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Sentenza

Il padre prosciolto dalle accuse di violenza sessuale a danno della figlia chiede ed ottiene il diritto di visita seppur in presenza degli assistenti sociali.
Il padre prosciolto dalle accuse di violenza sessuale a danno della figlia chiede ed ottiene il diritto di visita seppur in presenza degli assistenti sociali.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 aprile – 22 novembre 2013, n. 26203
Presidente Salmè – Relatore Campanile

Svolgimento del processo

1 - Con decreto in data 2 marzo 2011 il Tribunale di Brescia disponeva, sulla base della pendenza di procedimento penale a carico del padre per i reati di cui agli artt. 609 bis e 609 ter c.p. nei confronti della figlia C. , che, in modifica delle condizioni stabilite nella sentenza di divorzio del 31 gennaio 2007 fra M.D. ed E.P. , che il primo potesse vedere e tenere con sé i figli minori R. e A. solo alla presenza di una terza persona professionalmente qualificata.
1.1 - Successivamente, essendo intervenuta decisione di proscioglimento dai suddetti reati, il Tribunale di Brescia, con decreto del 20 luglio 2011, accogliendo la domanda proposta dal M. , revocava la suddetta limitazione al regime delle visite, facendo riferimento, oltre che alla pronuncia assolutoria, alle relazioni delle assistenti che avevano presenziato agli incontri con il padre, le quali non avevano notato alcuna anomalia comportamentale, nonché alle richieste dei minori di stare da soli con il padre.
1.2 - La Corte di appello di Brescia, con il decreto indicato in epigrafe, accogliendo il reclamo proposto da E.P. , rigettava l'istanza avanzata dal M. , ripristinando, quindi, il regime introdotto con il decreto del 2 marzo 2011.
Osservava la Corte che i motivi di cautela posti alla base di tale provvedimento erano tuttora sussistenti, in quanto la stessa decisione emessa all'esito del giudizio penale, svoltosi con il rito abbreviato, pur escludendo che avessero natura illecita, aveva evidenziato comportamenti inadeguati da parte del padre (consistenti in toccamenti delle parti intime), tanto più che detta decisione era stata appellata tanto dal P.M. quanto dalla parte civile.
Doveva ritenersi che, soprattutto in considerazione dell'inconsapevolezza attribuita al M. in relazione alla sua condotta, la stessa potesse riflettersi nei rapporti con gli altri figli minori, laddove i riferimenti delle persone addette a presenziare agli incontri con la prole, proprio per l'azione da loro svolta, non potevano avere efficacia decisiva. D'altra parte, l'aspirazione dei minori di frequentare liberamente il padre doveva bilanciarsi con il superiore interesse di proteggere il loro sviluppo psico-fisico.
1.3 - Per la cassazione di tale provvedimento il M. propone ricorso, affidato a sei motivi, cui l'E. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

2 - Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., nonché vizio di motivazione per omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c.: la corte territoriale, in assenza di documentazione di segno contrario prodotta dalla reclamante, avrebbe disatteso - senza neppure averne la piena cognizione - gli elementi di prova posti alla base della sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice dell'udienza preliminare.
2.1 - Con il secondo mezzo le norme sopra indicate si assumono violate, con denuncia, altresì, di vizio di motivazione, con riferimento all'interpretazione di una frase della relazione del consulente tecnico d'ufficio, nel senso che l'adozione delle cautele nel corso degli incontri del padre con i figli sarebbe stata giustificata unicamente dall'intento di evitare "fraintendimenti" da parte della E. .
2.2 - Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., nonché vizio di motivazione per omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c.: la corte territoriale, avrebbe errato nell'attribuire al giudice di primo grado una lettura riduttiva della sentenza del GUP, che ancorché non irrevocabile, costituisce valida fonte del convincimento. Il Tribunale, invero, avrebbe complessivamente e congruamente apprezzato la citata decisione di proscioglimento, prendendo in considerazione non solo l'assenza di rilievi di natura penale, ma anche la natura "neutra" della condotta attribuita al M. , nonché il giudizio di inattendibilità della figlia C. , considerando ormai "macchinoso, costoso e ingiustificato" il sistema di cautele previsto dal decreto del marzo 2001.
2.3 - Con il quarto mezzo le violazioni delle norme sopra richiamate e il vizio motivazionale vengono prospettati in relazione all'affermazione della corte territoriale - non validamente supportata da risultanze probatorie - secondo cui i comportamenti attribuiti al M. , e dallo stesso ammessi al cospetto della psicologa Dott.ssa G. , avrebbe determinato un grave turbamento psichico nella figlia C. , tale da richiedere il ricorso alla psicoterapia.
Sotto altro profilo si rileva che l'espressione "toccamenti del sedere", riferita dalla Dott.ssa Grasso, non troverebbe ro alcun riscontro nella dichiarazioni rese dalla minore nel corso dell'incidente probatorio.
2.4 - Con il quinto motivo si censura la valutazione negativa della personalità del M. - per non aver neppure compreso la portata negativa dei propri atteggiamenti - senza considerare il positivo giudizio sulla capacità genitoriale dello stesso, quale emergente dalla consulenza tecnica d'ufficio.
2.5 - Con l'ultima censura si prospetta la "nullità del decreto per profili di abnormità", osservandosi come l'attribuzione dell'assenza di comportamenti inadeguati nel corso delle visite monitorate alla presenza del personale all'uopo delegato sarebbe il frutto di un pregiudizio, per altro in contrasto con la più volte richiamata decisione di proscioglimento.
3 - Il ricorso è inammissibile.
3.1 - La Corte di appello di Torino nel confermare i provvedimenti adottati nel precedente decreto del 2 marzo 2001, la cui revoca era stata richiesta dal M. principalmente per essere intervenuta sentenza di proscioglimento - non irrevocabile - a seguito di rito abbreviato, ha preliminarmente dato atto del carattere non vincolante di tale decisione, per altro emessa ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., e nello stesso tempo ha ritenuto che permanessero le esigenze di protezione dei minori, in quanto la decisione penale "non ha escluso la sussistenza di comportamenti inadeguati da parte del padre nei confronti della figlia C. (toccamenti del seno e del sedere), comportamenti che hanno dato fastidio alla minore e che la stessa ha percepito come invasivi (pagg. 37-38 della sentenza GUP)".
3.2 - I motivi di ricorso, complessivamente considerati, in primo luogo non colgono tale "ratio decidendi", imputandosi alla Corte di appello una valutazione dei fatti operata - ad onta dell'intervenuto proscioglimento - in virtù di un mero pregiudizio, senza una piena cognizione delle risultanze del processo penale, che per il vero vengono richiamate, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, in maniera del tutto frammentaria.
Sembra quasi che si sia voluto attribuire alla Corte territoriale l'onere di ripercorrere le tappe del procedimento penale - del resto non ancora concluso - così da pervenire addirittura all'esclusione di determinate emergenze di natura fattuale solo perché riferite da una teste, ma non ammesse dall'indagato nel corso del proprio interrogatorio o non desumibili, negli stessi termini, dall'incidente probatorio inerente all'esame della figlia minore.
In realtà - vale bene ribadirlo - la corte di appello, esclusa la natura vincolante di una decisione, non irrevocabile in quanto impugnata sia dal P.M. che dalla parte civile, emessa all'esito di giudizio abbreviato (cfr. in proposito, Cass., Sez. un., 19 gennaio 2010, n. 674), per altro con esplicito richiamo alla formula contemplata dall'art. 530, comma 2 c.p.c., non ha esaminato affatto - né, d'altronde, avrebbe potuto farlo -la valenza, sul piano penale, dei comportamenti attribuiti al M. , ma si è limitata a constatare che detti comportamenti, la cui reale sussistenza risultava confermata dallo stesso giudice penale, per la loro ogget-tiva gravità e per le gravi e comprovate ripercussioni di natura psicologica già verificatesi, imponevano - nel superiore interesse della prole - il mantenimento delle cautele già adottate con il provvedimento del 2 marzo 2011.
Il ricorrente, pur non giungendo ad affermare il carattere vincolante della decisione non irrevocabile emessa all'esito di giudizio abbreviato, postulando tuttavia la necessità di una prova rigorosa dei fatti, il cui onere attribuisce all'E. , da un lato non avverte la natura "latu sensu" cautelare del provvedimento (che non richiede una prova piena delle condotte ritenute pregiudizievoli), dall'altro non attinge il fulcro del provvedimento impugnato, consistente nell'autonoma valutazione, indipendentemente dal giudizio assolutorio, delle circostanze desunte (anche) dalla sentenza penale. Non si contesta, infatti, né il dato inerente all'accertamento di quei comportamenti nella decisione penale (della quale, per altro, non si riproduce il contenuto), né il potere del giudice civile di porre anche ad esclusiva base del suo convincimento gli elementi di fatto acquisiti in sede penale, ricavandoli dalla sentenza o dagli atti di quel processo (Cass., 2 marzo 2009, n. 5009).
4 - Per altro verso, non può non rilevarsi che, sia pure attraverso la deduzione della violazione dei principi in materia di onere probatorio e di acquisizione e valutazione delle prove, il ricorso tende in maniera del tutto surrettizia - così attingendo un concorrente profilo di inammissibilità - ad ottenere una valutazione circa la concrete modalità di perseguire il superiore interesse della prole a fronte della sussistenza di determinate emergenze fattuali, valutazione riservata esclusivamente al giudice del merito, e insindacabile in questa sede, laddove, come nel caso di specie, sia stata fornita adeguata motivazione delle ragioni poste alla base del provvedimento.
La Corte territoriale, invero, ha considerato che il carattere "neutro" dal punto di vista penale delle condotte attribuite al padre (e per ovvi motivi non reiterate in presenza del personale addetto a presenziare agli incontri), tale non poteva considerarsi sotto il profilo delle esigenze di tutela dell'equilibrio psicofisico della prole, per il profondo turbamento che poteva derivarne e per il pericolo di ripetizione degli episodi, che il giudizio penale non aveva escluso della loro storicità; pericolo in certa misura aggravato dalla incapacità del M. di comprendere "la portata negativa degli atteggiamenti tenuti".
Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Avv. Antonino Sugamele

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