Senza figli minori o con figli maggiorenni non autosufficienti economicamente, il Giudice non può assegnare la casa coniugale al coniuge economicamente più debole, nemmeno in presenza di dichiarazione di addebito della separazione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 giugno - 1° agosto 2013, n. 18440
Presidente Salmè – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
In un procedimento di separazione giudiziale tra A.V. e, M.T. , il Tribunale di Spoleto, con sentenza in data 16/12/2005, addebitava la separazione all'A. , assegnando la casa coniugale alla M. , ma escludendo un assegno a suo favore.
Proponeva appello l'A. , in punto addebito a sé ed assegnazione della casa alla moglie. Costituitosi il contraddittorio, la M. , resisteva e proponeva appello incidentale in ordine all'esclusione dell'assegno.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza in data 6/12/2007, in riforma, revocava l'assegnazione della casa coniugale; condannava l'A. a corrispondere alla moglie assegno mensile di Euro 200,00.
Ricorre per cassazione la M. .
Resiste, con controricorso, l'A. , che pure propone ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Vanno riuniti i ricorsi che recano numeri di ruolo differenti. Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta violazione degli artt. 345, 189, 190 cpc, sulla domanda dell'appellante di revoca dell'assegnazione della casa coniugale, asseritamente proposta per la prima volta in appello. Con il secondo, violazione degli artt. 155, 156, 832, 1022 c.c., nonché vizio di motivazione in ordine alla revoca dell'assegnazione della casa coniugale.
Tali motivi non appaiono inammissibili (come sostiene il controricorrente, senza sostanzialmente indicarne le ragioni, e limitandosi a rilevarne l'infondatezza), ma infondati.
La domanda di revoca dell'assegnazione della casa coniugale non può considerarsi "nuova", né vi è stata acquiescenza alcuna alla richiesta di assegnazione della casa alla M. .
Come in sostanza ammette la stessa ricorrente principale, l'A. proponeva, in primo grado, la divisione della casa coniugale in due appartamenti, in uno dei quali, dopo i lavori di ristrutturazione, egli stesso sarebbe andato ad abitare;
durante tali lavori, egli avrebbe abitato fuori dalla casa coniugale.
L'accoglimento della richiesta della moglie di assegnazione dell'intera casa coniugale, da parte del primo giudice, è stata censurata, - in modo processualmente corretto, mediante appello - da parte dell'A. .
Secondo giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte, Cass. n. 23591 del 2010), l'assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma può disporsi, a favore del genitore affidatario esclusivo ovvero collocatario dei figli minori, oppure convivente con figli maggiorenni ma non autosufficienti economicamente (e ciò pur se la casa stessa sia di proprietà dell'altro genitore o di proprietà comune).
Nella specie, non vi sono figli minori o maggiorenni autosufficienti economicamente, e dunque, del tutto correttamente, il giudice a quo ha revocato l'assegnazione della casa coniugale alla moglie.
È appena il caso di precisare che le questioni relative al diritto di proprietà della M. e a quello di abitazione per una quota dell'immobile da parte dell'A. , esulano dalla competenza funzionale del giudice della separazione o del divorzio, e potranno essere esaminati in un ordinario giudizio di cognizione.
Va pertanto rigettato il ricorso principale.
Quanto a quello incidentale, l'unico motivo proposto appare infondato.
La rubrica del motivo (violazione di norme, che non vengono indicate, e vizio di motivazione) si limita all'addebito. In realtà il motivo tratta del tutto sommariamente pure dell'assegno e del regime delle spese.
Sull'addebito, il giudice a quo richiama una sentenza penale di condanna dell'A. per lesioni alla moglie, e dunque non si fonda certo (come sostiene il ricorrente), su mere affermazioni della moglie.
Sull'assegno, la sentenza impugnata, tenuto conto, tra l'altro, della scarsissima rendita della moglie (esclusivamente una pensione di Euro 400,00 mensili) e della condizione assai più florida dell'A. , che svolge attività commerciale, con ditta propria, ed ha ricevuto rilevante somma all'atto della cessazione dell'attività di autotrasportatore. Corretta appare pertanto la corresponsione di assegno, pur di importo assai limitato, disposta dalla Corte di Appello.
Motiva altresì adeguatamente la sentenza impugnata, sulla condanna alle spese dell'A. dei due gradi di giudizio, in considerazione delle ragioni della separazione e della sua parziale soccombenza sulle domande a contenuto economico.
Va conclusivamente rigettato il ricorso incidentale.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del presente giudizio tra le parti. A norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
05-08-2013 14:16
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