Il nuovo orientamento giurisprudenziale sull’assegno di divorzio
Cassazione Civile, Sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2043 - Pres. ed Est. Dogliotti - C.G. c. P.M.A.
Svolgimento del processo
C.G. adiva, con rituale ricorso, il Tribunale di Roma per
ottenere la riduzione dell'assegno di divorzio, determinato,
a favore della moglie P.M.A., con sentenza della
Corte di Appello di Roma in data (Omissis), stante l'intervenuto
peggioramento delle proprie condizioni economiche
e il miglioramento di quelle della moglie.
Costituitasi, la P. chiedeva rigettarsi la domanda.
Il Tribunale, con decreto in data 8.4.2011, riduceva l'assegno
di divorzio ad Euro 1600 mensili.
Proponeva reclamo il C. Costituitasi, la P. chiedeva il
rigetto del reclamo, proponendo reclamo incidentale per il
ripristino nella misura pregressa.
La Corte d'Appello di Roma, con decreto in data 9.7.2013,
riduceva ulteriormente l'assegno di divorzio ad Euro
1.200,00.
Assegnata la causa alla sezione VI civile, il Collegio la
rimetteva alla sezione I civile. L'udienza pubblica di
discussione si teneva il 10.10.2017. Il Collegio si riconvocava
per la Camera di consiglio del 17.10.2017, nella quale
assumeva la presente decisione.
Motivi della decisione
Va preliminarmente osservato che il P.G. ha chiesto la
rimessione della causa alle sezioni unite di questa Corte, ai
sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 3, per cui se la sezione
semplice ritiene di non condividere un principio di diritto
enunciato dalle sezioni unite, rimette ad esse, con ordinanza
motivata, la decisione del ricorso. Tale richiesta
viene giustificata, in relazione ad alcune pronunce fortemente
innovative della prima sezione civile, in materia di
assegno di divorzio, recentemente assunte.
Ritiene la Corte di non accogliere l'istanza.
La predetta norma, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, va
considerata disposizione di natura ordinamentale più che
processuale, nonostante sia contenuta nel codice di rito
civile, in quanto disciplina i rapporti interni tra sezioni
nell'ambito del medesimo organo giudiziario. Ma proprio
tale natura, a parere del Collegio, rende operativa la
disposizione solo per i principi affermati dalle Sezioni
Unite, dopo la sua entrata in vigore, e non per quelli,
come nella specie, enunciati anteriormente, per i quali
permane il profilo di grande autorevolezza dell'insegnamento
delle Sezioni Unite, il punto più alto nella interpretazione
e nella nomofilachia, ma non vincolante per le
sezioni semplici.
Né si potrebbe affermare che l'art. 374 c.p.c., comma 3, si
applichi se, come nel caso che ci occupa, il principio
affermato dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 11490 e
11492 del 199), in materia di assegno di divorzio, sia
stato da allora seguito costantemente nella successiva
giurisprudenza delle sezioni semplici. La predetta norma
si riferisce solo al pronunciamento delle Sezioni Unite,
essendo del tutto ininfluente che il principio sia stato o
meno seguito nel prosieguo.
Conil primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della
L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e successive modifiche,
nonché dell'art. 2697 c.c., comma 2 e degli artt. 112, 115 e
116 c.p.c., sui presupposti della modifica della condizione
di divorzio, con riferimento all'ammissibilità dell'assegno
e alla sua quantificazione, alla luce del peggioramento
delle sue condizioni economiche, con il passaggio al trattamento
di quiescenza, e del miglioramento di quelle della
moglie, a seguito di accettazione di eredità.
Con il secondo, violazione dell'art. 112 c.p.c. e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla
richiesta del ricorrente di blocco della rivalutazione
ISTAT sull'importo dell'assegno dovuto, correlata al
blocco ex lege della rivalutazione della sua pensione per
gli anni 2012 e 2013.
Il C. chiede conclusivamente l'esclusione totale dell'assegno
o in subordine un'ulteriore riduzione.
Considerando il primo motivo del ricorso, va precisato
che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, possono
modificarsi le statuizioni assunte in sede di divorzio per
il coniuge e per i figli, qualora sopravvengano giustificati
motivi, che l'interpretazione giurisprudenziale ha sempre
individuato in circostanze di fatto verificatesi dopo la
pronuncia (nella specie, trattandosi di assegno, circostanze
tali da alterare l'assetto dei rapporti economici,
disposto dal giudice del divorzio) (per tutte, Cass. n.
22505 del 2010; n. 14143 del 2014, n. 7887 del 2017).
In assenza di tali circostanze nuove, la sentenza di divorzio
(anche riguardo all'assegno a favore del coniuge) fa stato
tra le parti, con il passaggio ingiudicato (basti pensare
all'orientamento consolidato, per cui la successiva delibazione
di sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio
non incide sulla determinazione delle statuizioni
economiche assunte in sede di divorzio: tra le altre Cass. n.
3345 del 1997; n. 12982 del 2008).
Questa Corte, con un indirizzo fortemente innovativo e
ormai ampiamente consolidato (al riguardo, tra le altre,
Cass. n. 11504 del 2017; n. 11538 del 2017), ha ritenuto
non corretto, ai fini dell'ammissibilità dell'assegno di
divorzio, il riferimento al tenore di vita pregresso, sostituendolo
con quello dell'indipendenza (o meglio autosufficienza)
economica del richiedente.
Questo Collegio condivide e fa proprie argomentazioni e
giustificazioni del nuovo orientamento, che individua,
altresì, l'autosufficienza economica in alcuni specifici
parametri. cui dovrebbe richiamarsi la giurisprudenza di
merito, adeguandoli alla concreta fattispecie dedotta: il
possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali
mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli
oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza: le
capacità e le possibilità effettive di lavoro personale; la
stabile disponibilità di una casa di abitazione, salvo ovviamente
altri elementi che potranno rilevare nelle singole
fattispecie.
Come si vede, le variabili sono molte numerose per un
adeguamento il più possibile efficace alla situazione concreta.
In tal senso, si potrebbe fin d'ora escludere pericolosi
automatismi (ad es. multipli della pensione sociale o
simili) che renderebbero autosufficienza o non autosufficienza
identiche sempre a se stesse ed uguali per tutti. Il
coniuge richiedente l'assegno non può riguardarsi come
una entità astratta, ma deve considerarsi come singola
persona nella sua specifica individualità. Per di più, una
volta superato il vaglio dell'ammissibilità dell'assegno, ed
accertando la non autosufficienza economica del richiedente
(e l'impossibilità di ottenere mezzi adeguati per
ragioni oggettive), sicuramente potrebbero venire in considerazione
i vari profili indicati dalla norma per la quantificazione
dell'assegno, tali eventualmente da condurre
ad una elevazione dell'importo (ragioni della decisione,
contributo alla formazione del patrimonio familiare e
personale dei coniugi, durata del matrimonio).
Conclusivamente può affermarsi che l'autosufficienza economica
del coniuge è tale da permettergli di godere di una
vita libera e dignitosa, e l'assegno va contenuto nella
stretta misura in cui tale scopo venga raggiunto.
Per quanto si è detto precedentemente, il nuovo orientamento
non può sicuramente considerarsi come elemento
giustificante la modifica del regime economico del divorzio.
E tuttavia il profilo dell'autosufficienza dovrà essere
tenuto in considerazione dal giudice cui sia richiesta la
modifica delle condizioni di divorzio in relazione all'assegno.
Questi dovrà esaminare gli elementi di fatto innovativi
e se, come nella specie, venga richiesto dall'obbligato
l'esclusione dell'assegno o la sua riduzione (stante tra
l'altro il miglioramento della situazione economica del
beneficiario) valuterà dapprima se tale miglioramento
abbia fatto raggiungere al coniuge una autosufficienza
economica; in tal caso, in relazione alla domanda, escluderà
totalmente l'assegno, altrimenti dovrà procedere ad
una nuova quantificazione, considerando gli elementi di
fatto innovativi (con il raffronto, a questo punto, delle
condizioni economiche dei coniugi).
Nella specie, il giudice a quo ha precisato che, da un lato,
l'obbligato ha visto ridotto il suo reddito intorno al 40% o
più, ed è pure migliorata la situazione della beneficiaria
dell'assegno, che è divenuta proprietaria esclusiva di un
altro appartamento per via ereditaria, mentre in precedenza
era soltanto comproprietaria della casa coniugale,
venduta dai coniugi per l'importo complessivo di Euro
700.000,00 suddiviso tra essi, anche se la moglie ha dovuto
pagare al marito 45.000,00 Euro per indennità di occupazione
ed è previsto a suo carico un conguaglio di Euro
145.000,00 da corrispondere al fratello in ordine alla
divisione immobiliare.
Si tratta di valutazioni di fatto che ovviamente non
competono a questa Corte. In accoglimento del primo
motivo del ricorso, per quanto di ragione, rimanendo
assorbito il secondo motivo, va cassato il provvedimento
impugnato, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in
diversa composizione, che procederà,comesopra indicato,
alla valutazione dell'autosufficienza della P., in relazione al
suo miglioramento economico, escludendo in tal caso
l'assegno, ovvero se la non autosufficienza permanga,
procederà alla quantificazione ed eventuale riduzione dell'assegno
stesso. La Corte di Appello pure si pronuncerà
sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il
ricorso; cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte di
Appello di Roma, in diversa composizione. che pure si
pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere
le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla
legge.
22-09-2018 16:09
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