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Sentenza

Il principio della indissolubilità è requisito fondamentale del matrimonio solo nell’ordinamento cattolico, non certo in quello italiano.
Il principio della indissolubilità è requisito fondamentale del matrimonio solo nell’ordinamento cattolico, non certo in quello italiano.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 23 settembre 2015 – 11 gennaio 2016 - ordinanza n. 212/16; 
Presidente Ragonesi – Relatore Acierno

Fatto e diritto

Rilevato che è stata depositata la seguente relazione in rodine al del procedimento civile iscritto al R.G. 29579 del 2014: "La ricorrente, D.F.P., proponeva appello avverso la sentenza di divorzio n. 22385 del Tribunale di Roma, chiedendo in via preliminare e pregiudiziale di ritenere la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. n. 898 del 1970 e, all'esito, rigettare la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario; in via subordinata, l'adeguamento dell'assegno divorzile e di mantenimento ed in via istruttoria, l'ammissione della prova per testi.
Si costituiva R.M. chiedendo, in via incidentale, la revoca ovvero la riduzione dell'assegno divorzile e del contributo per il mantenimento della figlia. La Corte di appello di Roma rigettava l'appello principale ed accoglieva, parzialmente quello incidentale, argomentando come segue:
- è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di parte appellante, atteso che la decisione del giudice italiano non attiene al vincolo matrimoniale bensì ai meri effetti civili che le parti hanno concordemente chiesto fossero dallo Stato italiano riconosciuti al matrimonio religioso;
- la prova per testi è irrilevante ai fini della decisione nonché inammissibile;
- si ritiene la cessazione dell'obbligo di mantenimento della figlia, avuto riguardo all'età, alla conseguita professionalità ed inserimento nel mondo del lavoro in conformità alle sue aspirazioni e scelte professionali, nonché alla circostanza che la stessa di proprietaria di immobili (potenziali fonti di reddito);
- va ridotto l'assegno divorzile, in considerazione del peggioramento delle condizioni economiche del R.. Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma proponeva ricorso per cassazione D.F.P., affidandosi ai seguenti motivi:
ricorrente, con articolata censura, che per il tramite della norma in questione lo Stato imporrebbe la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso facendone venir meno l'essenziale carattere dell'indissolubilità.
2. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 112 c.p.c., 156 c.c. e 5,
comma 6, 1. 898/1970. Omessa motivazione circa un punto
decisivo della controversia prospettato  dalla   ricorrente­appellante, in relazione all'art. 360, comma 1. n. 5 c.p.c., per non avere il Collegio ritenuto la rilevanza della prova per testi, sia in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale sia in ordine alla determinazione dell'assegno divorzile. Sottolinea, altresì, la ricorrente come il Collegio abbia ritenuto superflui i capi relativi alla situazione patrimoniale, poiché trattasi di fatti già provati e non contestati, ma non abbia da tali fatti motivatamente fatto discendere le conseguenze ai fini della valutazione dell'assegno divorzile,
che ha, oltre all'aspetto del mantenimento, natura perequativa e risarcitoria. Lamenta, infine, il fatto che nulla il Collegio ha stabilito sull'assegno di mantenimento dovuto dal marito alla moglie fino al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio, considerando assegno divorzile il contributo dovuto dal R. fin dalla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
3. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1. n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 156 c.c. e 5, commi 6 e 9 1. 898/1970. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato. dalla ricorrente- appellante e rilevabile d'ufficio, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c;, per non avere il Collegio adeguatamente valutato la documentazione prodotta ai fini della determinazione dell'assegno divorzile e non aver disposto accertamenti di polizia tributaria, peraltro sollecitati dall'odierna ricorrente.
4. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli arti. 147 e 148 c.c. e all'art. 6 1. 898/1970. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti
l'assegno di mantenimento in favore della figlia posto che le condizioni economiche della stessa non erano mutate (contratto di lavoro scaduto improrogabilmente, ritorno nella casa familiare, spese di mantenimento a carico della sola madre). Resisteva con controricorso R.M..
Si ritiene, in via preliminare, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 1. 898/1970. La ricorrente, oltre ad argomentazioni di tipo metagiuridico che, in quanto tali, non devono essere affrontate in questa sede, ripropone in punto di diritto questioni già diffusamente affrontate dalla giurisprudenza costituzionale che fermamente esclude l'illegittimità costituzionale della norma in questione. A tale giurisprudenza questa Corte si è sempre uniformata («L'indissolubilità costituisce un requisito del matrimonio religioso previsto arnicamente nell'ordine morale cattolico e nell'ambito dell'ordinamento canonico, che non è stato recepito nell'ordinamento italiano ne' con il Concordato dei 1929 attuato con la legge 27 maggio
1929 n. 847, ne' con l'accordo modificativo dei 1984 reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985 n. 121. Di conseguenza, quel vincolo non può avere alcuna incidenza sugli etti civili del matrimonio concordatario, né può precludere il diritto strettamente personale ed irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall'ordinamento italiano di far cessare gli stessi effetti civili») e l'esame della censura non offre elementi idonei a mutare orientamento (v. Corte cost. 169/1971; Cass. 11860/93 e 7990/96).
Si ritiene, inoltre, l'inammissibilità delle ulteriori censure per due ordini di ragioni:
(a) in ognuna delle restanti censure la ricorrente lamenta un vizio motivazionale, sotto il profilo della insufficienza e contraddittorietà, notoriamente non più censurabile alla luce della nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (b)il ricorrente, nonostante prospetti formalmente la violazione di norme di diritto, si duole invero delle valutazioni di merito operate dal Giudice di secondo grado ai fini della non figlia maggiorenne le quali fuggono, in quanto tali al sindacato di questa Corte.
Per ciò che attiene alla mancata disposizione degli accertamenti di polizia tributaria da parte del Giudice di merito, giova precisare che «...I'eserci dio del potere o doso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall'istan.Za di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di sarperfluità dell'ini;Z ativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti» (Cass. 14336/2013).
Peraltro deve osservarsi che secondo il consolidato orientamento di questa Corte la decorrenza dell'assegno divorzile può essere fissata alla data della domanda (Cass. 4424 del 2008; 20024 del 2014) ove adeguatamente motivata, come accaduto nella specie (pag. 13 sentenza impugnata). Ne consegue la manifesta infondatezza anche di questo profilo di censura. Per quanto riguarda la dedotta natura risarcitoria del predetto assegno si deve rilevare la radicale genericità della censura, non essendo neanche adombrate le ragioni della decisione o riprodotti i capitoli di prova che ne avrebbero dovuto sostenere la fondatezza. Infine deve rammentarsi che tale criterio attiene esclusivamente alla determinazione del contributo e non alla sua natura. Si propone pertanto il rigetto del ricorso, ai sensi dell'art. 375, comma 1, n. 1 c.p.c.."
Il Collegio condivide la relazione osservando in ordine alla memoria di parte ricorrente che le pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno avuto ad oggetto specificamente il profilo dell'indissolubilità del matrimonio canonico sottolineata nel ricorso; che le censure di cui al secondo, terzo, quarto motivo colpiscono in concreto la motivazione del tutto adeguata e non omessa in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie; che i capitoli di prova indicati in memoria risultano solo enumerati in ricorso.
In conclusione il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente procedimento da liquidarsi in E 3000 per compensi E 100 per esborsi oltre accessori di legge. Si dà atto della sussistenza delle condizioni di legge per il versamento a carico del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13, comma 1-bis, d.p.r. n. 115 del 2002. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
Avv. Antonino Sugamele

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