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Sentenza

Versamento diretto del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne (Cc articoli 147, 337-septies e 2697; Cpc articoli 473-bis.22, 473-bis.29; legge 898/1970, articolo 9; Cost. articolo 30)
Versamento diretto del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne (Cc articoli 147, 337-septies e 2697; Cpc articoli 473-bis.22, 473-bis.29; legge 898/1970, articolo 9; Cost. articolo 30)
Tribunale Lamezia Terme, Sez. Unica civile, sentenza 8 gennaio 2025 n. 1
TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME
SEZIONE UNICA CIVILE
composto dai Magistrati:
dott. Giovanni Garofalo - Presidente
dott.ssa Teresa Valeria Grieco - Giudice
dott. Salvatore Regasto - Giudice delegato/estensore
riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n. 820/2024 R.G.V.G., posta in deliberazione all'udienza
del 19.12.2024 (sostituita con il deposito di note scritte ai sensi degli arti. 127 e 127-ter c.p.c.), ai sensi
dell’art. 473-bis.22 ultimo comma c.p.c. e promossa da:
P1 (C.F. (...) elettivamente domiciliato in …(CZ), via n. 25, presso lo studio dall'avv…., che la
rappresenta e difende giusta procura alle liti in atti; ^k
RICORRENTE
CONTRO
Cl (C.F. (...) ), elettivamente domiciliata in Lamezia Terme (CZ). via …presso lo studio dall'avv….,
che la rappresenta e difende giusta procura alle liti in atti:
RESISTENTE
E CONTRO
C2 (C.F. (...) ), nato a (C.), il (...), residente a X (S.), X , n. 18:
RESISTENTE CONTUMACE
e con l'Intervento del P.M. in sede.
OGGETTO: modifica delle condizioni di divorzio.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso "ex art. 337-septies c.c." depositato in via telematica il 19.10.2024 e ritualmente
notificato, P1 conveniva in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale i genitori C2 e C1 per ottenere la
modifica delle condizioni stabilite con la sentenza di cessazione degli effetti civili del Tribunale di
Lamezia Terme n. …/2023, pubblicata il 19.9.2023, chiedendo, in particolare, il versamento diretto
delle somme dovute dal padre in suo favore a titolo di mantenimento ordinario e straordinario.
A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di non essere ancora indipendente
economicamente c di avere interesse a ricevere direttamente l'assegno di mantenimento, al fine di
coprire parte delle spese necessarie per la permanenza a Cosenza ove frequentava i corsi universitari.
Si costituiva in giudizio C1 la quale aderiva alla domanda della ricorrente rappresentando, in ogni
caso, che la figlia nei fine settimana rientrava dall'Università presso la sua abitazione.
Nonostante la ritualità della notifica del ricorso introduttivo non si costituiva in giudizio C2 che
rimaneva contumace.
La controversia veniva istruita esclusivamente attraverso l'acquisizione della documentazione
prodotta dalle parti e allegata ai rispettivi fascicoli stante la sua natura strettamente documentale.
All'udienza del 19.12.2024, sostituita con note scritte depositate ai sensi dell'alt. 127-ter c.p.c., il
Collegio evidenziava che, trattandosi di procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, non
dovevano essere adottati i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui al primo comma dell'art. 473-
bis.22 c.p.c. innovativi rispetto alle statuizioni già in essere tra le parti e che la controversia era
matura per la decisione senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova e tratteneva la causa in
decisione.
Motivi della decisione
2. In via preliminare deve essere dichiarata la contumacia di C2 che non si è costituito nel giudizio
nonostante la ritualità della notifica del ricorso introduttivo nei suoi riguardi.
3. Nel merito il ricorso è fondato e, pertanto, merita di essere accolto per tutte le ragioni di seguito
illustrate.
3.1. Anzitutto va rilevato che il ricorso in oggetto deve essere correttamente qualificato come istanza
volta ad ottenere la modifica delle condizioni divorzili dal momento che è rivolto ad ottenere la
modificazione di una statuizione (di carattere patrimoniale) contenuta nella sentenza di cessazione
degli effetti civili del matrimonio tra C2 e C1.
Tanto precisato, occorre evidenziare che al procedimento in epigrafe si applicano le disposizioni del
rito Cartabia e, in particolare, l'art. 473-bis.29 c.p.c. dal momento che il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,
come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con Part. 35, comma 1) che "le
disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere
dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai
procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente
vigenti".
In considerazione di quanto appena detto, il Collegio rileva che il ricorso per la modifica delle
condizioni di divorzio in oggetto è stato erroneamente iscritto al registro della volontaria
giurisdizione anziché a quello contenzioso posto che il nuovo rito unitario (che è quello da seguire
nel procedimento in epigrafe) si applica solo a procedimenti "'contenziosi" stante quanto affermato
dal Legislatore nella Relazione illustrativa.
Tale erronea individuazione del registro cui iscrivere la causa, tuttavia, non produce alcuna
conseguenza sulla piena validità del provvedimento decisorio finale condividendosi l'indirizzo
ermeneutico recentemente seguito dalla Cassazione (vedi in particolare Cass. civ. n. 3 1371/2022).
3.2. Ciò posto, l'art. 473-bis. 29 c.p.c., rubricato "modificabilità dei provvedimenti", stabilisce
verbatim che "qualora sopravvengano giustificati motivi, le parti possono in ogni tempo chiedere,
con le forme previste nella presente sezione, la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in
materia di contributi economici".
E un principio generalmente riconosciuto nell'ordinamento quello per il quale i provvedimenti,
anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e
patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole (si pensi, tra i molti esempi, alle
decisioni relative all'assegno di mantenimento o divorzile, a quelle relative all'assegnazione della
casa familiare, alle modalità di affidamento dei figli minori e di mantenimento degli stessi e di quelli
anche maggiorenni non economicamente indipendenti) vengono sempre emanati "rebus sic
stantibus", e, pertanto, in relazione a un preciso quadro fattuale e istruttorio delineatosi in seno al
processo e cristallizzatosi, da un punto di vista temporale, al momento della rimessione della causa
in decisione.
Il successivo fisiologico modificarsi di tale quadro di riferimento e la sopravvenienza di nuove
circostanze può dunque alterare in modo anche significativo la prospettiva in base alla quale i
provvedimenti sono stati in origine assunti e, conseguentemente, determinare la necessità di
riformarli per adattarli alla nuova situazione venutasi a creare. In questo senso è il necessario
presupposto dei giustificati motivi, nel senso di una modifica sopravvenuta e significativa che alteri
in modo sostanziale l'assetto "ilio tempore" raggiunto (in conformità all'art. 9, L. 1 dicembre 1970, n.
898). Pertanto, i provvedimenti emessi in materia di diritto di famiglia, anche dopo il passaggio in
giudicato formale, sono di natura suscettibili di riforma, essendo governati dal principio "rebus sic
stantibus". In effetti si tratta generalmente di provvedimenti di durata, di cui si deve garantire la
rispondenza alle evoluzioni della realtà di riferimento.
La norma in commento dunque costituisce l'equivalente dell'art. 710 c.p.c. nella misura in cui
conferma la possibilità di modificare i provvedimenti emessi nell'ambito del procedimento unitario
di famiglia. Rispetto all'attuale norma del codice di rito, d'altro canto, l'art. 473-bis.29 c.p.c. introduce
alcune importanti specificazioni.
In primo luogo, si codifica il presupposto sostanziale della modifica dei provvedimenti esistenti
ovvero il sopravvenire di giustificati motivi. Non si tratta, a ben vedere, di una novità; cosi già recita
Part. 9, comma 1, L. n. 898 del 1970. Si è dunque codificata la regola per cui una modifica può essere
chiesta solo al sopravvenire di nuove circostanze di fatto o di diritto che rendano opportuno un
adeguamento della disciplina esistente alla nuova situazione.
Più innovativa è la parte finale della norma, che precisa che la modifica può essere richiesta per i
provvedimenti relativi alla prole minorenne o ai contributi economici. Tale ultima nozione è generica
sia per la varietà di contesti in cui può essere invocata sia perché, anche nella separazione e nel
divorzio, un "contributo economico" non necessariamente prende le forme di un assegno di
mantenimento.
La formulazione della norma lascia capire che vi sono provvedimenti non suscettibili di modifica:
oltre alle questioni sullo stato delle persone, si può fare l'esempio, delle misure con effetti istantanei
e degli accordi presi tra le parti per disciplinare i loro rapporti patrimoniali e che non possono essere
successivamente modificati, avendo effetti irreversibili (come nel caso dell'obbligo di effettuare un
trasferimento immobiliare a favore dell'altro coniuge assunto in sede di separazione consensuale).
Come si legge nella Relazione illustrativa, le richieste di modifica dei provvedimenti esistenti sono
assoggettati al rito unitario famiglia non essendo stato previsto un sub-procedimento ad hoc.
3.3. Tanto detto con riguardo all'art. 473-bis.29 c.p.c. di nuovo conio legislativo, possono essere
richiamati ed applicati, nel caso di specie, tutti i principi formatisi nella giurisprudenza nella vigenza
delle previgenti disposizioni con riferimento al procedimento di modifica delle condizioni di
divorzio e ai suoi clementi costitutivi.
Giova rammentare, a tale scopo, che i provvedimenti adottati con la sentenza che pronuncia lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero con gli accordi di divorzio
concessi con negoziazione assistita o innanzi al sindaco (artt. 6 e 12 L. n. 162 del 2014) potevano
essere oggetto di successiva modifica o ai sensi dell'art. 9 1. div. oppure mediante una delle
procedure di cui agli artt. 6 e 12 L. n. 162 del 2014.
In particolare. l'art. 9 L. n. 898 del 1970, modificato dalla L. n. 436 del 1978, disciplinava la revisione
delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alle modalità dei contributi
da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6, assunte, infatti, "rebus sic stantibus".
L'art. 9, comma 1, appena citato esigeva, infatti, che in seguito alla sentenza di divorzio fossero
sopraggiunti "giustificati motivi": assumeva rilevanza, cioè, l'elemento della sopravvenienza, che
postula la presenza di fatti obbiettivamente nuovi, aventi il carattere della novità, sorti in un
momento successivo rispetto al provvedimento di cui si domanda la revisione (cfr. Cass.
24515/2013). Non si può, invece, in sede di modifica, compiere una nuova valutazione e verifica delle
circostanze addotte nel giudizio di divorzio (vedi Cass. n. 2010/1998); tanto meno dovrebbe tenersi
conto dei fatti anteriori, dei quali successiva sia solo la prova. In altri termini, la facoltà di richiedere
la modifica delle condizioni di divorzio è condizionata dalla sopravvenienza di fatti che si
caratterizzino per la loro idoneità ad immutare la situazione preesistente e ad alterare il pregresso
equilibrio realizzato per effetto dei provvedimenti già intervenuti.
1 principi generali di ripartizione deli onere della prova previsti dall'art. 2697 c.c. impongono di
ravvisare l'onere del richiedente di dimostrare i fatti costitutivi del diritto fatto valere e segnatamente
i fatti sopravvenuti che hanno alterato Passetto economico tra le parti o di relazione con i figli
realizzato nella sentenza di divorzio (v. Cass. civ. n. 4434/2008), laddove la eventuale mancata
costituzione e, dunque, l'assenza di ogni contestazione e di qualsivoglia attività processuale da parte
della controparte di per sé non esonera l'attore dall'onere della prova su di esso gravante ex art. 2697
c.c. (v. Cass. n. 14860 2013: la disciplina della contumacia ex art. 290 ss cod. proc. civ. non attribuisce
a questo istituto alcun significato sul piano probatorio, salva previsione espressa, con la conseguenza
che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall'onere della prova, ma anche che
rappresenti un comportamento valutabile, ai sensi dell'art. 116. primo comma, cod. proc. civ., per
trame argomenti di prova in danno del contumace").
3.4. In punto di contributo al mantenimento di figlio maggiorenne non ancora autonomo
redditualmente si evidenzia, invece, che, a seguito sia della separazione personale che del divorzio
tra i coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita
corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello
goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l'art. 147 c.c. che impone il dovere di
mantenere, istruire ed educare i figli, ed obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze,
non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo,
sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione fin quando l'età
dei figli lo richieda di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità
di cura e di educazione.
Mentre il dovere di educazione si estingue al momento del compimento del diciottesimo anno da
parte del figlio, l'obbligo di mantenimento non cessa automaticamente, ipso facto, con il
raggiungimento della maggiore età (non prevedendo né l'art. 30 Cost., né l'art. 147 c.c. alcuna
scadenza ad essa collegata), ma ha una durata mutevole, senza rigida predeterminazione di tempo,
che è soggetta alle circostanze del singolo caso. Secondo una diffusa dottrina, il mantenimento si
protrae fino al momento in cui il figlio abbia conseguito una propria indipendenza economica e sia,
quindi, in grado di provvedere in modo autonomo al soddisfacimento delle proprie esigenze.
Diverso orientamento dottrinale sostiene che il mantenimento perdura fino a quando esiste la
possibilità, la necessità o l'opportunità familiare e vi è partecipazione e collaborazione del
destinatario del sussidio, che deve attivarsi per raggiungere i propri obiettivi personali e conquistare
cosi l'autosufficienza. Altra dottrina ritiene che il limite di durata dell'obbligo in discorso sia
rappresentato dal conseguimento della maturità da parte del figlio e dall'acquisizione delle
conoscenze e competenze idonee, almeno sotto un profilo potenziale, a consentirgli di trovare una
occupazione che gli assicuri una indipendenza economica.
Nella valutazione della posizione del figlio, ai fini dell'accertamento del raggiungimento
dell'autosufficienza, non si può non tener conto del processo di cambiamento che ha interessalo la
realtà contemporanea, la quale, rispetto al passato, ha fatto registrare un crescente ritardo nella
transizione dei giovani alla vita adulta. Questo fenomeno di ritardato distacco dei figli dai genitori,
ormai consolidatosi negli ultimi anni, trae origine sia da un cambiamento delle condizioni
socioeconomiche della famiglia media italiana, che hanno determinalo un aumento della
percentuale di giovani che proseguono gli studi universitari, con conseguente spostamento in avanti
dell'età lavorativa, sia dalla dilatazione dei tempi di formazione universitaria, in quanto molto
spesso i giovani completano gli studi anche ben oltre la soglia dei 30 anni, restando sino a tale
momento (e spesso pure dopo), privi di qualsiasi fonte di entrata economica e, dunque, non
autosufficienti.
Da tempo ormai dottrina e giurisprudenza, recependo i nuovi bisogni generati dalle vicende testé
ricordate, affermano in modo sostanzialmente univoco che l'obbligo di mantenimento da parte dei
genitori perdura oltre la maggiore età dei figli, se costoro non siano in grado di provvedere in modo
autonomo alle proprie esigenze di vita, né siano esistenzialmente svincolati dall'habitat domestico,
inteso quale centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la
vita familiare (v. Cass. 2 settembre 1996, ri. 7990; Cass. 17 settembre 1993, n. 9578; Cass. 29 dicembre
1990, n. 12212; Cass. 11 dicembre 1992, n. 13126; Cass. 3 luglio 1991. n. 7295; Cass. 13 febbraio 2003,
n. 2147);
Fino a che tale autonomia, non solo patrimoniale, non è raggiunta, l'obbligo di mantenimento spetta
ai genitori (v. Cass. 7 maggio 1998, n. 4616). Tuttavia, pur se non é possibile prefissare quando
termina l'obbligo di mantenimento, è indiscutibile che esso non può protrarsi oltre ogni ragionevole
limite. 11 compito di individuare, caso per caso, quando il suddetto limite debba considerarsi
superato e quando al tiglio sia imputabile la responsabilità per non essere stato in grado di rendersi
autosufficiente, è riservalo al prudente apprezzamento del giudice di merito (v. Cass. 30 agosto 1999,
n. 9109);
Presupposto essenziale della persistenza dell'obbligo di mantenimento nei riguardi dei figli
maggiorenni è, quindi, la mancanza della capacità di autosostenersi. Il figlio, in altre parole, non
deve essere in condizione di inserirsi concretamente nel mondo del lavoro, di prendersi cura di se
stesso, di mantenersi da solo. Viceversa, l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne si
estingue nel momento in cui quest'ultimo raggiunge l'autonomia economica. Il conseguimento del
l'autosufficienza economica si configura, quindi, come fatto estintivo di una obbligazione ex lege.
Ciò avviene allorquando il figlio percepisca redditi, siano essi da lavoro o da capitale, integralmente
sufficienti ad assicurare il suo mantenimento (v. Cass. 4 marzo 1998. n. 2392). mentre qualora tali
redditi siano solo parzialmente bastevoli, l'obbligo in capo ai genitori si riduce proporzionalmente;
Il mantenimento del figlio maggiorenne convivente e da escludere quando quest'ultimo, ancorché
allo stato non autosufficiente economicamente, abbia però in passato svolto attività lavorativa, così
dando prova del conseguimento di un'adeguata capacità e provocando la cessazione del
corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore. Non può avere rilievo, infatti, il
successivo abbandono dell'attività lavorativa da parte del figlio. trattandosi di una scelta che, se
determina l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo
di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno (v. Cass. 5 agosto 1997, n. 7195; Cass. 7
luglio 2004. n. 12477). Peraltro, l'espletamento di un lavoro precario e limitato nel tempo non è
sufficiente per esonerare il genitore da d'obbligo di mantenimento, non potendosi, in tal caso,
affermare che si sia raggiunta un'indipendenza economica, la quale richiede, appunto, una
prospettiva concreta di continuità (v. sul punto Cass. Civ. Sez. 1, sentenza 30.8.1999, n. 9109, sentenza
6.4.2009, n. 8227, i cui principi sono stati applicati anche da Trib. Salerno 9.1.2009, in Famiglia e
diritto 2010, n. 4, p. 41B). Una volta raggiunta l'autonomia economica e cessata il diritto al
mantenimento, i figli che eventualmente vengano a versare in stato di bisogno hanno comunque
diritto agli alimenti, essendo quest'ultima una obbligazione fondata su presupposti sostanziali
diversi, azionabile direttamente dai figli medesimi e non già dal genitore convivente.
Analoghi effetti estintivi produce il comportamento del figlio che sia in grado di percepire un reddito
corrispondente alla professionalità acquisita in modo pieno, secondo le ordinarie condizioni di
mercato, e ciononostante per sua negligenza o sua discutibile scelta, non abbia raggiunto
l'indipendenza economica, ovvero versi in colpa (v. Cass. 1 dicembre 2004, n. 22500) per non essersi
messo in condizione di conseguire un titolo di studio e/o di procurarsi un reddito attraverso lo
svolgimento di idonea attività lavorativa, o per avere detta attività rifiutato arbitrariamente (v. Cass.
18 gennaio 2005, n. 951). L'accertamento della mancata incolpevole autosufficienza economica va
condotto con rigore proporzionalmente crescente rispetto all'aumento dell'età del figlio (v. Cass. 5
agosto 1997, n. 7195), e deve necessariamente essere ispirato a criteri di relatività e cioè correlato alle
aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del figlio, nonché al contesto
socioeconomico, con particolare riferimento al mercato del lavoro ed al settore verso il quale il
soggetto abbia rivolto l'attenzione alla luce della propria formazione e specializzazione (v. Cass. 3
aprile 2002, n. 4765).
La giurisprudenza (v. Cass. 7 maggio 1998, n. 4616), a tale proposito, tende ad escludere che possano
configurarsi profili di responsabilità nella condotta del figlio che rifiuti una collocazione lavorativa
non adeguata alla propria specifica preparazione professionale, alle proprie attitudini ed ai propri
effettivi interessi, quantomeno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole
possibilità di essere realizzate e sempre che siffatto comportamento sia compatibile con le condizioni
economiche della famiglia. Il genitore che neghi la persistenza dei proprio obbligo di mantenimento
nei riguardi del figlio maggiorenne, in virtù del fatto che lo stesso non espleti attività lavorativa
retribuita, è tenuto a dimostrare che ciò sia conseguenza della condotta colpevole del figlio, il quale,
pur capace di provvedere a sé stesso con appropriata collocazione in seno al corpo sociale, persista
in una situazione di inerzia nella ricerca di un lavoro confacente alle proprie attitudini, o rifiuti le
opportunità che gli si presentano, o abbandoni immotivata mente il posto di lavoro occupato (v.
Cass. 30 agosto 1999, n. 9109). Mentre è indubbio che detto obbligo perdura quando la decisione di
intraprendere un lungo corso di studi sia stata adottata di concerto tra il figlio ed i propri genitori,
perplessità sussistono, invece, nel caso in cui i figli compiano scelte completamente differenti rispetto
alla volontà dei genitori. In siffatta ipotesi è corretto ritenere che questi ultimi, in forza dell'obbligo
di rispettare le inclinazioni naturali e le aspirazioni dei figli, siano comunque tenuti ad assecondare
le loro decisioni ove conformi a detti parametri, e. dunque, a mantenere gli stessi per l'intera durata
del periodo formativo.
4. Detto questo in punto di ricostruzione sistematica dei presupposti giuridici del giudizio di
modifica delle condizioni di divorzio e di mantenimento dei figli maggiorenni non ancora
autosufficienti, deve procedersi all'esame della domanda avanzata dalla ricorrente e volta ad
ottenere il versamento diretto, in suo favore, da parte del padre non convivente obbligato,
dell'assegno di mantenimento ordinario e straordinario posto a carico del genitore nella sentenza
divorzile.
Va sottolineato, al riguardo, che la Cassazione ha chiarito che, sebbene l'art. 337-septies c.c. accordi
al figlio maggiorenne economicamente autosufficiente un diritto concorrente con quello del genitore
convivente alla percezione dell'assegno di mantenimento, l'attribuzione della provvidenza
direttamente alla prole ne presuppone la domanda giudiziale (art. 99 c.p.c.). Occorre poi ricordare
che il pagamento dell'assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non costituisce una
facoltà dell'obbligato, essendo invece il prodotto di una decisione giudiziaria (Cass. civ., n.
9700/2021).
E' principio consolidato, quindi, quello secondo il quale in tema di mantenimento dei figli
maggiorenni non ancora autonomi esiste la legittimazione attiva concorrente del figlio (titolare del
diritto al mantenimento) e del genitore con lui convivente (titolare del diritto a ricevere il contributo
dall'altro genitore), il che esclude che il genitore obbligalo abbia autonomia di scelta in merito al
soggetto nei confronti di cui adempiere (Corte di Appello 20.1.2023).
Inoltre, in punto versamento del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne direttamente a
quest'ultimo, deve rilevarsi che l'interpretazione giurisprudenziale più oculata formatasi ha ritenuto
che la locuzione normativa secondo cui il contributo al mantenimento debba essere attribuito
direttamente alla prole maggiorenne, a meno che non sussistano giustificati motivi per provvedere
diversamente, debba essere utilizzala dal Giudice come strumento di valutazione di tutte le
circostanze della fattispecie concreta, verificando se una corresponsione diretta a mani del figlio
possa o meno creare difficoltà sul piano della gestione dei suoi interessi di vita e, pertanto, senza
alcun automatismo applicativo (v. Trib. Marsala, 26.2.2007, in www.dejuregiuffre.it). In particolare,
la corresponsione dell'assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne è
imprescindibile quando costui conduca già una vita proiettata prevalentemente fuori dalle mura
domestiche, come può avvenire, per esempio, nel caso di studente universitario fuori sede, perché
in tal caso egli sostiene da sé le spese del suo mantenimento (v. Trib. Lodi sez. I, 19.12.2008, in
www.dejuregiuffre.it), o quando il passato della coppia è segnato da contrasti più o meno accesi
sulla gestione di un genitore faceva del contributo al mantenimento della prole (v. App. Milano,
6.6.2007, in www.affidamentocondiviso.it), oppure, ancora, quando già sussista una prassi
consolidata in tal senso.
4.1. Ciò detto, nel caso di specie, sussistono tutti i presupposti per la modifica delle statuizioni
divorzili in punto di versamento diretto del mantenimento alla figlia maggiorenne ma non
autosufficiente da parte del padre onerato della contribuzione.
Infatti, è stata proposta esplicita domanda da parte dell'interessala; è incontestato che la ricorrente
sia ancora non autonoma dal punto di vista reddituale; la madre convivente, finora destinataria
nell'interesse della figlia dell'assegno mensile di sostentamento, ha aderito alla domanda della
ricorrente; non vi è stata alcuna opposizione da parte del padre alla richiesta della figlia tanto che il
resistente non si è nemmeno costituito nel presente giudizio non avendo alcun interesse a contrastare
l'istanza della ricorrente; è documentata (e pacifica) la modifica delle abitudini di vita di PI la quale,
essendosi iscritta all'università degli Studi di Cosenza (v. doc. 3 fascicolo di parte ricorrente) ormai
vive prevalentemente fuori dalle mura domestiche, sostenendo da sé le spese del suo mantenimento.
Conseguentemente l'importo di Euro 250,00 mensili corrisposto da C2 a C1 a titolo di mantenimento
della figlia P1 per come determinato nella pronuncia divorzile, deve essere versato direttamente alla
figlia, così come la metà delle spese straordinarie necessarie per la stessa. 4.2. Devono rimanere ferme
per il resto tutte le altre statuizioni contenute nella pronuncia di cessazione degli effetti civili del
matrimonio di questo Tribunale n 751/2023.
5. Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alla natura
della controversia, ai rapporti tra le parti e alla adesione della resistente costituita alla domanda della
figlia.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lamezia Terme, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) in via preliminare, dichiara la contumacia di C2 ;
2) nel merito, visto l'art. 473-bis.29 c.p.c., accoglie la domanda di parte ricorrente e. per l'effetto, in
modifica parziale della pronuncia di divorzio tra le parti, dispone che C2 versi direttamente in favore
della figlia maggiorenne P1 , con bonifico bancario o postale o con IBAN o a mani o in altra forma
conveniente ed opportuna, l'assegno di mantenimento cosi come determinato nella sentenza del
Tribunale di Lamezia Terme n. 751/2023, oltre il 50% delle spese straordinarie per la stessa,
revocando l'obbligo di versamento in favore di C1 con decorrenza dalla domanda;
2) conferma, per il resto, tutte le altre statuizioni contenute nella sentenza di cessazione degli effetti
civili del matrimonio del Tribunale di Lamezia Terme n. …/2023 (depositata il 19.9.2023);
3) compensa tra le parti le spese di lite;
4) dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri
dati significativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Conclusione
Così deciso in Lamezia Terme al termine della Camera di Consiglio della Sezione Unica Civile del
19 dicembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 8 gennaio 2025.
Avv. Antonino Sugamele

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