Nel concetto di ordine pubblico rientrano il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione tra i sessi, nonché il diritto di difesa ed il principio per il quale il matrimonio può sciogliersi solamente al ricorrere del presupposto dell’accertamento del disfacimento della comunione di vita familiare.
Corte d’Appello Ancona, Sez. II, ordinanza 3 febbraio 2025 n. 189CORTE D'APPELLO DI ANCONA
SECONDA SEZIONE CIVILE
La Corte, nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott. Guido Federico - Presidente relatore
Dott. Maria Ida Ercoli - Consigliere
Dott. Anna Bora - Consigliere
ORDINANZA
nella causa civile in grado d'appello iscritta al N. 703 del Ruolo generale dell'anno 2024,
promossa da:
S.K. ((...)), rappresentata e difesa dagli Avv.ti … (...)), ed elettivamente domiciliata presso lo
studio dei suddetti difensori in Ancona, Via (...);
-ricorrente-
CONTRO
L.K. ((...)), rappresentato e difeso dall'Avv….. ed elettivamente domiciliato presso il suo
studio in Ancona, Via (...);
- resistente -
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con ricorso ex art. 67 L. n. 218 del 1995 e art. 30 D.Lgs. n. 150 del 2011 S.K., premesso che:
- in data 2.3.2008 contraeva matrimonio in Bangladesh con L.K.;
- dall'unione nascevano due figli, il primo in data (...) e il secondo il (...);
- a partire dall'anno 2018 i rapporti all'interno della coppia divenivano conflittuali a causa
del comportamento violento e vessatorio del marito;
- a novembre 2022, dopo essere andata in Bangladesh per il matrimonio del fratello, si recava
presso la propria abitazione, scoprendo che la serratura era stata sostituita e l'immobile
concesso in locazione dal marito;
- in seguito a tali eventi sporgeva querela nei confronti del marito, da cui si incardinava un
procedimento penale per maltrattamenti dinnanzi al Tribunale di Ancona;
- decideva quindi di avviare la procedura di separazione dal marito e, a tal fine, richiedeva
all'Ufficio di stato civile del Comune di Ancona la scheda anagrafica in cui era stato annotato
il matrimonio;
- in tale occasione scopriva che il marito aveva già divorziato da lei a sua insaputa, in data
10.5.2023, seguendo il rito islamico che prevede la formula del ripudio;
- per l'effetto, in seguito alla richiesta di L.K. di variazione dello stato civile, era stata
annotata nella scheda anagrafica di S.K. "sentenza proveniente dal paese di origine di
divorzio" da cui risultava "anagraficamente di stato civile libera".
Tanto premesso, S.K. chiedeva quindi di ordinare la cancellazione dell'annotazione nei
registri dello stato civile italiano del Comune di Ancona della sentenza di divorzio per
ripudio emessa dall'Autorità del Bangladesh, in quanto contraria agli artt. 64, comma 1, lett.
g) e 65 L. n. 218 del 1995, all'ordine pubblico interno e internazionale, oltre che alle norme e
ai principi della Costituzione italiana, perché priva di ogni disposizione a tutela della prole
e del diritto al mantenimento della moglie.
Si costituisce L.K., chiedendo il rigetto dell'avverso ricorso ex art. 67 L. n. 218 del 1995, attesa
la non contrarietà all'ordine pubblico dell'atto di divorzio in contestazione, e affermando la
legittimità dell'annotazione effettuata dall'Ufficiale dello stato civile del Comune di Ancona,
nonché chiedendo di estendere il contraddittorio al predetto Comune, in persona del
Sindaco pro tempore e/o dell'Ufficiale dello stato civile, quale soggetto destinatario
dell'eventuale ordine di cancellazione.
Con ordinanza del 30.10.2024 la Corte, rilevata l'insussistenza di un'ipotesi di litisconsorzio
necessario, rigettava l'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune
di Ancona e fissava per la decisione la data del 27.1.2025, assegna ndo alle parti termine ex
art. 127 ter c.p.c. per il deposito di note scritte.
Ritenuto che:
1. Risulta ritualmente individuata la competenza di questa Corte d'Appello in forza del
luogo di residenza del convenuto.
2. L'atto di divorzio per ripudio (talaq) è stato emesso e registrato presso l'Ufficio del K. del
Comune di Madaripur, Bangladesh, il 10.5.2023 ed è irrevocabile.
2.1. Come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione (n. 16804/2020) l'istituto della talaq
rappresenta una particolare forma di scioglimento del matrimonio islamico pronunciato dal
marito nei confronti della moglie, attraverso espressioni formali che contengono
espressamente il termine talaq o equivalenti, ed esprimono in modo inequivocabile
l'intenzione di porre fine all'autorità maritale sulla sposa. Con il termine talaq si indica
appunto la possibilità riservata all'uomo di sciogliere il matrimonio con un atto unilaterale
di volontà, non recettizio, che può quindi essere perfezionato anche senza che la moglie ne
sia a conoscenza.
In molti codici del diritto islamico, il ripudio è oggi collocato all'interno di un procedimento
giudiziario. Tuttavia, generalmente, l'autorità che interviene svolge solo funzioni di
omologazione, talvolta anche funzioni decisorie, ma pur sempre limitate a recepire la
volontà unilaterale del marito. Infatti, il provvedimento che incorpora il ripudio (talaq) si
limita a recepire il potere unilaterale di ripudio con funzioni di omologa e di presa d'atto
della volontà del marito di sciogliersi dal matrimonio.
3. Ai fini del riconoscimento di tale atto nell'ordinamento italiano gli artt. 64 ss. L. n. 218 del
1995 dispongono che i provvedimenti stranieri in materia personale e familiare devono
essere annotati in pubblici registri in Italia e l'autorità preposta a ll'annotazione, ossia
l'ufficiale dello stato civile, deve verificare la sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 64 e
65 L. n. 218 del 1995.
In particolare, la norma applicabile nel caso di specie è l'art. 65, secondo cui "i provvedimenti
stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di
diritti della personalità" hanno effetto in Italia quando sono stati pronunciati dalle autorità
dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della L. n. 218 del 1995 e "purché non siano
contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa.
3.1. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la compatibilità con l'ordine
pubblico richiesta dagli artt. 64 e ss. della L. n. 218 del 1995 esige una valutazione ampia,
comprensiva non solo dei principi fondamentali della Costituzione e dei principi
sovranazionali, ma anche delle leggi ordinarie e delle norme codicistiche, operazione
ermeneutica che necessariamente procede al caso singolo ma che approda a un
inquadramento di carattere generale, così da consentire un certo ordine nel bilanciamento
dei valori in gioco (Cass., Sez. U., n. 12193/2019).
3.2. Con particolare riguardo al riconoscimento in Italia del ripudio islamico la S.C. ha già
da tempo negato la possibilità di riconoscere efficacia al ripudio unilaterale dichiarato nella
contumacia della moglie, rilevandone la contrarietà all'ordine pubblico. Ciò in quanto nel
nostro ordinamento il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi
(art. 29 Cost.) investiti di pari dignità nell'ambito del nucleo familiare, sicché contrasta
irrimediabilmente una concessione che elevi il marito ad arbitro della continuazione o della
cessazione del vincolo coniugale e riduca la moglie a soggetto passivo delle sue
determinazioni (Cass. n. 3881/1969).
In successive pronunce (Cass. n. 1539/1983; conf. n. 5074/1983), i giudici di legittimità hanno
inoltre affermato il principio di diritto, secondo cui, al fine della delibazione di una sentenza
di divorzio resa dal giudice straniero tra cittadini di quella stessa nazionalità, l'ordine
pubblico da considerare è quello internazionale, risultante dai principi comuni alle nazioni
di civiltà affine ed intesi alla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, sì che la delibazione
medesima deve ritenersi consentita ogni qualvolta il divorzio sia pronunziato per cause
obiettive e predeterminate, non lesive di quei diritti fondamentali, e sottoposte a riscontro
giudiziale sulla base di prove adeguate.
In particolare, la S.C. (n. 10378/2004) ha chiarito che attiene all'ordine pubblico l'esigenza
che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato solo all'esito di un rigoroso
accertamento - condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti e delle garanzie
processuali - dell'irrimediabile disfacimento della comunione familiare, che costituisce
l'unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall'art. 3 della L.
n. 898 del 1970.
3.3. In definitiva, quindi, posto che in base alla citata giurisprudenza il principio dell'ordine
pubblico va indentificato, non tanto con il cd. ordine pubblico interno - e, cioè, con qualsiasi
norma imperativa dell'ordinamento civile - bensì con quello di ordine pubblico
internazionale, costituito dai principi fondamentali e caratterizzanti l'atteggiamento etico-
giuridico dell'ordinamento in un determinato periodo storico (Cass. n. 17349/2002; SU. n.
12913/2019), non può dubitarsi che nel concetto di ordine pubblico rientrino il principio di
uguaglianza e il divieto di discriminazione tra i sessi, nonché il diritto di difesa ed il
principio per il quale il matrimonio può sciogliersi solamente al ricorrere del presupposto
dell'accertamento del disfacimento della comunione di vita familiare (Cass. n. 16804/2020
cit.).
4. Orbene, il provvedimento di scioglimento del matrimonio tra L.K. e S.K. risulta
incompatibile con tali principi.
4.1. In primo luogo, non è rispettato il principio dell'ordine pubblico processuale, non
essendo stati garantiti, nell'ambito del procedimento di divorzio per ripudio, il diritto di
difesa della moglie e la garanzia dell'effettività del contraddittorio.
Invero, emerge dalla documentazione in atti che la domanda di divorzio di L.K. è stata
accolta dall'Autorità del Bangladesh in data 10.2.2023 sulla base della semplice presa d'atto
della volontà del marito; la pronuncia è poi divenuta definitiva in seguito alla notifica del
provvedimento alla moglie e al decorso del termine di legge secondo quanto previsto dal
Muslim Family Laws Ordinance del 1961.
Il provvedimento di registrazione del ripudio irrevocabile del marito è stato quindi
notificato a S.K., la quale, tuttavia, non ha potuto partecipare al relativo procedimento, con
conseguente lesione dei diritti di difesa della donna. Invero, l'unilateralità del ripudio non
è venuta meno per effetto della notifica alla moglie, che rimane mera destinataria della
decisione unilaterale del marito, di cui si è limitata a prendere atto.
4.2. Del pari, manca qualsivoglia accertamento da parte dell'autorità del Bangladesh circa
l'effettiva cessazione del rapporto affettivo e di convivenza dei coniugi, ovvero della
possibilità di una possibile composizione o continuazione, non essendo quindi rispettato
nemmeno il presupposto dell'accertamento rigoroso dell'irrimediabile disfacimento della
comunione matrimoniale.
4.3. In secondo luogo, non risulta rispettato nemmeno l'ordine pubblico sostanziale.
L'istituto del ripudio appare infatti discriminatorio nei confronti della donna, posto che solo
il marito è abilitato a liberarsi dal vincolo matrimoniale con la formula del talaq, senza
necessità di addurre alcuna motivazione effettiva, sicché l'effetto risolutivo del matrimonio
deriva da una decisione unilaterale e potestativa del solo marito.
4.4. Né in senso opposto rileva la circostanza dedotta da L.K. secondo cui nell'atto di
matrimonio contratto con S.K. in data 2.3.2008, lo stesso avrebbe conferito alla moglie lo
specifico "potere di divorzio", avendo per l'effetto provveduto a equiparare in concreto i
diritti della moglie a quelli del marito.
Invero, la concessione alla moglie di un potere di divorzio, peraltro subordinato dall'atto di
matrimonio alla violazione dei doveri coniugali da parte del marito, non consente di
equiparare i diritti dei coniugi, posto che la moglie rimane soggetta al potere unilaterale,
non recettizio e sostanzialmente immotivato, di ripudio del marito, permanendo, quindi,
una chiara discriminazione per ragioni di sesso, in violazione dell'art. 14 della CEDU e del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
5. A ciò si aggiunga che il provvedimento di ripudio annotato dal Comune di Ancona non
contiene alcuna disposizione in merito alla tutela dei figli minori, apparendo, anche sotto
tale profilo, contrario all'ordine pubblico, con particolare riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost,
nonché agli artt. 8 e 12 CEDU.
6. In definitiva, merita dunque accoglimento il ricorso ex art. 67 L. n. 218 del 1995 proposto
da S.K., non potendo essere riconosciuta all'interno dell'ordinamento giuridico statuale
italiano la decisione di ripudio pronunciata dall'autorità del Bangladesh, ravvisandosi una
violazione degli artt. 64 ss. L. n. 218 del 1995, sotto il duplice profilo dell'ordine pubblico
processuale (violazione del principio di discriminazione tra uomo e donna; discriminazione
di genere) e dell'ordine pubblico processuale (mancanza di parità difensiva e mancanza di
un procedimento effettivo svolto nel contraddittorio reale) (Cass., n.16804/2020).
6.1. Va conseguentemente ordinata la cancellazione dell'annotazione nei registri dello stato
civile italiano del Comune di Ancona dell'atto di divorzio per ripudio del 10.5.2023 tra L.K.
e S.K..
7. L'accoglimento del ricorso comporta la condanna del convenuto, che ha dato causa
all'instaurazione del presente procedimento, alla refusione in favore della ricorrente delle
spese del procedimento, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso ex art. 67 L. n. 218 del 1995 proposto da S.K. nei confronti di L.K.
e, per l'effetto, ordina la cancellazione dell'annotazione, nei registri dello stato civile italiano
del Comune di Ancona, del provvedimento di divorzio irrevocabile pronunciato a
Madaripur, Bangladesh, il 10.5.2023 e registrato in pari dati.
Condanna L.K. alla refusione alla ricorrente delle spese del presente giudizio, che si
liquidano in 1.362,00 Euro, di cui 100,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfetario spese
generali, in misura del 15% ed accessori di legge.
Conclusione
Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2025.
26-02-2025 19:16
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