondo comma.
Con comparsa di costituzione e risposta del 26.4.2017 (omissis...) si è costituita chiedendo il rigetto di tutte le domande ex adverso formulate perché ritenute totalmente infondate in fatto e in diritto.
Ritenuta la causa matura per la decisione, senza introduzione di attività la causa passava in decisione.
Con la sentenza di primo grado, il giudice ha ordinato la cancellazione dell'ipoteca giudiziale, aderendo ad un orientamento della Corte di Cassazione (Cass n. 12309/2004; Cass. n. 12428/1991; Cass n. 5184/1979) che ha fornito un'interpretazione in tema di garanzie per il pagamento dell'assegno di separazione e di divorzio, in base al quale l'ex coniuge creditore sebbene abbia immediatamente titolo valido per procedere all'iscrizione ipotecaria ex art. 8 comma 2 L. 898/1970, in presenza di una sentenza di divorzio, tuttavia permane nella competenza del Giudice adito la verifica ex post della sussistenza in concreto delle condizioni per la garanzia ipotecaria nell'an e nel quantum, ossia il periculum di inadempimento in capo all'ex coniuge obbligato all'assegno. Sulla base di ciò il Tribunale ha dichiarato l'illegittimità dell'ipoteca iscritta a fronte della mancanza di idonei presupposti e della non equità e sproporzione operata dalla (omissis...) nella quantificazione della stessa.
Inoltre, il giudice ha condannato (omissis...), ai sensi dell'art. 96, comma II c.p.c. per responsabilità aggravata, al pagamento della somma di Euro 10.000,00 oltre agli interessi al tasso legale. In questa materia, il giudice ha aderito ad un recente orientamento della Cassazione (sentenza n. 6533 del 5.4.2016; sent. n. 23271 del 15/11/2016) alla luce del quale il soggetto che abbia agito in difetto della normale prudenza nell'iscrizione di ipoteca giudiziale incorre in responsabilità ex art. 96, comma secondo, cc. Nel caso di specie, il Tribunale ha affermato che la (omissis...), mediante l'iscrizione ipotecaria ritenuta illegittima e sproporzionata, ha posto in essere una forma di abuso del diritto processuale, in violazione del novellato art. 111 Cost. che impone una massima prudenza qualora si voglia fare uso degli strumenti processuali, mettendo così in pericolo lo svolgimento dell'attività imprenditoriale dell'ex coniuge, oltre ad aver costretto quest'ultimo a chiedere tutela giudiziale per ottenerne la cancellazione.
Avverso la sentenza del Tribunale di Milano ha proposto tempestivo appello (omissis...) rassegnando più motivi.
Con il primo motivo di appello, l'appellante censura la violazione e l'applicazione dell'art. 8, comma 2, della L. 898\1970 e dell'art. 2818 cc. In ordine a tali norme, ella contesta l'interpretazione sistematica fornita dal giudice e posta a fondamento della decisione di cancellazione dell'ipoteca. Al contrario, a suo avviso, si dovrebbe applicare alle stesse un criterio ermeneutico di tipo letterale tale per cui l'ex coniuge ha il diritto di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili dell'obbligato e la legittimità di tale garanzia non sarebbe vincolata alla sussistenza di ulteriori presupposti, se non quello della emissione della sentenza che ha riconosciuto un assegno divorzile in suo favore. Sempre ad avviso della (omissis...), anche qualora si dovesse interpretare le norme in via sistemica, il risultato sarebbe il medesimo, in quanto emergerebbe che il legislatore laddove abbia ritenuto necessaria la sussistenza del “pericolo di inadempimento”, lo ha inserito espressamente nella norma, come nelle ipotesi dell'art. 156 comma 4 e comma 6, cc.
Con il secondo motivo di appello, la (omissis...) si duole della valutazione ritenuta errata circa la sussistenza del pericolo di inadempimento in capo all'(omissis...) anche a fronte del mancato ingresso delle prove testimoniali richieste. In particolare, l'appellante avrebbe dato prova documentale dell'esposizione debitoria dell'ex coniuge ossia del concreto e attuale pericolo di inadempimento di quest'ultimo, e a fronte di ciò l'iscrizione dell'ipoteca sul 50% dell'immobile di (omissis...) di proprietà del (omissis...) avrebbe avuto legittima funzione cautelare.
Infine, con l'ultimo motivo di gravame, l'appellante lamenta l'applicazione dell'art. 96, comma 2, c.p.c. in quanto ritiene non sussistenti i presupposti per la condanna, a titolo di responsabilità aggravata, da individuarsi nell'inesistenza del diritto di credito e nella prova del danno patito.
Si è tempestivamente costituito l'appellato (omissis...) che ha contestato le argomentazioni ex adverso svolte, ribadendo quanto già sostenuto negli atti di primo grado, e pertanto, ha chiesto l'integrale conferma della sentenza del Tribunale.
All'udienza tenuta in data 21.5.2019, i procuratori delle parti a ciò invitati hanno precisato le conclusioni come in epigrafe trascritte, quindi la causa, all'esito del disposto scambio delle memorie di cui all'art. 190 c.p.c. è passata in decisione.

Motivi della decisione

Il primo motivo di gravame è fondato e l'appello sul punto merita accoglimento.
Alla luce anche degli atti difensivi di secondo grado, la questione dirimente della controversia attiene alla corretta interpretazione e applicazione del combinato disposto dell'art. 8 comma 2 L. 898/1970 e 2818 c.c. In materia la Corte deve premettere che, in via generale, l'ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c., quale diritto reale di garanzia, è un istituto posto a presidio del diritto del creditore ad essere pienamente soddisfatto, tutelandolo in via preventiva da un eventuale inadempimento posto in essere dal debitore, e con la peculiarità di conferire autonomia al creditore stesso nel procedere all'iscrizione della garanzia ogniqualvolta sia stata emesso in suo favore un provvedimento giudiziale con effetto di condanna al pagamento o altra obbligazione. Nello specifico ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, la facoltà di iscrivere ipoteca giudiziale è rispettivamente contenuta nell'art. 156, quinto comma, c.c. e nell'art. 8, secondo comma, legge n. 898/1970. Si aggiunga che il legislatore, molto recentemente, ha voluto estendere tale ipotesi anche in ambito di negoziazione assistita finalizzata alla separazione o al divorzio, ribadendo all'art. 5, comma 1, del D.L. 132\2014 che: “l'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”. Alla luce di tali disposizioni emerge, con sufficiente chiarezza, che il legislatore, in tutte le occasioni in cui ha disciplinato la materia, si è preoccupato di tutelare il coniuge a cui non sia addebitabile la separazione e che sia beneficiario di un assegno divorzile mettendolo al riparo dalle disposizioni di carattere patrimoniale dell'ex coniuge non attuali e non prevedibili alla data del provvedimento giudiziale, idonei a non garantire il particolare adempimento di tipo assistenziale dovuto in suo favore. La ratio legis di tale quadro normativo deve essere individuata innanzitutto alla luce della recente e innovativa interpretazione delle Sezioni Unite dell'11.07.18 con sentenza n. 18287 avente ad oggetto proprio l'assegno divorzile ex art. 5 della legge 898\1970, definitivamente affermando, tra l'altro, che i principi di uguaglianza dei coniugi, autoresponsabilità e solidarietà ex art. 2, 3 e 29 Cost. rilevano anche nella definizione dei singoli profili economici-patrimoniali post matrimonio, mantenendo in vita, dunque, l'obbligo di reciproca assistenza e di collaborazione in capo agli ex coniugi. In questo senso, pertanto, l'assegno divorzile, così come riconosciuto e ritenuto adeguato dal giudice di merito, svolge la necessaria funzione assistenziale e compensativa-perequativa. Ne consegue che per consentire tale funzione, protetta dunque anche costituzionalmente, occorre inevitabilmente garantire attraverso gli strumenti di legge l'esatto adempimento contenuto nell'assegno. Peraltro, si deve porre in luce che in tale specifico ambito il credito vantato dal coniuge separato, salvo l'eccezione della soluzione unica, dà luogo ad un'obbligazione periodica, avente ad oggetto prestazioni autonome e distinte nel tempo che diventano esigibili alle rispettive scadenze, evidentemente destinato così a mantenere la sua validità in un tempo futuro generalmente molto lungo e sottoponendosi quindi alla mutevolezza delle condizioni socio-economiche di entrambi i coniugi, elemento che se da un lato potrebbe eliminare i presupposti dell'assegno, da un altro potrebbe pregiudicare la posizione creditoria del coniuge beneficiario. Pertanto, anche in considerazione di possibili atti di disposizione del coniuge obbligato non preventivabili e pregiudizievoli nei confronti del creditore, il credito in questione deve essere tutelabile, come tale, sin dal momento della sua insorgenza in forza di provvedimento giudiziale (v. Cass., sent. 5618 del 07/03/2017). Così interpretando, l'ipoteca giudiziale ex art. 156, comma 5, c.c. e art. 8, comma 2, della L. 898\70, risulta essere un adeguato strumento di garanzia preventiva attivabile unicamente e immediatamente all'emissione di un provvedimento giudiziale di cui all'art. 2818 c.c., senza la necessità di ulteriori requisiti.
Tanto detto, non può allora trovare condivisone l'interpretazione sistematica dell'intero articolo 156 c.c. fornita dal giudice di prime cure ed ancorata ad un orientamento risalente della Cassazione (sent. n. 12309\2004). Infatti, dalla lettura della disposizione in esame, emerge una sorta di graduazione tra gli strumenti che il legislatore ha messo a disposizione del creditore per ottenere soddisfazione degli obblighi di mantenimento posti a carico del coniuge debitore, prevedendo, nei diversi commi, diverse ipotesi specifiche distinte anche in base al soggetto a cui è riservata l'iniziativa. E così al comma 3 si attribuisce già al giudice il potere anche d'ufficio, in corso di causa, di imporre di prestare idonea garanzia reale o personale qualora sussista un pericolo di inadempimento degli obblighi individuati in sentenza; ed ancora, al comma 6 il giudice, in caso di inadempienza ma stavolta solo su istanza di parte interessata, può adottare un provvedimento di natura cautelare costituito dal sequestro di beni mobili o immobili del debitore medesimo, ovvero ordinare a terzi obbligati verso il coniuge debitore – ad esempio al datore di lavoro dell'obbligato – il pagamento delle somme previste dall'assegno direttamente al coniuge beneficiario; all'ultimo comma, il potere del giudice di revocare o modificare quanto stabilito in caso di eventi sopravvenienti che abbiano modificato le situazioni socio economiche dei coniugi. Pertanto, in tale quadro normativo, il comma 5 che conferisce alla sentenza di condanna il titolo per iscrivere ipoteca giudiziale, individua un'ulteriore modulazione della garanzia del credito rimessa totalmente alla iniziativa e alla valutazione del coniuge creditore.
Sulla scorta di quanto finora esplicato, questo Collegio ritiene che l'estensione analogica del presupposto del periculum anche all'ipotesi di riconoscimento dell'assegno divorzile di cui all'art. 8 della L. 898\1970 non risulta essere fondata, in considerazione sia del tenore letterale delle norme dell'art. 156 c.c. e dell'art. 8 della L. 898\70 idoneo ad evidenziare una volontaria e consapevole omissione del legislatore sia della delicata funzione svolta dall'assegno divorzile dianzi descritta e relativa al soddisfacimento di un credito sui generis.
A questo punto per una corretta soluzione della controversia, è opportuno completare l'esame della disciplina, la quale in base a quanto sinora detto potrebbe, in apparenza, far emergere unicamente un favor creditoris. Invero, il legislatore per tutelare il debitore, qualora fosse vittima dell'abuso dello strumento di garanzia da parte del creditore, in termini di iniqua valutazione del credito e della cautela, ha posto in suo favore la facoltà di agire per ottenere la riduzione dell'ipoteca iscritta ex artt. 2872 ss. cc. In questo senso dunque la riduzione, se accertata dall'autorità giudiziaria, consente di riequilibrare le posizioni, continuando a garantire il creditore senza che possa essere arrecato pregiudizio al debitore. Tuttavia, ciò significa che anche qualora sia accertata una sproporzione tra il credito e il valore del bene ipotecato, non si può giungere alla cancellazione in toto dell'iscrizione ipotecaria, sopprimendo così il diritto di garanzia del creditore previsto ex lege e relativo ad un credito ancora esistente e meritevole di tutela per le ragioni prima individuate. Peraltro, le cause di estinzione dell'ipoteca sono individuate all'art. 2878 cc. Ad ogni modo, è di assoluta preminenza il fatto che (omissis...) nel presente procedimento, ha scelto di agire in primo grado per ottenere la cancellazione dell'iscrizione ipoteca e non ha domandato, neppure in via subordinata, una riduzione della stessa ex art. 2872 cc., e la stessa è stata riproposta in secondo grado, atteso il noto divieto de nova ex art. 345 c.p.c. Ed allora, la Corte, pronunciandosi su quanto chiesto, deve respingere la richiesta di cancellazione in toto della detta garanzia. Infatti, è di tutta evidenza che (omissis...) a prescindere dal comportamento da lui posto in essere in termini di adempimento, risulta essere debitore nei confronti della ex coniuge (omissis...) in forza del provvedimento che ha sancito lo scioglimento del matrimonio con quest'ultima, per un credito da dover soddisfare mensilmente e costantemente in un tempo futuro, fin quando il giudice competente non disponga diversamente ex art. 9, della L. 898\70. Ne consegue che la (omissis...) ha legittimamente esercitato il diritto di garantire il proprio credito mediante iscrizione di ipoteca giudiziale sul 50 % dell'immobile di proprietà dell'(omissis...), in forza delle norme di legge di cui prima e per tale ragione, una eventuale cancellazione di tale garanzia non troverebbe alcun fondamento giuridico e anzi, costituirebbe un danno alla posizione creditoria dell'ex coniuge. Tanto detto, la valutazione circa la sussistenza del pericolo di inadempimento, invocata da (omissis...) non era richiesta alla (omissis...) al momento dell'iscrizione ipotecaria e non è rimessa in alcun modo a questa Corte, la quale - si ribadisce - non ritiene necessaria la sussistenza di tale presupposto per procedere ex art. 2818 cc. In questo senso, in accoglimento dell'appello proposto la sentenza di primo grado dovrà essere riformata laddove ha erroneamente disposto la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria in favore della (omissis...) per aver ritenuto insussistente un pericolo di inadempimento in capo.
Per quanto deciso sinora, il secondo motivo d'appello è da ritenersi assorbito.
Il terzo e ultimo motivo di gravame risulta essere altresì fondato e l'impugnazione sul punto deve essere accolta con conseguente riforma della sentenza. A norma dell'art. 96, comma 2, c.p.c. “Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”. Dal presupposto di tale diposizione, si deve dare atto che è venuto a formarsi un nuovo orientamento giurisprudenziale molto recente (v. Cass., sez. 3, sent. nn. 6533/2016 e 23271/2016), parametrato soprattutto sul novellato art. 111 Cost., alla luce del quale “Il creditore che, senza adoperare la normale diligenza, iscriva ipoteca su beni per un valore sproporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri previsti dagli artt. 2875 e 2876 c.c., incorre, qualora sia accertata l'inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l'ipoteca giudiziale medesima, nella responsabilità prevista dall'art. 96, comma 2, c.p.c., configurandosi un abuso della garanzia patrimoniale in danno del debitore”. In considerazione di tale principio nomofilattico emerge ictu oculi – soprattutto a seguito della lettura del testo integrale delle sentenze – che le nuove linee di sviluppo della giurisprudenza intendono individuare nella responsabilità aggravata ex art. 96 comma 2, c.p.c. un valido deterrente all'abuso del diritto, in particolare processuale, anche in sintonia con la ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. e dei generali principi di buona fede e solidarietà ex art. 2 Cost. Tuttavia, si evince con altrettanta evidenza che, in ambito di rapporti tra creditore e debitore, l'iscrizione ipotecaria configura un abuso del diritto del creditore, e quindi addebitando una responsabilità aggravata ex art. 96 comma 2, c.p.c., solo qualora sia stata accertata l'inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l'ipoteca giudiziale medesima. Oltre tale ipotesi, resta invece possibile configurare a carico del medesimo una responsabilità processuale a norma dell'art. 96, comma 1, c.p.c., qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell'ipoteca, con dolo o colpa grave (in questo senso, Cass., Sez. 1, sent. n. 17902 del 30/07/2010; Cass., sent. n. 9307 del 09/11/1994). In applicazione di tali principi al caso in esame, si deve rilevare che è stata già accertata la sussistenza del credito in favore della (omissis...) in forza del provvedimento di divorzio, e pertanto non è possibile addebitare in capo a quest'ultima una responsabilità ex art. 96, comma 2, c.p.c. per aver iscritto ipoteca sullo stesso. Neppure è possibile condannarla a titolo di responsabilità processuale a norma dell'art. 96, comma 1, c.p.c. atteso che ella non ha resistito ad una domanda di riduzione dell'ipoteca, bensì ad una domanda di cancellazione della stessa. Ne consegue che la Corte non ritiene di individuare un profilo soggettivo di colpa in capo all'odierna appellante per aver reagito all'azione ex adverso avanzata. Ciò detto, la sentenza di primo grado deve essere riformata nella parte in cui ha ritenuto erroneamente di condannare (omissis...), a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c. al pagamento della somma di Euro 10.000,00, oltre agli interessi legali.
Sulla scorta degli esposti rilievi l'appello in esame si appalesa fondato e deve pertanto essere accolto. Si impone pertanto la riforma integrale della sentenza di primo grado attesa l'infondatezza della domanda colà svolta da (omissis...), domanda che deve essere respinta.
L'esito complessivo della lite in ragione della soccombenza dell'appellato, (omissis...), impone la condanna di quest'ultimo alla rifusione delle spese processuali del primo e secondo grado a favore di (omissis...), che si liquidano come in dispositivo avuto riguardo alle tariffe di cui al D.M. 55/14, tenuto conto sia del valore della controversia, sia della attività difensiva in concreto svolta.

P.Q.M.

La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:
- in accoglimento dell'appello e in riforma integrale della sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 9164/2018 pubblicata il 18.9.2018 rigetta la domanda spiegata da (omissis...);
- condanna quest'ultimo alla rifusione in favore (omissis...) delle spese del primo e del presente grado di giudizio, spese che liquida quanto al primo grado in Euro 25.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario del 15% e oneri accessori e quanto al secondo grado in Euro 13.560,00 per compensi, oltre rimborso forfettario del 15% ed accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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