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Sentenza

In materia di comunione del diritto di proprietà, se per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non ne sia possibile, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., un godimento diretto con pari uso da parte dei comproprietari, essi possono deliberarne l’uso indiretto e, in mancanza di tale deliberazione, il comproprietario, che da solo ha goduto del bene, deve corrispondere agli altri partecipanti alla comunione i frutti civili con decorrenza dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o comunque di partecipazione al godimento da parte degli altri comunisti.

Nel caso di specie, la moglie aveva continuato - di fatto - a godere in via esclusiva degli immobili in comproprietà anche dopo la pronuncia di divorzio, che nulla aveva disposto in merito all’assegnazione della casa coniugale, ribadendo che non ve ne era più il diritto, non essendovi figli minori o maggiorenni non autosufficienti, e rimettendo, pertanto, agli ex coniugi la scelta circa l’eventuale divisione dei beni o il mantenimento del regime di comunione. Non avendo provveduto alla divisione, i beni erano rimasti in comunione e il loro godimento esclusivo da parte della donna era stato semplicemente tollerato dal’ex marito, quantomeno fino all’espresso dissenso momento a partire dal quale, dunque, doveva riconoscersi il suo diritto a godere di un’indennità da occupazione.
In materia di comunione del diritto di proprietà, se per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non ne sia possibile, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., un godimento diretto con pari uso da parte dei comproprietari, essi possono deliberarne l’uso indiretto e, in mancanza di tale deliberazione, il comproprietario, che da solo ha goduto del bene, deve corrispondere agli altri partecipanti alla comunione i frutti civili con decorrenza dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o comunque di partecipazione al godimento da parte degli altri comunisti. Nel caso di specie, la moglie aveva continuato - di fatto - a godere in via esclusiva degli immobili in comproprietà anche dopo la pronuncia di divorzio, che nulla aveva disposto in merito all’assegnazione della casa coniugale, ribadendo che non ve ne era più il diritto, non essendovi figli minori o maggiorenni non autosufficienti, e rimettendo, pertanto, agli ex coniugi la scelta circa l’eventuale divisione dei beni o il mantenimento del regime di comunione. Non avendo provveduto alla divisione, i beni erano rimasti in comunione e il loro godimento esclusivo da parte della donna era stato semplicemente tollerato dal’ex marito, quantomeno fino all’espresso dissenso momento a partire dal quale, dunque, doveva riconoscersi il suo diritto a godere di un’indennità da occupazione.
Corte D'Appello di Napoli
SEZIONE FAMIGLIA E PERSONA
La Corte D'Appello di Napoli, Sezione Famiglia E Persona, in persona dei magistrati:
Dott. Antonio Di Marco - Presidente
Dott.ssa Silvana Sica - Consigliere
Dott.ssa Ida D'Onofrio - Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II grado iscritta al n. …/2021 ed avente ad oggetto: indennità da occupazione
di immobile
tra
F.E.M. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. …come da procura in atti e con lo stesso
elettivamente domiciliata in …
appellante
e
G.E. (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. …come da procura in atti e con lo stesso
elettivamente domiciliato in Torre Annunziata alla Via …
appellato
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con sentenza n. …/2021 del 13/7/2021, il Tribunale di Benevento condannò F.E.M. al pagamento
in favore di G.E. di complessivi Euro 8.318,65, a titolo di indennità da occupazione esclusiva degli
immobili in comproprietà siti in T. al Viale R. (così censiti: foglio (...) part. (...) cat. (...), locale terraneo
foglio (...) part (...) sub cat. (...), (...), locale terraneo foglio (...) par t. (...) sub (...) cat. (...)).
In particolare, il giudice di prime cure rilevò che la F. aveva continuato a godere in via esclusiva dei
beni (ormai in comunione ordinaria tra le parti a seguito dello scioglimento del matrimonio) anche
una volta venuto meno il titolo per l'assegnazione della casa coniugale e che, pertanto, correttamente
il G. aveva chiesto il riconoscimento in suo favore di un'indennità pari alla metà del canone di
locazione, che avrebbe potuto ottenere dall'immobile qualora non gliene fosse stato limitato il
godimento. Diritto questo che gli viene riconosciuto dal Tribunale con decor renza dall'espresso
dissenso al godimento esclusivo dei beni da parte della F. (dunque dal marzo 2019) in applicazione
dell'art. 1102 c.c.
Di conseguenza, il Tribunale quantificò il valore locativo dell'immobile secondo i parametri
individuati dall'Agenzia delle Entrate, ne calcolò la metà (Euro 286,85 mensili) e moltiplicò l'importo
per 29 mensilità (da marzo 2019 a luglio 2021), giungendo alla determinazione della complessiva
somma di Euro 8.318,65. Somma quest'ultima ricavata sottraendo, altresì, l'importo di Euro 475,80,
ovvero la metà dell'unica spesa documentata (relativa all'accatastamento degli immobili) e sostenuta
in via esclusiva dalla F..
Il Tribunale, per il resto, ritenne non provate le altre spese che quest'ultima si era limitata ad allegare
soltanto (tasse, lavori di ristrutturazione etc.).
2. Con atto di citazione, notificato il 29/10/2021, la F. ha impugnato la sentenza n. 1512/2021 del
Tribunale di Benevento, ritenendo che la stessa non abbia tenuto conto dell'assegnazione della casa
coniugale in sede di separazione e divorzio e del fatto che l'immobile, in stato di decadenza e
abbandonato da oltre vent'anni dal G., non potrebbe essere adeguatamente valutato secondo i
parametri individuati dall'Agenzia delle Entrate. Ha lamentato, inoltre, che il giudice di prime cure
avrebbe invertito l'onere della prova, non avendo chiesto al G. di provare la gestione dell'immobile
e la partecipazione alle spese ordinarie e straordinarie.
Ha chiesto, pertanto, di accertare e dichiarare il proprio diritto ad abitare il bene senza corrispondere
alcuna indennità e di condannare il G. al rimborso delle spese ordinarie e straordinarie sostenute
negli anni per gli immobili, per la cui determinazione ha chiesto nominarsi un CTU.
2.1. Con comparsa di costituzione del 19/4/2022 si è costituito in giudizio G.E. che ha chiesto il rigetto
dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado.
2.2. All'udienza del 25/1/2023 la causa è stata trattenuta in decisione con concessione alle parti dei
termini di cui all'art. 190 c.p.c.
2.3. Con ordinanza del 25/7/2023 la causa è stata rimessa sul ruolo per l'acquisizione del fascicolo di
primo grado ed è stato fissato al 20/10/2023 il termine perentorio per il deposito di note di trattazione
scritta in sostituzione dell'udienza.
2.4. Alla scadenza del termine suindicato, la causa era riservata in decisione senza ulteriore
concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
3. Nel merito l'appello è infondato e deve essere rigettato.
Giova premettere, infatti, che il diritto del comproprietario al godimento del bene è espressamente
tutelato dall'art. 1102 c.c. anche nell'ipotesi di bene in comunione legale tra coniugi, rientrante poi, a
seguito dello scioglimento del matrimonio, nella cd. comunione ordinaria de residuo.
In particolare, il comproprietario può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il proprio diritto.
Nel caso di specie, la F. ha continuato - di fatto - a godere in via esclusiva degli immobili in
comproprietà anche dopo la pronuncia di divorzio, che nulla aveva disposto in merito
all'assegnazione della casa coniugale, ribadendo che non ve ne era più il diritto, non essendovi figli
minori o maggiorenni non autosufficienti, e rimettendo, pertanto, agli ex coniugi la scelta circa
l'eventuale divisione dei beni o il mantenimento del regime di comunione.
Non avendo provveduto alla divisione, i beni sono rimasti in comunione e il loro godimento
esclusivo da parte della F. è stato semplicemente tollerato dal G., quantomeno fino all'espresso
dissenso (risalente al marzo 2019), momento a partire dal quale, dunque, va riconosciuto il suo
diritto a godere di un'indennità da occupazione.
In questo senso si è espressa di recente anche la Suprema Corte, per la quale "in materia di
comunione del diritto di proprietà, se per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non
ne sia possibile, ai sensi dell'art. 1102 c.c., un godimento diretto con pari uso da parte dei
comproprietari, essi possono deliberarne l'uso indiretto e, in mancanza di tale deliberazione, il
comproprietario, che da solo ha goduto del bene, deve corrispondere agli altri partecipanti alla
comunione i frutti civili con decorrenza dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o
comunque di partecipazione al godimento da parte degli altri comunisti." (In applicazione del
principio, la S.C. ha affermato che, in caso di separazione dei coniugi, l'indennità di occupazione
della casa coniugale acquistata in regime di comunione legale non va corrisposta dalla data della
separazione, ma da quella in cui il coniuge non occupante manifesti all'altro la richiesta di uso
turnario o comunque la volontà di godimento dell'immobile.) (Cass. Sez. 2, Ordinanzan.10264del
18/4/2023).
Ne discende che correttamente il Tribunale ha riconosciuto il diritto del G. all'indennità da
occupazione con decorrenza dal marzo 2019 e che, pertanto, la domanda principale della F. - volta
ad ottenere l'accertamento del suo diritto ad abitare gli immobili senza corrispondere alcuna
indennità - non può essere accolta.
Tale domanda, infatti, potrebbe essere accolta solo qualora la F. dimostri di godere della proprietà
esclusiva dei beni, a seguito di usucapione o di acquisto ad altro titolo ; circostanza questa che non
può affermarsi nel caso di specie, avendo il G. mantenuto il proprio diritto di proprietà pro quota
sui medesimi e, di conseguenza, il diritto a beneficiare in pari misura dei frutt i civili dagli stessi
prodotti.
Quanto all'onere probatorio e alla lamentata inversione che dello stesso avrebbe fatto il giudice di
prime cure, va chiarito che il G. non era tenuto a provare - come pure la F. avrebbe voluto - il
godimento e la partecipazione alle spese ordinarie e straordinarie del bene, dovendosi lo stesso
limitare ad allegare il proprio diritto di proprietà e il mancato godimento dei beni a causa dell'uso
esclusivo di fatto esercitato del comproprietario.
Spetta alla controparte fornire la prova contraria, ovvero di non aver limitato il godimento del bene
all'altro comproprietario.
La circostanza che il G. non si sia curato dei beni per anni e non ne abbia supportato le spese
ordinarie e straordinarie non vale, in ogni caso, a far venir meno il suo diritto di proprietà. Del resto,
si discute di un diritto assoluto, opponibile erga omnes, che legittima il proprietario anche a non
curarsi del bene, senza che ciò comporti la perdita del diritto, che va perso - si ribadisce - solo nel
caso di usucapione o di acquisto ad altro titolo.
Allo stesso modo i rapporti di debito-credito esistenti tra le parti a seguito dello scioglimento
dell'unione matrimoniale e le differenze reddituali tra gli ex coniugi non rilevano ai fini
dell'accertamento del diritto a godere pro quota dei frutti civili di un bene di cui si è comproprietari.
Grava sulla F., di conseguenza, l'onere di provare, ai fini dell'eventuale rimborso di somme, di aver
assolto in via esclusiva a spese ordinarie e straordinarie per la manutenzione degli immobili, onere
che non può essere assolto attraverso la nomina di un consulente tecnico di ufficio - come richiesto
in limine litis - trattandosi di spese (lavori di manutenzione e ristrutturazione, tasse, imposte etc.) che
la stessa ben avrebbe potuto provare in giudizio, esibendo opportuna documentazione (ad esempio
le ricevute dei pagamenti effettuati).
Così è stato, infatti, per le spese di accatastamento dalla stessa sostenute e provate che sono state,
poi, "rimborsate" dal giudice di prime cure, seppure in forma di compensazione.
Quanto al valore locativo dell'immobile, calcolato dal giudice di prime cure in applicazione dei
parametri forniti dall'Agenzia delle Entrate, la F. ne ha lamentato l'inidoneità, non tenendo tali criteri
in debita considerazione lo stato dell'immobile e la posizione dello stesso sul territorio.
Ritiene la Corte che i parametri indicati dall'Agenzia delle Entrate e utilizzati dal giudice di prime
cure siano idonei a valutare il valore locativo dell'immobile, variando gli stessi anche in base alla
posizione del bene sul territorio e alla vetustà delle costruzioni locali.
Del resto, è verosimile che, per condurre in locazione un villino con annesso garage nella zona
dell'avellinese, si possa sopportare un canone mensile di circa Euro 573,70 complessivi.
Resta ferma, in ogni caso, la possibilità per la F., qualora non ritenesse equo il versamento di un
canone di Euro 286,85 mensili per continuare ad abitare gli immobili, di chiedere la divisione dei
beni e condurre in locazione altro immobile a prezzo più vantaggioso.
A tanto si aggiunga che la F., pur lamentando la non corretta determinazione del valore locativo dei
beni, non ha chiesto, neppure in subordine, che lo stesso fosse rideterminato, nel senso di ridurre
l'indennità dovuta al G. e stabilita dal giudice di prime cure.
Si è limitata a domandare a questa Corte l'accertamento del suo diritto ad abitare gli immobili senza
corrispondere alcun canone nonché a chiedere il rimborso di spese sopportate in via esclusiva per la
manutenzione (non provate e da quantificarsi attraverso la nomina di un CTU).
Ebbene, per le ragioni già illustrate, nessuna delle domande avanzate può essere accolta.
Pertanto, la sentenza di primo grado deve essere confermata, in quanto correttamente motivata ed
esente da censure.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in applicazione delle tabelle
ministeriali per i giudizi dinanzi alla Corte di Appello per le materie di valore compreso tra Euro
5.200,00 ed Euro 26.000,00, fase istruttoria esclusa.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
dell'appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
gravame, se dovuto
P.Q.M.
La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da F.E.M. nei confronti di
G.E. avverso la sentenza del Tribunale di Benevento n. …/2021 così provvede:
a) rigetta l'appello;
b) condanna F.E.M. al pagamento, in favore di G.E., delle spese del presente grado del giudizio, che
liquida in Euro 1.984,00, oltre 15% per spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
c) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, di un importo
ulteriore pari a quello del contributo unificato previsto per il gravame, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Napoli in camera di consiglio il 25 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024
Avv. Antonino Sugamele

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