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Sentenza

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 24.02.2011 n. 4540 Separazione, addebito, causa, valutazione
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 24.02.2011 n. 4540 Separazione, addebito, causa, valutazione
La Sezione I

In fatto e in diritto
La Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza depositata il 26 settembre 2006 e notificata il 29 novembre 2006, in parziale riforma di precedente pronuncia del Tribunale di Pescara che, pronunciando la separazione personale tra G.G. e F.G. , aveva negato l'addebito a quest'ultimo, imputandolo alla moglie, ha onerato il padre dell'obbligo di corrispondere in favore dei figli la somma di Euro 500,00, oltre metà delle spese straordinarie, ed ha confermato l'esclusione dell'addebito a suo carico. Ha rilevato in proposito che la prova espletata ha dimostrato che la G. , che aveva abbandonato la casa coniugale, aveva violato un suo preciso dovere, senza giusta causa.
G.G. , con ricorso notificato il 27.1.2007, ha impugnato per cassazione la sentenza deducendo sette motivi.
L'intimato ha resistito con controricorso. La ricorrente ha denunciato:
1.- violazione e falsa applicazione dell'art. 151 comma 3 c.c. Fondando la sua censura su esegesi accreditata da consolidata giurisprudenza citata, si duole della pronuncia di addebito nei suoi confronti per essersi ella determinata all'abbandono della casa coniugale per l'irrimediabile frattura creata dal marito, nonché dall'ingerenza della suocera convivente. La Corte territoriale ha trascurato il valore probatorio – decisivo - della ormai prolungata irrimediabile compromissione del rapporto matrimoniale, determinata, da quotidiani e plateali litigi, svalutati in considerazione dell'assenza di episodi di violenza o di tradimento consumati dal F. . In conclusione le ha addebitato la separazione non avendola ascritta al marito.
Il conclusivo quesito di diritto chiede se per giusta causa che legittimi l'allontanamento dalla casa coniugale prima della separazione debba intendersi necessariamente il comportamento illegittimo dell'altro coniuge, concretatosi anch'esso nella violazione dei doveri coniugali, ovvero basti l'obiettiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Il Consigliere rei. ha depositato proposta di definizione rilevando:
"L'enunciato di questa Corte espresso nella sentenza n. 1202/2006, citata dalla ricorrente, afferma che l'allontanamento dalla residenza familiare che, ove attuato unilateralmente dal coniuge, e cioè senza il consenso dell'altro coniuge, e confermato dal rifiuto di tornarvi, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e conseguentemente causa di addebitamento della separazione poiché porta all'impossibilità della coabitazione, non concreta tale violazione allorché risulti legittimato da una "giusta causa", tale dovendosi intendere la presenza di situazioni di fatto, ma anche di avvenimenti o comportamenti altrui, di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (cfr. Cass., Sez. 1, 28 agosto 1996, n. 7920; Cass., Sez. 1, 29 ottobre 1997, n. 10648; Sez. 1, 11 agosto 2000, n. 10682).
Tale giusta causa è ravvisabile anche nei casi di frequenti litigi domestici della moglie con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi. Se (insomma, la frattura è precedente all'allontanamento dalla casa coniugale, della quale pertanto non poteva essere stato causa, l'addebitabilità della separazione al coniuge che si allontani deve essere esclusa senza necessità di verificare ulteriormente se il comportamento dell'altro coniuge costituisca violazione dei suoi doveri coniugali. La decisione della Corte d'Appello che ha ritenuto di attribuire la separazione alla G. per aver ella abbandonato la sua residenza ingiustificatamente, non avendo il marito compiuto atti di violenza, o di tradimento o comunque di gravità tale da impedire alla predetta di attendere i tempi della separazione giudiziale, disapplica il principio riferito. Ne consuma ulteriore contrasto laddove assume la tollerabilità della litigiosità per il solo fatto che il matrimonio durava da 15 anni ed era contrassegnato dai riferiti lamentati episodi. Il motivo deve perciò essere accolto. Restano assorbite tutte le ulteriori censure". Il F. ha depositato memoria con cui ribadisce l'infondatezza delle censure esposte nei motivi del ricorso, confutando la sussistenza della giusta causa che avrebbe determinato la ricorrente all'allontanamento dalla casa familiare, unitamente ai figli minori, senza autorizzazione. La stessa, come dimostrato mediante prova orale, aveva preordinato l'ingiustificato abbandono, né ha dedotto in causa circostanze concrete conclamanti l'impossibilità della coabitazione col marito, che tentò in ogni modo di dissuaderla dalla preordinata, ingiusta, illecita ed insensata iniziativa, foriera di conseguenze negative per la prole. Immotivata ed ingenerosa è la lamentela circa l'ingerenza nel menage familiare della " propria madre. Indimostrata è infine l'accusa lanciata nei suoi confronti di malgoverno delle risorse economiche, avendo comunque egli impiegato in maniera oculata il reddito percepito dalla sua attività lavorativa. Il P.G. ha aderito alle conclusioni della riferita proposta.
Il collegio ritiene di condividere le considerazioni ivi esposte.
Ai fini della pronuncia di addebito non è sufficiente la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dell'art. 143 c.c. (ma occorre verificare "se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, cosicché, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito (Cass. n. 12373/2005 che richiama Cass. n. 12130/2001 e n. 13747/2003, 17056/2007,1202/2006, 12373/2005). Non elide il nesso causale tra l'allontanamento volontario e la persistenza di una pregressa condizione d'irreversibile dissidio della coppia che avrebbe indotto l'abbandono l'assenza di episodi di maltrattamenti o di vessazioni da parte del coniuge abbandonato. La decisione impugnata ha dato rilievo decisivo a tale circostanza, omettendo di contro di verificare l'efficacia causale della violazione consumata dalla G. nella determinazione della crisi coniugale, che ha qualificato perciò immotivatamente illegittima e, in quanto contraria all'obbligo coniugale di coabitazione, causa dell'addebito. L'intollerabilità della convivenza che cagiona in astratto tale violazione non necessariamente deve manifestarsi in atti di violenza, essendo sufficiente anche un contesto di vicendevole intolleranza. Appare, dunque, palese il denunciato vizio di motivazione, che impone la cassazione della decisione impugnata con rinvio alla Corte di merito che, attenendosi al richiamato principio, dovrà accertare se, sulla base degli elementi di prova addotti dalla G. , l'abbandono della casa familiare ad opera della stessa sia intervenuto quando "era già maturata, all'interno della coppia, una situazione di intollerabilità grave ed irreversibile della convivenza", ovvero se esso abbia dato causa alla rottura del rapporto coniugale, prescindendo dall'assenza di episodi di maltrattamenti da parte del marito a danno della stessa, non incidente in senso risolutivo sul nesso causale che deve sussistere tra la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e la fine dello stesso. Sarà cura del giudice di rinvio provvederà anche al regime delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione.
Avv. Antonino Sugamele

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