Banchetto nuziale. Gli sposi lamentano la scarsa qualità del cibo e del servizio. Possono non pagare?
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 26485/19; depositata il 17 ottobre
ORDINANZA sul ricorso 16197-2015 proposto da: A.R., F.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA A. MANCINI 4 SC.H, presso lo studio dell'avvocato CIRO CASTRO, rappresentati e difesi dall'avvocato FRANCESCO RUJU; - ricorrenti - contro S.L. SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE LIEGI 58, presso lo studio dell'avvocato FABRIZIO GRECO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PAOLO BRUNO GALLIZZI;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 11/2015 della CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI sezione distaccata di SASSARI, depositata il 09/01/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2019 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS
PREMESSO CHE 1. Con atto di citazione del 9/4/2004 i coniugi R.A.e A.F. proponevano opposizione al decreto n. 139/2004, con cui il Tribunale di Sassari aveva loro ingiunto il pagamento di euro 17.700 in favore della società Scoglio Lungo s.r.I., a titolo di corrispettivo per la realizzazione del ricevimento di nozze (svoltosi il 30 agosto 2003); i coniugi lamentavano il grave inadempimento della società opposta stante la pessima qualità del cibo e del servizio offerti, chiedendo con domanda riconvenzionale di dichiarare la risoluzione del contratto e di condannare la società al risarcimento del danno non patrimoniale. S.L. s.r.l. si costituiva in giudizio, eccependo la decadenza dal diritto di garanzia per la mancata tempestiva denuncia dei vizi e in ogni caso contestando la fondatezza dell'opposizione. Con sentenza n. 608/2013 il Tribunale di Sassari accertava il parziale inadempimento della società opposta e per l'effetto condannava gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento di un terzo della somma pattuita, ossia euro 5.900, e rigettava la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale degli opponenti. 2. Avverso la sentenza proponeva appello S.l. s.r.I., anzitutto lamentando il mancato rilievo della tardiva denuncia dei vizi, con conseguente decadenza dei coniugi A. dal diritto di garanzia ex art. 1495 c.c. I coniugi A. proponevano a loro volta appello incidentale, impugnando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di risarcimento del danno. Con sentenza 9 gennaio 2015, n. 11, la Corte d'appello di Sassari, dopo avere preliminarmente qualificato il contratto intervenuto tra le parti come contratto di banqueting, in accoglimento dell'appello
principale dichiarava la tardività della denunzia dei vizi, proposta dai coniugi oltre il termine di sessanta giorni di cui all'art. 1667, comma 2 c.c., ritenuto applicabile al caso di specie e, per l'effetto, confermava il decreto opposto; rigettava l'appello incidentale. 3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione R.A. e A. F. Resiste con controricorso la società S.l. s.r.l. CONSIDERATO CHE I. Il ricorso è articolato in due motivi. a) Il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'appello erroneamente applicato l'art. 1667 c.c., ritenendo che l'oggetto della prestazione ricadesse nell'ambito del contratto di appalto; il contratto concluso tra le parti, di banqueting, è invece contratto atipico disciplinato dall'art. 1322, comma 2 c.c., a cui non può che applicarsi la disciplina generale dei contratti e non anche quella dei contratti tipici, quali il contratto d'appalto o la vendita di cose, così che l'unico rimedio poteva essere la risoluzione del contratto per inadempienza grave ed esclusiva dell'altro contraente, con diritto dei ricorrenti di non corrispondere il prezzo e di essere risarciti dei danni. Il motivo è infondato. Come precisa il giudice d'appello, il contratto concluso tra le parti costituisce un esempio di contratto di c.d. banqueting, diffuso nella prassi, nel quale un imprenditore, di solito un ristoratore, dietro corrispettivo, assume, mediante organizzazione dei mezzi necessari (locali, personale, cibo e bevande) e a proprio rischio, la realizzazione di un evento - nel caso in esame un banchetto in occasione delle nozze - in favore di un altro soggetto. Si tratta, come deducono i ricorrenti, di un contratto atipico (la cui conclusione è prevista dall'ordinamento, cfr. l'art. 1322, comma 2 c.c.), dal carattere misto, che presenta elementi propri di più contratti tipici, anzitutto l'appalto e la vendita. Il carattere atipico-misto del contratto in esame non comporta però - come sostengono i ricorrenti - che nessuna disciplina dei contratti tipici trovi ad esso applicazione. Come hanno sottolineato le sezioni unite di questa Corte, "in tema di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza)" (Cass., sez. un., n. 11656/2008). Correttamente, pertanto, il giudice d'appello ha ritenuto, in base appunto alla teoria dell'assorbimento, applicabile la disciplina giuridica del contratto, l'appalto di servizi, al cui schema causale erano in prevalenza riconducibili gli elementi del contratto concluso tra le parti (preparazione delle pietanze, servizio ai tavoli e buffet, organizzazione della serata musicale). b) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'appello negato la sussistenza in re ipsa del danno non patrimoniale lamentato dai ricorrenti, quando invece, nel caso in esame, la prova del danno non patrimoniale sarebbe intrinseca alla dimostrazione dell'inadempimento, analogamente a quanto si afferma per il danno da c.d. vacanza rovinata, ipotesi questa rispetto alla quale, in via subordinata, i ricorrenti chiedono a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. Il motivo è infondato. Il giudice d'appello, nel confermare la decisione di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria perché infondata e priva di riscontro probatorio nell'an e nel quantum, ha seguito l'orientamento di questa Corte secondo cui "il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello c.d. esistenziale, non può essere considerato in re ipsa, ma deve essere provato secondo la regola generale dell'articolo 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto; ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, eventuale e ipotetico" (così, da ultimo, Cass. 28742/2018). Manifestamente infondata è poi la questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti, dato che il danno non patrimoniale da "vacanza rovinata", secondo quanto espressamente previsto in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei casi previsti dalla legge, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di pregiudizio risarcibile, rispetto al quale, comunque, "spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della domanda risarcitoria alla stregua dei generali precetti di correttezza e buona fede e alla considerazione dell'importanza del danno, fondata sul bilanciamento, per un verso, del principio di tolleranza delle lesioni minime e per l'altro, della condizione concreta delle parti" (Cass. 17724/2018). II. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese, considerata la novità della tipologia di contratto oggetto di causa, vengono compensate tra le parti. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 6 marzo 2019.
22-10-2019 20:38
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