Condizioni del divorzio. Modifica. Gli effetti della modifica decorrono dal tempo della domanda
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. - Sent. del 12.03.2012, n. 3922
Presidente - Felicetti
Relatore - Campanile
Svolgimento del processo
1 Con ricorso presentato in data 29 settembre 2006 V. M. chiedeva, ai sensi dell'art. 9 della l. n. 898 del 1970, la revoca del proprio obbligo di contribuire, con decorrenza del 9 ottobre 2003, o, in subordine, dal 18 dicembre 2003, al mantenimento della figlia P., la quale aveva costituito un proprio nucleo familiare, nonché, sempre in modifica delle condizioni stabilite nella sentenza di divorzio della Corte d'appello di Trieste, divenuta definitiva a seguito della sentenza di questa Corte n. 8221 del 2006, la revoca dell' assegnazione della casa familiare all'ex coniuge L. U.,
1.1 - Il Tribunale di Trieste, con decreto del 19 aprile 2007, accoglieva le richieste del M. con decorrenza dalla data del 1 giugno 2005, anteriore rispetto a quella di proposizione della domanda; accogliendo, inoltre, specifica istanza dell'U., aumentava l'assegno in favore della stessa, in considerazione dei maggiori oneri derivanti dalla perdita dell' assegnazione della casa coniugale.
1.2 - La Corte di appello di Trieste, con il decreto indicato in epigrafe, depositato in data 21 novembre 2007, accogliendo il reclamo incidentale dell'U., disponeva che l'efficacia delle modifiche decorresse dal momento della proposizione del ricorso ai sensi dell'art. 9 della 1, n. 898 del 1979 (29 settembre 2006), ribadendo, in particolare, l'infondatezza della inchiesta concernente l'estensione dell'efficacia delle statuizioni - che venivano confermate - ad un momento anteriore alla domanda di modifica delle condizioni stabilite dalla sentenza di divorzio.
1.3 - Avverso tale decreto il M. propone ricorso, affidato a due motivi ed illustrati da memoria.
Resistono con controricorso L. M. e P. U., avanzando richiesta di condanna del ricorrente ai sensi dell'art. 385, quarto comma , c.p.c ..
Motivi della decisione.
2 - Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.
2.1 - Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 710 c.p.c, in relazione agli artt. 2909 C.c., 100 e 1 2 C.p.C. e 9 della l. n. 898 del 1970.
Si sostiene che l'accertamento del venir meno dei presupposti dell'obbligo di mantenimento , avuto riguardo alle modifiche di natura sostanziale al provvedimento “rebus sic stantibus”, se, da un lato, determina la non ripetibilità delle somme versate, dall'altro dovrebbe estendere la propria efficacia nei confronti delle obbligazioni non ancora adempiute, in considerazione dell' accertamento relativo alla pregressa insussistenza del diritto sostanziale.
Viene a riguardo formulato il seguente quesito di diritto: “Qualora, nell'ambito dell'azione ex art. 9 della l. n. 898/70 e 710 c.p.c. il ricorrente, obbligato a versare un assegno di mantenimento in forza di un provvedimento reso “rebus sic stantibus”, manifesti concreto interesse ad ottenere un accertamento della data - anteriore alla proposizione della domanda - a partire dalla quale sono venuti meno i presupposti sostanziali del suo obbligo (consistendo l'interesse nella possibilità di escludere l'efficacia esecutiva di un titolo con riguardo a somme non ancora corrisposte), si chiede se detto ricorrente possa, ai sensi degli artt. 100 C.p.c., 710 c.p.c . 9 1. n. 898 del 1970 e 2909 c. c., ottenere un accertamento del verificarsi di tali fatti aventi efficacia estintiva dell'obbligazione, ferma restando la validità formale del provvedimento sino alla data della domanda ex art. 9 1. n. 898/70 e, dall'altro, la caducazione del titolo stesso solo dalla data della domanda in poi”.
2.2 Il motivo è infondato, ragion per cui deve rispondersi negativamente al proposto quesito. Questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato i principio, che il Collegio condivide, secondo cui in materia di revisione dell' assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell'altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell' assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass., 10 dicembre 2008, n. 28987, in motivaz.,; Cass., 17 luglio 2008, n. 19722; Cass., 19 ottobre 2006 n. 22941; Cass., 14 aprile 2005, n. 6975; Cass., 16 giugno 2000, n. 8235).
3 - Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 155 C.C., contestandosi che il venir meno dell'assegnazione della casa coniugale possa costituire un indice di un peggioramento delle condizioni economiche del coniuge già assegnatario.
Il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “Se la revoca dell'assegnazione dell' abitazione coniuge Le al genitore affidatario dei figli minori, con conseguente restituzione della stessa all'altra parte, possa costituire “ex se” un indice astratto di un significativo peggioramento delle condizioni economiche del coniuge già assegnatario e legittimi, quindi, un aumento dell' assegno divorzile senza ulteriore indagine in concreto da parte del giudice del merito o se debba costituire un indice di valutazione del caso concreto e possa legittimare un aumento dell'assegno solo qualora ricorrano specifiche condizioni, da accertare motivatamente da parte del giudice del merito”.
3.1 - Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Sotto il primo profilo deve rilevarsi che, soprattutto in considerazione della formulazione del quesito di diritto, il ricorrente sembra attribuire alla decisione impugnata l'affermazione di un meccanismo automatico, in base al quale alla revoca della casa coniugale debba necessariamente corrispondere un incremento dell' assegno divorzile. In realtà la Corte di appello ha affermato la “congruità” dell'aumento dell'assegno divorzile in favore della U., “in considerazione del venire meno dell' assegnazione alla stessa della casa coniugale, circostanza, questa, idonea a modificare “in peius ” le sue condizioni economiche complessive”. Orbene, è evidente che una valutazione di congruità sottende una giudizio di merito, scevro da qualsiasi automatismo, circa la necessità di riequilibrare la situazione deteriore, accertata in concreto, determinatasi in seguito alla perdita dell'assegnazione della casa coniugale, pur se disposta in funzione esclusiva dell' interesse della prole. Rilevato che, avendo il M. dedotto soltanto il vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c., non è consentito un riesame - in parte qua - della motivazione della decisione impugnata (essendosi per altro richiamati elementi fattuali , quali la comproprietà dell' immobile e I'ammontare dei rispettivi redditi, che non risultano esaminati dalla corte territoriale e che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non si indica quando e come siano stati introdotti nel giudizio di merito), deve constatarsi come, sotto il profilo giuridico, la decisione impugnata sia sostanzialmente corretta, in quanto conforme a un orientamento consolidato di questa Corte di legittimità.
Si è infatti affermato, con numeroso pronunce, che la revoca dell' assegnazione della casa familiare costituisce elemento valutabile ai fini del riconoscimento dell' assegno di divorzio, in quanto essa incide negativamente (e, normalmente, in modo rilevante) sulla situazione economica della parte che debba ottenere in locazione altro immobile per far fronte alle proprie necessità abitative, e ne può, quindi, derivare un peggioramento della situazione economica dell'ex coniuge tale da renderla insufficiente ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio (Cass., 30 marzo 2005, n. 6712; Cass., 15 gennaio 2005, n. 408; Cass., 9 settembre 2002, n. 13065) .
4 - Il ricorso incidentale, in quanto espressamente condizionato all'accoglimento del principale, rimane assorbito.
5 - Al rigetto del ricorso segue la condanna del M. al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. Non ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'art. 385, comma ultimo, C.p.c. introdotto dall'art. 13 d.lg. n. 40 del 2006. A tal fine, invero, occorre la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria - nel caso del tutto insussistente - che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula a condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 cost., non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (Cass., 18 gennaio 2010, n. 654; Casso Il dicembre 2005, n. 25831).
P. Q. M.
Riunisce i ricorsi. Rigetta il principale, assorbito l'incidentale. Rigetta altresì la domanda ex art. 385, c. 4, c.p.c.. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 1.200,00, di cui € 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Depositata in Cancelleria il 12.03.2012
19-03-2012 00:00
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