Divorzio.
FASE PRESIDENZIALE
FASE DAVANTI AL GIUDICE ISTRUTTORE
FASE DECISORIA
APPELLO
DIVORZIO SU DOMANDA CONGIUNTA
PROCEDURE DEGIURIDIZIONALIZZATE
EFFETTI DELLA SENTENZA DI DIVORZIO
COMPETENZA PER MATERIA: competente per materia è il Tribunale ordinario in composizione collegiale.
COMPETENZA PER TERRITORIO: è competente il Tribunale del luogo:
• dell'ultima residenza comune dei coniugi. La Corte Costituzionale relativamente a questo criterio ha dichiarato incostituzionale l'art. 4, comma 1, legge n. 898/1970 (come modificato dalla legge n. 80/2005), nella parte in cui, nelle cause di scioglimento e/o cessazione degli effetti civili del matrimonio, prevede quale criterio prioritario, per la determinazione della competenza territoriale, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi (Corte Cost. 23.5.2008, n. 169). Secondo il giudice delle leggi la previsione, tra i criteri di competenza per territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, di quello del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, è manifestamente irragionevole ove si consideri che negli indicati procedimenti, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione - giudiziale o consensuale - sono stati autorizzati a vivere separatamente, sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma;
• in cui il convenuto ha residenza o domicilio quando i coniugi non abbiano mai avuto una residenza comune;
• di residenza o di domicilio del ricorrente qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero, o risulti irreperibile;
• qualunque tribunale della Repubblica nell'ipotesi in cui anche il ricorrente è residente all'estero;
• di residenza o di domicilio dell'uno o dell'altro coniuge nel caso di domanda congiunta (art. 4 legge n. 898/1970).
La Corte Costituzionale con la sentenza 23.5.2008, n. 169, ha confermato che i criteri di individuazione della competenza indicati dall'art. 4, comma 1, della legge sul divorzio sono progressivi e non alternativi.
Fino a prova contraria la residenza è quella anagrafica, tuttavia è consentito alle parti dimostrare la mancata coincidenza della residenza effettiva rispetto a quella anagrafica e quindi radicare la causa nel circondario del Tribunale ove è situata la residenza effettiva (Cass. 22 luglio 1995, n. 8049).
La competenza territoriale è inderogabile ex art. 28 c.p.c. con la conseguente rilevabilità anche d'ufficio, ex art. 38, comma 1, c.p.c., non oltre la prima udienza di trattazione in caso di incompetenza.
FORMA DELLA DOMANDA: la domanda giudiziale di divorzio si propone con ricorso (art. 4 legge n. 898/1970).
CONTENUTO: il ricorso deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata, nonché gli elementi minimi di cui all'art. 125 c.p.c. ovvero l'indicazione:
• del giudice,
• delle parti (nome, cognome, codice fiscale, residenza o domicilio),
• dell'oggetto della domanda (petitum),
• dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda, con le relative conclusioni (causa petendi);
• dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi.
Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi (art. 4, comma 4, legge n. 898/1970).
Il ricorso introduttivo del giudizio di divorzio rappresenta l'atto di riscontro della tempestività delle domande proposte dal ricorrente, cosicché la domanda del ricorrente, non contenuta nel ricorso introduttivo ma avanzata nella fase dinanzi al presidente del tribunale soggiace alla sanzione dell'inammissibilità , siccome introduce, nell'originario contenzioso, un nuovo tema di indagine (Cass. 24.2.2006, n. 4205).
La costituzione dell'attore si perfeziona al momento e per effetto del deposito del ricorso cui conseguono gli adempimenti di formazione del fascicolo d'ufficio e iscrizione dell'affare nel ruolo generale (art. 36 disp. att. c.p.c.).
Con il ricorso devono essere prodotti i seguenti documenti:
1. estratto dell'atto di matrimonio;
2. stato di famiglia;
3. certificato di residenza;
4. copia dei seguenti documenti:
• copia autentica della sentenza penale di condanna nel caso in cui il ricorso venga presentato perchè ricorre quale causa per richiedere il divorzio una delle ipotesi di cui alle lett. a), b), c), d) dell'art. 3, n. 1, legge n. 898/1970;
• copia autentica delle sentenze indicate rispettivamente nelle ipotesi di cui alle lett. a), c), d), g) dell'art. 3, n. 2, legge n. 898/1970;
• copia autentica della sentenza che abbia pronunciato la separazione o del provvedimento di omologazione della separazione consensuale nelle ipotesi dell'art. 3, n. 2, lett. a), legge n. 898/1970;
• copia del provvedimento di annullamento o di scioglimento del matrimonio pronunciato in un diverso Stato, oppure la certificazione del matrimonio contratto all'estero dall'altro coniuge nell'ipotesi di cui all'art. 3, n. 2, lett. e), legge n. 898/1970;
• copia sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso passata in giudicato nell'ipotesi di cui all'art. 3, n. 2, lett. g), legge n. 898/1970.
COMUNICAZIONE ALL'UFFICIALE DI STATO CIVILE: il cancelliere dà comunicazione del ricorso all'ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l'annotazione in calce all'atto (art. 4, comma 3, legge n. 898/1970).
ALLEGAZIONE DELLE DICHIARAZIONI DEI REDDITI: al ricorso e alla prima memoria difensiva del convenuto sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate dalle parti (art. 4, comma 6, legge n. 898/1970).
I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune (art. 5, comma 9, legge n. 898/1970).
In caso di contestazioni afferenti la rispondenza delle risultanze fiscali alla effettiva situazione economica- patrimoniale del soggetto il tribunale può disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita di ciascuno dei coniugi, avvalendosi se del caso, anche della polizia tributaria.
L'inosservanza dell'onere imposto ai coniugi di presentare all'udienza di comparizione dinanzi al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi ed ogni documentazione concernente i redditi medesimi nonché il patrimonio personale e comune, non determinando la formale inidoneità allo scopo del ricorso introduttivo, non è causa di nullità (Cass. 19.3.1992, n. 3426).
PARTI DEL PROCESSO: i coniugi sono parti del processo di divorzio.
Quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace il presidente nomina un curatore speciale (art. 4, comma 5, legge n. 898/1970).
Il coniuge legalmente incapace non può proporre, neppure a mezzo di proprio rappresentante legale, azione di separazione personale, ma ben può, se convenuto in giudizio dall'altro coniuge, costituirsi in giudizio a mezzo del proprio rappresentante, formulando domanda riconvenzionale e ciò per estensione analogica dell'art. 4, comma 5, della legge sul divorzio che dispone per il giudice di nominare per il convenuto, che sia malato di mente o legalmente incapace un curatore speciale.
L'incapace può, per mezzo di un curatore speciale, essere convenuto nel giudizio di divorzio e a seguito di estensione analogica agire in giudizio per ottenere il divorzio (Cass. 21.7.2000, n. 9582).
La domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta, in nome e per conto del coniuge incapace, non dal curatore speciale, bensì dal tutore provvisorio, ovvero dall'amministratore di sostegno provvisorio è improponibile (Trib. Caltanisetta, 13 giugno 2016).
ASSISTENZA TECNICA: l'assistenza del difensore è obbligatoria. I coniugi devono comparire personalmente davanti al presidente del tribunale, salvo gravi e comprovati motivi, e con l'assistenza del difensore (art. 4, comma 7, legge n. 898/1970).
PROCURA ALLE LITI: quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura (art. 83, comma 1, c.p.c.).
La procura alle liti può essere generale o speciale e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 83, comma 2, c.p.c.).
La procura speciale può anche essere apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, del controricorso, della comparsa di risposta o d'intervento, del precetto, o della domanda d'intervento nell'esecuzione, ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato. In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica (art. 83, comma 3, c.p.c.).
La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo quando nell'atto non è espressa volontà diversa (art. 83, comma 4, c.p.c.).
DIFESA PER I NON ABBIENTI: le norme del testo unico in materia di spese di giustizia e di patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti si applicano anche al processo civile (art. 2 D.P.R. 30.5.2002, n. 115).
Condizione per essere ritenuto non abbiente è la titolarità di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore ad euro 11.528,41 (limite di reddito aggiornato dal Decreto Ministro della Giustizia 7 maggio 2015 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 agosto 2015).
I limiti di reddito sono adeguati ogni due anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (art. 77 D.P.R. n. 115/2002).
Nella nozione di reddito, ai fini dell'ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, che pur non rilevando agli effetti del cumulo potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all'interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 c.c., quali il tenore di vita ecc. (Corte Cost. n. 382/1985).
Quindi, ai fini della valutazione del superamento dei limiti di cui all'art. 76 D.P.R. n. 115/2002 qualsiasi introito percepito con caratteri di non occasionalità confluisce nel patrimonio personale assumendo rilevanza anche i redditi derivanti da attività illecite o quelli per i quali l'imposizione fiscale è stata esclusa (Cass. pen. 12.10.2010, n. 36262).
Se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi (art. 76 D.P.R. n. 115/2002).
L'istanza redatta in carta semplice deve, a pena di inammissibilità, essere sottoscritta direttamente dall'interessato e contenere:
• la richiesta di ammissione al patrocinio e l'indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
• le generalità dell'interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
• una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 46, comma 1, lett. o), del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'art. 76;
• l'impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell'anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell'istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione (art. 79, comma 2, D.P.R. 30.5.2002, n. 115).
Per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato (art. 79, comma 2, D.P.R. 30.5.2002, n. 115).
L'istanza va spedita a mezzo raccomandata o presentata al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati presso il giudice competente a conoscere la causa nel merito, oppure del luogo ove già pende il procedimento, oppure del luogo dove è stato emesso il provvedimento.
Gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell'ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato (art. 79, comma 3, D.P.R. 30.5.2002, n. 115).
L'istanza può essere proposta in ogni stato e grado del giudizio.
Chi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato può nominare un difensore di sua scelta tra gli iscritti all'albo degli avvocati anche al di fuori del distretto della Corte d'Appello ove ha sede il giudice che procede (art. 80 D.P.R. n. 115/2002).
SANZIONI: chiunque, al fine di ottenere o mantenere l'ammissione al patrocinio, formula l'istanza, corredata dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, attestante falsamente la sussistenza o il mantenimento delle condizioni di reddito previste, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca con efficacia retroattiva e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato. Le stesse pene sono applicate nei confronti di chiunque al fine di mantenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, omette di formulare la comunicazione delle variazioni rilevanti dei limiti di reddito a cui è tenuto fino a che il processo non sia definito (art. 125 D.P.R. 30.05.2002, n. 115).
INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO: il P.M. non è parte e non ha potere di azione, tuttavia, deve intervenire nel procedimento a pena di nullità rilevabile d'ufficio. L'intervento obbligatorio del P.M. è espressamente previsto anche dall'art. 5 legge n. 898/1970.
In caso di mancato intervento del P.M. al giudizio di primo grado, la nullità della sentenza, si converte in motivo di impugnazione in base al combinato disposto degli artt. 158-161 c.p.c., ossia può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell'appello e non va rilevata d'ufficio (Cass. 6.3.1992, n. 2699).
FASE PRESIDENZIALE
PROCEDIMENTO: il presidente del tribunale fissa con decreto in calce al ricorso, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso in cancelleria, la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, e il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti (art. 4, comma 5, legge n. 898/1970).
Il termine di cinque giorni è un termine ordinatorio posto che hanno tale natura tutti i termini che la legge non dichiara espressamente perentori (art. 152, comma 2, c.p.c.).
L'inosservanza del termine fissato per la notificazione del ricorso e del decreto non comporta, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso e, quindi, deve essere concesso un nuovo termine, onde garantire il rispetto del contraddittorio e non lasciare pendente un ricorso ritualmente introdotto (Cass. 14.9.2004, n. 18448).
La notificazione deve essere effettuata secondo le regole generali di cui agli artt. 137 ss. c.p.c.
UDIENZA PRESIDENZIALE: i coniugi debbono comparire personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, davanti al presidente con l'assistenza del difensore (art. 4, comma 7, legge n. 898/1970).
Il convenuto non ha l'obbligo di costituirsi per l'udienza presidenziale e ha facoltà di depositare una memoria cui va allegata la dichiarazione dei redditi. I termini per la costituzione del coniuge convenuto e quelli di decadenza per formulare le domande riconvenzionali si computano in base alla data di udienza avanti al giudice istruttore e non alla data dell'udienza presidenziale. Ed invero deve intendersi quale udienza di prima comparizione, rilavante ai sensi dell'articolo 180 c.p.c., e degli articoli 166 e 167 c.p.c. esclusivamente quella innanzi al giudice istruttore nominato all'esito della fase presidenziale (Cass. 2 luglio 2014, n. 15143).
Se l'attore non si presenta o rinuncia la domanda non ha effetto. Analogamente l'estinzione si verifica se oltre all'attore non si presenta anche il convenuto.
Se è solo il convenuto a non presentarsi, invece, il giudice potrà scegliere se fissare una nuova udienza per rinnovare il tentativo di conciliazione ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata (art. 4, comma 8, legge n. 898/1970) o considerare lo stesso come non andato a buon fine e sentito il ricorrente e il difensore emettere i provvedimenti temporanei ed urgenti di sua competenza (art. 4, comma 8, legge n. 898/1970). L'opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza tenendo conto delle ragioni della mancata presentazione spetta all'insindacabile discrezionalità del giudice e l'esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 31.8.2008, n. 8386).
TENTATIVO DI CONCILIAZIONE: il presidente all'udienza di comparizione provvede all'audizione dei coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione (art. 4, comma 7, legge n. 898/1970).
Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione e il procedimento si chiude (art. 4, comma 7, legge n. 898/1970).
Se la conciliazione non riesce il presidente procede per l'adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti ritenuti opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole.
PROVVEDIMENTI PROVVISORI: il presidente, se la conciliazione dei coniugi non riesce, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d'ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo.
Se il coniuge convenuto non compare il presidente provvede nello stesso modo sentito il ricorrente e il suo difensore (art. 4, comma 8, legge n. 898/1970).
Il potere del presidente di adottare i provvedimenti temporanei e urgenti si estende anche ai rapporti patrimoniali ed implica la facoltà di incidere a titolo provvisorio sulle condizioni eventualmente diverse del rapporto di separazione. Pertanto, nell'esercizio di detto potere il presidente del tribunale può riconoscere un emolumento mensile al coniuge che risulti averne bisogno, indipendentemente dal fatto che le clausole della separazione non lo prevedano o lo prevedano in misura inferiore. In tal caso il provvedimento presidenziale che stabilisce in via provvisoria la spettanza e la misura dell'assegno divorzile non si cumula con il titolo formato in sede di separazione ma si sovrappone a esso e si fonda su criteri di determinazione autonomi e distinti (Cass. 14.10.2010, n. 21245).
Prima dell'emanazione dei provvedimenti provvisori riguardo ai figli di cui all'art. 337-ter c.c., il presidente può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova e potrà disporre, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento (art. 337-octies c.c.; art. 4 , comma 8, legge 1970, n. 898).
Se successivamente all'emissione dei provvedimenti presidenziali, nessuna delle due parti compare in udienza dinanzi al giudice istruttore i provvedimenti presidenziali mantengono la loro efficacia a norma dell'art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c.
I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore (art. 4, comma 8, legge n. 898/1970).
Il potere di revoca o modifica del giudice istruttore può essere esercitato non soltanto ove siano intervenuti mutamenti dello stato di fatto, ma anche per una diversa valutazione di circostanze non considerate nell'ordinanza presidenziale (Cass. 10.8.1990, n. 8125).
RECLAMO CONTRO I PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI: avverso l'ordinanza presidenziale emessa ai sensi dell'art. 4 della legge n. 898/1970 è ammesso reclamo ex art. 708 c.p.c., atteso che tale disposizione in combinato disposto con l'art. 4 legge n. 54/2006, estende l'applicabilità della disciplina dettata in materia di separazione dei coniugi all'istituto della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Il reclamo contro i provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal presidente del tribunale nel corso dell'udienza presidenziale si propone nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio (art. 708, comma 4, c.p.c.).
Il reclamo ha lo scopo di permettere una rivisitazione dell'ordinanza presidenziale sulla base degli atti già da questo esaminati, in modo da porre in evidenza eventuali errori di valutazioni o contrasti con le emergenze risultanti dalle produzioni delle parti e dalla limitata attività istruttoria concessa al Presidente in sede di tentativo di conciliazione, senza alcuna anticipazione dell'istruttoria vera e propria demandata al Giudice istruttore.
I mutamenti della situazione di fatto successivi alla pronuncia dell'ordinanza presidenziale, le ulteriori deduzioni delle parti, il deposito di nuovi documenti e la richiesta di accertamenti istruttori dovranno essere sottoposti alla cognizione del giudice istruttore.
ORDINANZA PRESIDENZIALE: l'ordinanza resa dal Presidente del Tribunale è titolo esecutivo (art. 189 disp. att. c.p.c.).
L'articolo 4, comma 8 della legge sul divorzio espressamente prevede l'applicazione anche in tale procedimento dell'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
L'ordinanza conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo, fino alla sostituzione con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito di nuova presentazione del ricorso per divorzio (art. 189, comma 2, disp. att. c.p.c.).
Mentre non costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (Cass. 25.11.2000, n. 1100), è, invece, titolo esecutivo per il rilascio avendo l'idoneità a consentire l'immissione nel possesso del bene al coniuge assegnatario (Trib. Nocera Infer. 27.1.2005).
NOMINA GIUDICE ISTRUTTORE E FISSAZIONE DI UDIENZA: con la medesima ordinanza con la quale provvede nell'interesse dei coniugi e della prole adottando provvedimenti temporanei e urgenti, il presidente del tribunale deve nominare il giudice istruttore e fissare l'udienza avanti allo stesso. Tale ordinanza, se assunta in udienza, dovrà essere comunicata dalla cancelleria solo al P.M quando entrambi le parti sono costituite, se invece viene emessa con lo scioglimento della riserva dovrà essere comunicata alle parti costituite a norma dell'art. 134 c.p.c.
Mentre l'ordinanza con la quale il presidente fissa l'udienza di comparizione davanti al giudice istruttore deve essere notificata, cura dell'attore nel termine perentorio stabilito nell'ordinanza stessa, al convenuto che non sia comparso all'udienza presidenziale.
Tra la data dell'ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell'udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all'art. 163 bis c.p.c. ridotti a metà e, quindi, 45 giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di 60 giorni se si trova all'estero (art. 4, comma 9, legge n. 898/1970).
TERMINI ALLE PARTI PER DEPOSITO MEMORIE: con l'ordinanza presidenziale il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all'art. 163, comma 3, nn. 2), 3), 4), 5) e 6), c.p.c. e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167, comma 1 e 2, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio.
L'ordinanza deve contenere l'avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c. e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio (art. 4, comma 10, legge n. 898/1970).
FASE DAVANTI AL GIUDICE ISTRUTTORE
CONTENUTO DELLA MEMORIA INTEGRATIVA RICORRENTE: la memoria integrativa che il ricorrente ai sensi dell'art. 4 legge n. 898/1970 deve depositare in cancelleria nel termine indicato nell'ordinanza presidenziale deve avere il contenuto di cui all'art. 163, comma 3, nn. 2), 3), 4), 5) e 6) c.p.c. e quindi:
• la determinazione della cosa oggetto della domanda;
• l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;
• indicare i mezzi di prova dei quali il ricorrente intende valersi e in particolare i documenti che offre in comunicazione;
• il nome e cognome del procuratore e l'indicazione della procura qualora questa sia già stata rilasciata.
La memoria integrativa non può contenere domande nuove rispetto a quelle indicate nel ricorso introduttivo. Se la domanda del ricorrente, non contenuta nel ricorso introduttivo ma avanzata nella fase dinanzi al presidente del tribunale soggiace alla sanzione dell'inammissibilità, siccome introduce, nell'originario contenzioso, un nuovo tema di indagine (Cass. 24.2.2006, n. 4205) a maggior ragione la domanda integrativa non può contenere domande nuove.
COSTITUZIONE DEL CONVENUTO: il convenuto si deve costituire in giudizio, nel termine indicato nell'ordinanza presidenziale, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la memoria di costituzione, la procura e i documenti che offre in comunicazione (art. 167 c.p.c.).
Nella comparsa di costituzione il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, le conclusioni, nonché proporre le eventuali domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio.
DECADENZE PER IL CONVENUTO: la costituzione oltre il termine indicato nell'ordinanza presidenziale implica le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c. precludendo la possibilità di proporre le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio che non potranno più essere proposte.
Il termine per la costituzione del convenuto e quelli di decadenza per formulare le domande riconvenzionali si computano in base alla data di udienza avanti al giudice istruttore e non alla data dell'udienza presidenziale (Cass. 25.7.2002, n. 10914).
UDIENZA AVANTI AL GIUDICE ISTRUTTORE: all'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni sulla trattazione di cui agli artt. 180 e 183, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7 c.p.c., con esclusione solo del comma 3 dell'art. 183 che consente alle parti di richiedere congiuntamente al giudice di fissare l'udienza per la comparizione personale delle parti per l'interrogatorio libero. Si applica altresì l'art. 184 c.p.c. dettato per l'assunzione dei mezzi di prova (art. 4 legge n. 898/1970).
Il giudice istruttore, quindi, deve controllare la regolarità del contraddittorio, la regolarità dell'ordinanza presidenziale ivi compreso il rispetto dei termini per la notifica e dei termini a difesa per il convenuto contumace.
Qualora, infatti, il convenuto non sia comparso all'udienza presidenziale l'ordinanza con la quale il presidente fissa l'udienza di comparizione davanti al giudice istruttore deve essergli notificata a cura dell'attore nel termine perentorio stabilito nell'ordinanza stessa con la conseguenza che la notifica dopo lo scadere del termine determina l'estinzione del procedimento ex art. 307, comma 3, c.p.c. L'ordinanza presidenziale dovrà essere notificata a cura del ricorrente anche nell'ipotesi in cui il convenuto compaia senza il difensore, oppure compaia assistito da un difensore ma senza costituirsi. La notifica non sarà dovuta quando il convenuto si sia costituito tecnicamente ma non sia comparso all'udienza presidenziale.
Inoltre tra la data entro cui l'ordinanza deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell'udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini per comparire stabiliti dall'art. 163 bis ridotti alla metà e, quindi, 45 giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di 60 giorni se si trova all'estero (art. 4, comma 10, legge n. 898/1970).
ISTRUTTORIA: il giudice assume ad istanza di parte o anche d'ufficio i mezzi di prova.
In deroga alle regole generali sull'onere della prova al giudice sono attribuiti poteri istruttori d'ufficio per finalità di natura pubblicistica.
Tuttavia, detti poteri officiosi di indagine, proprio perché previsti in deroga alle regole ordinarie sull'onere della prova e, quindi, in via eccezionale, non sono utilizzabili per sopperire alla totale inerzia della parte nell'indicare, proporre o richiedere elementi di giudizio (Cass. 12.12.2005, n. 27391).
L'art. 5, comma 9, legge n. 898/1970, in tema di riconoscimento e determinazione dell'assegno divorziale, stabilisce che «in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria ». Senonchè il potere di disporre indagini patrimoniali, in deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può considerarsi anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche. Tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l'obbligo di disporre accertamenti d'ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria).
ASCOLTO DEL MINORE: il giudice, prima dell'emanazione dei provvedimenti relativi ai figli di cui all'art. 337-ter cod. civ., oltre ad assumere ad istanza di parte o d'ufficio mezzi di prova, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento (art. 337-octies c.c.).
Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo (art. 337-octies c.c.).
MEDIAZIONE FAMILIARE: il giudice, qualora ne ravvisi l'opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti riguardo ai figli di cui all'art. 337-ter c.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli (art. 337-octies, comma 2, c.c.).
REVOCA O MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI: il giudice istruttore può revocare o modificare i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti nell'interesse dei coniugi e della prole dal presidente con l'ordinanza presidenziale.
L'ordinanza presidenziale è revocabile o modificabile da parte del giudice istruttore non solo in caso siano intervenuti mutamenti dello stato di fatto o di acquisizione di nuovi elementi di valutazione, anche per una diversa valutazione di circostanze non considerate nell'ordinanza presidenziale (Cass. 10.8.1990, n. 8125).
L'ordinanza con cui il giudice istruttore, in sede di divorzio, concede, per la prima volta, i provvedimenti provvisori e urgenti nell'interesse dei figli non è un'ordinanza presidenziale e, pertanto, non è reclamabile ai sensi del novellato art. 708 c.p.c.
FASE DECISORIA
SENTENZA DI DIVORZIO: il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di una delle cause di cui all'art. 3 della stessa legge sul divorzio, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza (art. 5 legge n. 898/1970).
La sentenza di primo grado per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica è provvisoriamente esecutiva (art. 4, comma 14, legge n. 898/1970).
EFFETTI DELLA SENTENZA: con la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale cessa tra le parti la reciproca qualità di coniugi.
SENTENZA NON DEFINITIVA: per accelerare la definizione del rapporto personale tra i coniugi è prevista la possibilità che venga emessa pronuncia sullo status con sentenza non definitiva quando il procedimento deve continuare per le determinazioni di contenuto economico.
Secondo quanto espressamente previsto dall'art. 4 legge n. 898/1970 nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
È ammissibile la sentenza non definitiva che pronunzi sullo scioglimento o sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, rimettendo al definitivo non solo la decisione sulla determinazione dell'assegno di divorzio, ma anche quella sull'assegnazione della casa coniugale e sul diritto alle quote delle indennità di fine rapporto.
Quando vi sia stata sentenza non definitiva di divorzio e successivamente pronuncia sempre con sentenza in ordine all'obbligo di somministrazione dell'assegno, il tribunale può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della proposizione della domanda, e cioè dal momento del ricorso introduttivo del procedimento (art. 4, comma 13, legge n. 898/1970).
APPELLO IMMEDIATO DELLA SENTENZA PARZIALE: avverso la sentenza non definitiva che pronunzi sullo scioglimento o sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio è ammesso solo appello immediato (art. 4, comma 12, legge n. 898/1970).
Conseguentemente la pronuncia sullo status è insuscettibile di appello differito non trovando applicazione la disciplina prevista dall'art. 340 c.p.c. sulla riserva di impugnazione differita.
Il termine per proporre l'impugnazione è di 30 giorni dalla notificazione della sentenza (art. 325 c.p.c.) oppure sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 327 c.p.c.).
L'atto di impugnazione ha la forma del ricorso e va depositato nella cancelleria della Corte d'Appello nei termini perentori per impugnare. A seguito del deposito presso la cancelleria del ricorso il giudice fissa, con decreto, l'udienza e il termine per la notifica.
L'appello immediato è deciso in camera di consiglio con sentenza.
La sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando sia passata in giudicato, deve essere trasmessa in copia autentica, a cura del cancelliere del tribunale o della Corte che l'ha emessa, all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al R.D. 9 luglio 1939, n. 1238.
MORTE DI UNO DEI CONIUGI DURANTE IL PROCESSO: la morte di uno dei coniugi sopravvenuta nel corso del giudizio di divorzio non determina l'interruzione del processo bensì la cessazione della materia del contendere dal momento che il procedimento di divorzio come quello di separazione riguardano diritti personalissimi. Tuttavia una volta dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio il procedimento per la definizione delle questioni di rilevanza patrimoniale non si estingue per cessazione della materia del contendere ma prosegue nonostante il decesso di uno dei coniugi ( (Cass. 24 luglio 2014, n. 16951).
La morte del difensore costituito interrompe il processo ai sensi dell'art. 301 c.p.c.
SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI: la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, di cui all'art. 1 legge 7.10.1969, n. 742 si applica alle cause di divorzio (Cass. 27.3.1997, n. 2731).
ESENZIONE FISCALE: tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa (art. 19 legge 6.3.1987, n. 74).
APPELLO
GIUDICE COMPETENTE: è la Corte di Appello nella cui circoscrizione ha sede il Tribunale che ha pronunciato la sentenza.
RITO CAMERALE: il procedimento di appello si svolge con il rito camerale, il quale si applica all'intero procedimento, dall'atto introduttivo alla decisione in camera di consiglio.
Il collegio della Corte di Appello, costituito da tre giudici togati, non può subire modifiche in quanto la disposizione di cui all'art. 276 c.p.c. che impone la partecipazione alla deliberazione della decisione degli stessi giudici che componevano il collegio all'udienza di discussione trova applicazione anche per il rito camerale.
È causa di nullità insanabile della sentenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 158 c.p.c. la decisione deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione, in violazione dell'art. 276, comma 1, c.p.c. (Cass. 22.3.1993, n. 3371).
FORMA E TERMINI PER L'APPELLO: l'appello avverso la sentenza di divorzio va proposto con ricorso e si perfeziona con il deposito dell'atto nella cancelleria della Corte di Appello nei termini perentori di 30 giorni dalla notifica della sentenza (art. 325 c.p.c.) oppure sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 327 c.p.c.).
Il deposito dopo i termini previsti dall'art. 325 e 327 c.p.c. rende inammissibile l'appello.
Qualora l'impugnazione venga proposta con atto di citazione anziché con ricorso va comunque considerata tempestiva purché la citazione notificata sia stata depositata in cancelleria mediante iscrizione a ruolo entro i termini previsti per proporre l'impugnazione.
Con il deposito del ricorso il giudice fissa, con decreto, l'udienza e il termine per la notifica.
La notifica del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza è un adempimento successivo al deposito del ricorso teso all'instaurazione del contraddittorio. Il difetto di notifica non rende inammissibile il ricorso, dovendo il giudice, in assenza di costituzione dell'appellato, fissare, ex art. 291 c.p.c., un nuovo termine per la notifica (App. Caltanisetta 9 maggio 2008).
LEGITTIMAZIONE: la sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti.
Il P.M. può ai sensi dell'art. 72 c.p.c. proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci (art. 5, comma 5, legge n. 898/1970).
Nel procedimento di primo grado di divorzio tra i coniugi con figli minori o incapaci il P.M. è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private, ed ha autonomo potere di impugnazione per quanto attiene agli interessi patrimoniali di quei figli. Conseguentemente ove uno dei coniugi abbia proposto appello avverso il capo della sentenza di primo grado relativo alla disciplina di tali interessi, il relativo atto di appello deve essere notificato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale. In difetto il giudice di secondo grado deve disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti del P.M. a mente dell'art. 331 c.p.c. (Cass. 25.1.1983, n. 693). L'integrazione del contraddittorio nei confronti del p.m. presso il tribunale deve essere disposto da parte del giudice di appello anche quando sia intervenuto nel giudizio di appello il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'Appello atteso che questo P.M. non ha il potere di impugnazione della sentenza di primo grado (Cass. 29.10.1998, n. 19803).
INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE: l'intervento del procuratore generale nel giudizio d'appello è obbligatorio a pena di nullità . Pertanto la pronuncia della sentenza d'appello senza che sia intervenuto il p.m. presso la Corte d'appello è viziata da nullità con la conseguenza che non passa in giudicato la sentenza di primo grado ma occorre rinnovare il giudizio d'appello (Cass. 10.6.1998, n. 5756).
MOTIVI DI APPELLO: L'atto di appello deve a pena di inammissibilità indicare espressamente i motivi di impugnazione (Cass., S.U., 29.1.2000, n. 16).
Il requisito della specificità dei motivi di appello, pur non richiedendo l'impiego di formule sacramentali, esige un'esposizione chiara ed univoca delle doglianze e delle domande rivolte al giudice del gravame (Cass. 27.7.2000, n. 9867).
DIVIETO DI DOMANDE NUOVE: il divieto di proporre domande nuove in appello di cui all'art. 345 c.p.c. implica che la domanda per l'attribuzione dell'assegno divorzile ne presuppone la tempestiva proposizione secondo le ordinarie norme processuali, cosicché il giudice d'appello deve rigettare la richiesta avanzata per la prima volta dinanzi a lui dal coniuge avente diritto perché inammissibile (Cass. 12.2.2009, n. 3488).
DIVIETO DI NUOVI MEZZI DI PROVA: nel giudizio di appello sono inammissibili nuovi mezzi di prova ancorché si tratti di prove documentali.
Le nuove prove, ivi compresa la produzione documentale, sono consentiti e non in contrasto con il divieto di articolazione e ammissione di nuovi mezzi di prova in appello stabilito dall'art. 345 c.p.c.:
• qualora il collegio ritenga tali mezzi indispensabili ai fini della decisione;
• la parte che li richiede dimostri di non averli potuti indicare (nel caso di prove orali) o produrre (in caso di prove documentali) nel giudizio di primo grado, per causa a lei non imputabile (art. 345, comma 3, c.p.c.);
• quando si tratti di riproposizione delle prove già richieste in primo grado sulle quali il tribunale non si è pronunciato.
Il giuramento decisorio può essere deferito in appello (art. 345, comma 3, c.p.c.).
APPELLO INCIDENTALE: l'impugnazione della sentenza proposta successivamente alla prima impugnazione ha carattere incidentale sia che venga proposta contro l'appellante principale (impugnazione incidentale tipica) sia che sia relativa a capi diversi da quelli investiti dall'appello principale (impugnazione incidentale autonoma).
L'appello incidentale, che comunque presuppone una richiesta di riforma della sentenza appellata e, quindi, una parziale soccombenza, è riservato a favore della parte che, prima dell'iniziativa dell'altro coniuge, abbia scelto di fare acquiescenza alla sentenza impugnata (Cass. 6.8.1997, n. 7272).
Nel rito ordinario l'impugnazione incidentale è sottoposta al termine per impugnare di cui all'art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza) e all'art. 327 c.p.c. (indipendentemente dalla notificazione entro 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza) nonché al termine di cui all'art. 343 c.p.c. ovvero deve essere proposto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta da depositarsi in cancelleria 20 giorni prima dell'udienza di comparizione.
Per la parte nei confronti della quale è stato proposto l'appello principale e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c.p.c. è consentita la possibilità di proporre un appello incidentale tardivo anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In questo caso se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile la impugnazione incidentale perde efficacia (art. 334 c.p.c.).
L'appello incidentale è ammissibile nelle cause di separazione e divorzio (Corte. Cost. 14.12.1989, n. 543).
Nel rito camerale l'appello incidentale deve essere proposto nel termine fissato per la costituzione dell'appellato contenuto nel decreto che fissa l'udienza di discussione. Tuttavia è stato affermato il principio secondo cui non sia necessario che l'appello incidentale venga proposto nel termine perentorio stabilito per il processo ordinario dall'art. 343 c.p.c. (ovvero nella comparsa di risposta da depositarsi 20 giorni prima dell'udienza di comparizione) dal momento che il principio del contraddittorio viene rispettato, in appello, per il solo fatto che il gravame incidentale sia portato a conoscenza della parte avversa entro limiti di tempo tali da assicurare a quest'ultima la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante organizzazione di una tempestiva difesa tecnica, da svolgere in sede di udienza camerale (Cass. 21.11.2008, n. 27775 e Cass. 20.1.2006, n. 1179).
APPELLO IMMEDIATO DELLA SENTENZA PARZIALE DI DIVORZIO: l'appello avverso la sentenza che decide solo sulla domanda di scioglimento o sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio deve essere proposto con ricorso immediato entro 30 giorni dalla notifica della sentenza o sei mesi dalla pubblicazione (in difetto di notifica) non essendo consentita la riserva di appello di cui all'art. 340 c.p.c. (art. 4, comma 12, legge n. 898/1970).
FASE DECISORIA: il procedimento camerale si conclude mediante la pronuncia di una sentenza sia in senso formale che sostanziale.
MORTE DI UNO DI CONIUGI DURANTE L'APPELLO: in caso di morte di uno dei coniugi sopravvenuta nel corso del giudizio di appello il processo non può proseguire e il giudice deve dichiarare la cessazione della materia del contendere.
SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI: la normativa relativa alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742, si applica alle cause di divorzio anche se pendenti in fase di impugnazione.
DIVORZIO SU DOMANDA CONGIUNTA
GIUDICE COMPETENTE: competente per materia è il tribunale ordinario in composizione collegiale.
COMPETENZA TERRITORIALE: quando i coniugi propongono congiuntamente la domanda di divorzio la domanda può essere proposta indifferentemente al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell'uno o dell'altro coniuge, se i coniugi non hanno in Italia neppure il domicilio è competente qualsiasi tribunale della Repubblica (art. 4, comma 1, legge n. 898/1970).
CONIUGI DI DIVERSA NAZIONALITÀ: alla domanda congiunta di divorzio presentata da due coniugi, uno dei quali aventi anche la cittadinanza italiana, deve essere applicata la legge italiana (Cass. 27.4.2004, n. 8010).
SOGGETTI LEGITTIMATI: il diritto di chiedere il divorzio su domanda congiunta spetta ai coniugi.
Previa autorizzazione del giudice tutelare, il ricorso congiunto di divorzio può essere proposto in nome e per conto del beneficiario dall'amministratore di sostegno del coniuge (Trib. Modena 25.10.2007).
REVOCA DEL CONSENSO: la revoca unilaterale del consenso è irrilevante. Nei casi in cui la domanda di divorzio sia stata proposta congiuntamente dai coniugi entrambi legittimati, il giudizio prosegue anche qualora uno dei coniugi abbia successivamente revocato il proprio consenso (Trib. Trani 8.10.1996). La revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, difatti, non comporta l'arresto del procedimento dovendo in tal caso il tribunale provvedere ugualmente all'accertamento dei presupposti per la pronuncia di divorzio, per poi passare, in caso di esito positivo della verifica, all'esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili e agli interessi dei figli minori (Cass. 24 Luglio 2018, n. 19540).
La revoca del consenso nel divorzio consensuale ha effetto e il procedimento potrà essere abbandonato solo se entrambi i coniugi rinunciano alla domanda.
ASSISTENZA DEL DIFENSORE: l'assistenza tecnica del difensore è necessaria anche in sede di divorzio congiunto. Nulla vieta che i coniugi siano rappresentati dallo stesso difensore.
INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO: il pubblico ministero deve intervenire nel procedimento a pena di nullità rilevabile d'ufficio nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi (art. 70, n. 2, c.p.c.).
FORMA DELLA DOMANDA: la domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio.
Nel ricorso congiunto di divorzio le parti hanno l'onere di indicare in modo compiuto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici.
PROCEDURA: la disciplina della domanda congiunta di divorzio rimette al giudice l'accertamento dei presupposti di legge per lo scioglimento del rapporto. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l'esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all'interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 dell'art. 4 della legge sul divorzio (art. 4, comma 13, legge n. 898/1970).
Il Tribunale non determina le convenzioni fra i coniugi, ma si limita a verificarne la fondatezza per cui, laddove se ne ravvisi la contrarietà all'interesse della prole la domanda congiunta di divorzio non è accoglibile.
Qualora uno dei coniugi per giustificato motivo non compaia personalmente davanti al Tribunale le condizioni relative alla prole e ai rapporti economici oggetto della manifestazione del consenso devono, per poter essere attribuiti con certezza al delegante, essere espressamente indicate nell'atto di conferimento dei poteri al procuratore speciale (Trib. Trapani 11 giugno 2007).
TRASFORMAZIONE DEL PROCEDIMENTO CONTENZIOSO IN CAMERALE: nel caso in cui i coniugi promuovano giudizio contenzioso di divorzio e si accordino successivamente in corso di causa, è possibile la trasformazione del procedimento in camerale per divorzio congiunto.
PROCEDURA DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA DA AVVOCATO NEL DIVORZIO
CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA DA UN AVVOCATO: i coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio nei casi previsti di cui all'art.3, primo comma, n. 2, lett b), della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (ovvero quando le separazioni dei coniugi si sono protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale -il termine decorre anche in questo dalla comparizione dei coniugi di fronte al presidente del tribunale-, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile ( la durata minima del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio è stata ridotta da tre anni a dodici mesi nelle separazioni giudiziali e da tre anni a sei mesi nelle separazioni consensuali dall'articolo 1 della legge 11 maggio 2015, n.55, in vigore dal 26 maggio 2015, che ha modificato l'articolo 3, comma 1, lett. b, n.2, della legge n.898/1970). Le nuove previsioni sulla riduzione dei tempi per la proposizione della domanda di divorzio si applicano alle domande di divorzio proposte dopo l'entrata in vigore della legge n.55/2015 (26 maggio 2015), anche quando sia pendente a tale data il procedimento di separazione personale che è presupposto della domanda (art. 3 legge 11 maggio 2015, n. 55 pubb. in G.U.06.05.2015) possono concludere la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato (art. 6 d.l. 12 settembre 2014 n.132). La convenzione non può essere stipulata in presenza di figli minorenni, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti (art. 6, comma 2, d.l. 12 settembre 2014, n.132).
Il Ministero dell'Interno ha chiarito che il dato letterale della disposizione normativa, secondo cui, in materia di separazione e divorzio, la convenzione di negoziazione è conclusa con l'assistenza di “almeno un avvocato per parte” preclude l'interpretazione tesa a consentire alle parti di avvalersi di un unico avvocato (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015)
Contenuto della convenzione: la convenzione è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 (che in attuazione della direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, consente l'esercizio permanente della professione di avvocato da parte di avvocati cittadini di uno Stato membro dell'Unione Europea) (art. 2 d.l. 12 settembre 2014, n.132).
La convenzione di negoziazione deve precisare:
a) il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese;
b) l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili.
La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti che non po' essere inferiore a un mese.
La convenzione di negoziazione deve essere conclusa con l'assistenza di un avvocato e redatta, a pena di nullità, in forma scritta.
Gli avvocati certificano l'autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.
All'atto del conferimento dell'incarico è dovere deontologico degli avvocati informare il cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (art. 2 d. l. 12 settembre 2014, n.132).
ACCORDO RAGGIUNTO A SEGUITO DELLA CONVENZIONE: l'accordo raggiunto a seguito della convenzione deve essere sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono. Gli avvocati certificano l'autografia delle firme e la conformità dell'accordo alle nome imperative e all'ordine pubblico (art. 5 d. l. 12 settembre 2014, n.132).
L'accordo raggiunto produce gli effetti e tiene luogo del provvedimento giudiziale che definisce il procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio (art. 6, comma 3, d. l. 12 settembre 2014, n.132).
L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5 del d.l. n.132/2014.
Il termine di 10 giorni entro il quale l'avvocato della parte è obbligato a trasmettere all'ufficiale di stato civile copia dell'accordo, decorre dalla data di comunicazione alle parti del provvedimento (nulla osta o autorizzazione del Procuratore della Repubblica o del Presidente del Tribunale a cura della segreteria o della cancelleria (in forza del principio generale, di cui all'art. 136 c.p.c., per cui tutti i provvedimenti resi fuori udienza devono essere portati a conoscenza delle parti mediante comunicazione) (Circolare Ministero dell'Interno 6/2015 del 24 aprile 2015).
Alla trasmissione è sufficiente che provveda uno soltanto degli avvocati che abbia assistito uno dei coniugi ed ha autenticato la sottoscrizione (Circolare Ministero dell'Interno n.6/2015)
SANZIONI PER L'AVVOCATO: all'avvocato che viola l'obbligo di trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso avvocato, dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione e munito delle relative certificazioni, è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 50.000. Competente a irrogare la sanzione è il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall'art.69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n.396 (art. 6, comma 4, d. l. 12 settembre 2014, n.132).
RICHIESTA CONGIUNTA DI SCOGLIMENTO O CESSAZIONE
DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO DAVANTI ALL'UFFICIALE DELLO STATO CIVILE
ACCORDO DI DIVORZIO DAVANTI ALL'UFFICIALE DELLO STATO CIVILE: I coniugi, nei casi previsti di cui all'art.3, primo comma, n. 2, lett b), della legge 1 dicembre 1970, n. 898, (ovvero quando le separazioni dei coniugi si sono protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale -il termine decorre anche in questo dalla comparizione dei coniugi di fronte al presidente del tribunale-, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile ( la durata minima del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio è stata ridotta da tre anni a dodici mesi nelle separazioni giudiziali e da tre anni a sei mesi nelle separazioni consensuali dall'articolo 1 della legge 11 maggio 2015, n. 55, in vigore dal 26 maggio 2015, che ha modificato l'articolo 3 comma 1 lett. b n.2 della legge n.898/1970). Le nuove previsioni sulla riduzione dei tempi per la proposizione della domanda di divorzio si applicano alle domande di divorzio proposte dopo l'entrata in vigore della legge n.55/2015 (26 maggio 2015), anche quando sia pendente a tale data il procedimento di separazione personale che è presupposto della domanda (art. 3 legge 11 maggio 2015, n. 55 pubb. in G.U.06.05.2015) possono concludere, innanzi all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, un accordo di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 12 d.l. 12 settembre 2014, n. 132).
L'accordo non è possibile in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti (art. 12, comma 2, d. l. 12 settembre 2014, n.132).
E' stato chiarito che la disposizione di cui all'articolo 12, comma 2, del D.L. n.132/2014 conv. in legge n. 162/2014, in forza del quale è escluso il ricorso all'istituto in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero non economicamente autosufficienti, va intesa nel senso che è possibile accedere al procedimento in tutti i casi in cui i coniugi che chiedono all'Ufficiale di Stato civile il divorzio, non abbiano figli in comune che si trovino nelle condizioni richieste dall'articolo, mentre non osta l'eventuale presenza di figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti, non comuni ma di uno soltanto dei coniugi richiedenti (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015).
L'ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. L'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (art.12, comma 3, D.L. n.132/2014 conv. in legge n. 162/2014). E' stato chiarito dal Ministero dell'Interno con la circolare n.6/2015 che non rientra nel divieto della norma la previsione nell'accordo concluso davanti all'ufficiale di stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico (c.d. assegno divorzile). Si tratta, precisa il Ministero, di disposizioni negoziali che determinano tra i coniugi l'insorgenza di un rapporto obbligatorio che non produce effetti traslativi su di un bene determinato preclusi dalla norma. L'ufficiale dello Stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti senza entrare nel merito della somma consensualmente decisa, né della congruità della stessa. Non può invece costituire oggetto di accordo la previsione della corresponsione , in unica soluzione, dell'assegno periodico di divorzio(c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o mobiliare) (Circolare Ministero dell'interno n. 6/2015).
L'atto contenente l'accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni dei coniugi di volersi divorziare. L'accordo tiene luogo del provvedimento giudiziale che definisce il procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio (art. 12 d.l. 12 settembre 2014 n. 132). Il diritto fisso da esigere da parte dei comuni all'atto della conclusione dell'accordo di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuto dall'ufficiale di stato civile del comune non può essere stabilito in misura superiore all'imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio dall'articolo 4 della tabella allegato A al decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 (Punto 11 bis delle norme speciali della Tabella D, allegata alla legge 8 giugno 1962, n.604, aggiunto dall'art. 12 d. l. 12 settembre 2014 n. 132).
La procedura di richiesta congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio innanzi all'ufficiale dello stato civile all'ufficiale di stato civile è applicabile solo a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto 12 settembre 2014 n. 132).
EFFETTI DELLA SENTENZA DI DIVORZIO
DECORRENZA DEGLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI DIVORZIO: la sentenza di divorzio spiega i suoi effetti personali e patrimoniali fra le parti e i loro eredi ed aventi causa dal momento del passaggio in giudicato.
L'annotazione della sentenza nei registri dello stato civile, invece, attiene alla pubblicità dichiarativa della pronuncia, in quanto modificativa dello status delle persone, e quindi, alla opponibilità ai terzi delle modificazioni operate (art. 10 legge n. 898/1970).
ORDINE DI ANNOTAZIONE DELLA SENTENZA NEI REGISTRI DELLO STATO CIVILE: nel pronunciare il divorzio il tribunale emette alcuni provvedimenti accessori tra quali l'ordine all'ufficiale dello stato civile del luogo in cui venne trascritto il matrimonio di procedere all'annotazione della sentenza.
Tale ordine prelude alla trasmissione in copia autentica della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando sia passata in giudicato, a cura del cancelliere del tribunale o della Corte che l'ha emessa, all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (art. 10 legge n. 898/1970).
Nel caso di divorzio congiunto la sentenza di accoglimento della relativa domanda va immediatamente trasmessa dal cancelliere all'ufficiale di stato civile ai fini dell'annotazione.
PERDITA DEL COGNOME DEL MARITO: per effetto della sentenza di divorzio la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (art. 5, comma 2, legge n. 898/1970).
Tuttavia quando sussista un interesse della stessa o dei figli meritevole di tutela, il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio (art. 5, comma 3, legge n. 898/1970).
L'interesse al mantenimento del cognome del coniuge dopo il divorzio risulta meritevole di tutela qualora riguardi la sfera del lavoro professionale, commerciale o artistico della moglie, oppure, ancora, in considerazione di profili di identificazione sociale e di vita di relazione meritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole (Trib. Milano 28.4.2009, n. 5644). (Trib. Milano, 3.2.2016, n. 1432; Trib. Milano 28.4.2009, n. 5644). Senonchè la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali, la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Nè può escludersi che l'uso del cognome possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell'articolo 8 della C.E.D.U., un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare (Cass. 22 agosto 2014, n. 18141).
Non è idonea a fondare una richiesta di autorizzazione a conservare il cognome acquisito con il matrimonio la sola allegazione della lunga durata del matrimonio e dell'origine straniera del cognome proprio della donna divorziata (App. Roma 23.1.2008, n. 248).
La sentenza con cui il Tribunale ha autorizzato la conservazione del cognome del marito può, su istanza di una delle parti, per motivi di particolare gravità , essere modificata con successiva sentenza (art. 5, comma 4, legge n. 898/1970).
Il marito, in caso di violazione da parte della moglie divorziata del divieto di uso del cognome dello stesso, può, ai sensi dell'art. 7 c.c., chiedere la cessazione del fatto lesivo e agire altresì per il risarcimento del danno (Cass. 5.10.1994, n. 8081).
10-07-2020 22:35
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