Sono ripetibili – in sede di scioglimento della comunione legale a seguito di separazione – le somme di denaro fornito dal genitore di un nubendo e da questo utilizzate per il pagamento delle spese nunziali?
Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 08/06/2023) 19-07-2023, n. 21100
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRASSO Giuseppe - Presidente -
Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere -
Dott. VARRONE Luca - Consigliere -
Dott. CHIECA Danilo - Consigliere -
Dott. AMATO Cristina - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 27434/2018 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliata in Agrigento Salita Porta Madonna degli Angeli n. 7, presso lo studio dell'avv.to DIEGO ALLETTO che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
B.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CIPRO N. 63, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIA AIRO' FARULLA, rappresentato e difeso dall'avvocato RAIMONDO ALAIMO;
- controricorrente -
avverso la sentenza della CORTE D'APPELLO di PALERMO n. 698/2018 depositata il 28/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2023 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Agrigento all'esito del giudizio promosso da A.A. contro l'ex coniuge B.B. rigettava le domande proposte dall'attrice intese ad ottenere, dopo la già intervenuta pronuncia giudiziale di separazione personale, la declaratoria di scioglimento della comunione dei beni attribuiti in donazione ai coniugi in occasione del matrimonio e la condanna del convenuto alla consegna in natura o per equivalente pecuniario della metà di essi e della metà del mobilio e degli arredi della casa coniugale acquistati dall'attrice, nonchè della somma di Euro 11.600 ricevuta in occasione del matrimonio e di Euro 5000 spesi dall'attrice per l'acquisto delle porte della casa coniugale e di Euro 6000 a titolo di ristoro per il mancato godimento in conseguenza della separazione di fatto e dell'atteggiamento di chiusura del marito dei beni ricevuti in donazione.
2. A.A. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
3. B.B. si costituiva nel giudizio di appello chiedendo il rigetto del gravame.
4. La Corte d'appello di Palermo in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento dichiarava lo scioglimento della comunione dei beni ricevuti in donazione nuziale dall'attrice e dal convenuto e, per l'effetto, attribuiva a entrambi rispettivamente la proprietà esclusiva dei beni come indicati nella relazione del consulente tecnico di ufficio, e condannava il convenuto a consegnare alla ex moglie i beni come individuati sempre nella suddetta relazione. In particolare, la Corte d'appello evidenziava che i motivi di appello erano parzialmente fondati in relazione alla erronea applicazione del regime patrimoniale legale della comunione tra coniugi di cui agli artt. 177 e seguenti del codice civile.
Preliminarmente quanto alle richieste istruttorie la Corte d'appello evidenziava l'inammissibilità delle stesse non essendo state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni nonostante il rigetto da parte del primo giudice.
Inoltre, la Corte d'Appello riteneva infondata la domanda di restituzione del denaro ricevuto quale donazione nuziale senza tener conto della destinazione dello stesso quale obbligo di contribuzione ex art. 143 codice civile. Non era possibile, pertanto, ripetere tali somme ex art. 2033 codice civile non essendoci uno spostamento patrimoniale in favore del coniuge quale accipiens nel caso di spesa sostenuta da uno dei coniugi in funzione del soddisfacimento di prevedibili esigenze familiari successive al matrimonio. L'accertamento degli eventuali crediti dell'attrice per spese effettuate nell'interesse comune anteriormente al matrimonio non poteva pertanto essere disgiunto dall'accertamento dei debiti di contribuzione della stessa conseguenti al medesimo matrimonio e, dunque, era onere dell'istante di provare con riferimento agli specifici rapporti intercorsi con il coniuge l'inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali, dovendosi presumere in mancanza la rispondenza delle spese sostenute ai bisogni familiari e al criterio di proporzionalità sotteso all'art. 143 codice civile. Peraltro, non vi era alcuna prova di un esborso da parte dell'attrice. La pretesa si fondava sulla richiesta di restituzione della donazione fatta dal padre in occasione del matrimonio e, tuttavia, tale donazione doveva ritenersi come effettuata in favore di entrambi i coniugi sicchè doveva ritenersi entrata nella comunione. In ogni caso la destinazione di tali somme era ricompresa nell'obbligo di cui all'art. 143 codice civile e presuntivamente utilizzata per apportare miglioramenti alla casa coniugale.
La domanda di condanna pecuniaria avanzata dall'attrice con riguardo alla prospettata abusiva appropriazione di denaro da parte del coniuge non poteva pertanto essere accolta. Meritava accoglimento, invece, la domanda di attribuzione della metà dei beni mobili comuni ricevuti in donazione che, in conformità al volere della parte, poteva esitarsi ripartendo in eguale misura tali beni con riguardo alla loro natura e qualità al loro valore complessivo tenendo conto della tendenziale uniformità della variazione di valore registratasi all'interno delle singole categorie di beni dall'epoca della donazione al momento della statuizione. Infine, la Corte d'appello rigettava la richiesta di risarcimento del danno per mancato godimento delle cose comuni non essendo il mancato godimento di tali beni suscettibile di un apprezzamento di utilità traducibile in termini economici significativi.
5. A.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
6. B.B. si è costituito in giudizio e ha depositato memoria in prossimità dell'udienza.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell'art. 101, comma 2, c.p.c. e dell'art. 24 costituzione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 189, comma 1, e 342, comma 1, c.p.c. Violazione falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La censura ha ad oggetto la declaratoria di inammissibilità delle richieste istruttorie avanzate in primo grado e reiterate in appello. La Corte d'appello avrebbe violato l'art. 101 c.p.c. sollevando d'ufficio l'inammissibilità dei mezzi istruttori. La controparte non ha eccepito l'inammissibilità delle richieste istruttorie e all'udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado l'avvocato della ricorrente aveva precisato le proprie conclusioni come da atto di citazione a memoria ex art. 183 c.p.c.. Non vi era, quindi, alcun generico richiamo ai precedenti atti difensivi ma il richiamo specifico alle conclusioni contenute nell'atto di citazione e nelle memorie ex art. 183 c.p.c. 1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente cita numerose norme asseritamente violate ma dalla complessiva lettura del motivo di ricorso emerge solo la doglianza relativa al rilievo di ufficio di non ammissione dei mezzi istruttori in violazione dell'art. 101 c.p.c. e all'erronea statuizione della Corte d'Appello sul punto.
Quanto alla violazione dell'art. 101, comma 2, c.p.c. deve evidenziarsi che non era necessario sollecitare il contraddittorio trattandosi di una questione di mero diritto relativa all'ammissibilità delle richieste istruttorie non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni. Inoltre, deve ribadirsi che le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (Sez. 3, Ordinanza n. 16800 del 26/06/2018, Rv. 649419 - 01).
Infine, quanto al merito della statuizione di inammissibilità la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui: La parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poichè, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello. Tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il "thema" sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste - istruttorie e di merito - definitivamente proposte. (ex plurimis Sez. 2, Ord. n. 15029 del 2019; sez. 2, Sent. n. 5741 del 2019; Sez. 3, Ord. n. 19352 del 2017).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione. Violazione degli artt. 99, 112 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell'art. 101, comma 2, c.p.c. e dell'art. 24 Costituzione.
La censura si fonda sulla presunta erronea interpretazione della domanda originariamente proposta dall'attrice. La domanda mirava alla divisione delle donazioni fatte da amici e parenti in occasione del matrimonio e, quindi, preliminarmente alla formazione dei beni oggetto di divisione. Si trattava, dunque, di sciogliere per questa parte una comunione ordinaria. Infatti, le somme ricevute in regalo erano state spese per la quota gravante sull'attrice al fine di affrontare i costi della cerimonia nuziale non essendo comprensibile una donazione nuziale fatta dal padre della sposa ai nubendi per un importo superiore ad Euro 20.000. L'ultimo comma dell'art. 143 del codice civile si applica ai rapporti tra i coniugi successivi al matrimonio e non alla comunione dei beni realizzatasi prima del matrimonio.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.
Secondo la Corte d'Appello mancava qualsiasi prova e persino l'allegazione di un esborso effettuato personalmente dall'attrice. La A.A. chiedeva la restituzione degli esborsi fatti dal padre in occasione del matrimonio. Le donazioni obnuziali fatte dal padre della A.A. dovevano considerarsi giuridicamente come donazioni effettuate in favore di entrambi i coniugi e in ogni caso i beni acquistati erano entrati in comunione. Dunque, non vi era stata alcuna appropriazione di denaro del B.B.. Il denaro era stato utilizzato in vista della cerimonia nuziale e per le future esigenze della vita familiare e le relative somme non potevano essere ripetute una volta sciolta la comunione tra i coniugi.
Ciò premesso deve evidenziarsi che la censura non coglie tale ratio decidendi e parte dall'erroneo presupposto che le somme donate dal padre in occasione delle nozze possano essere oggetto di ripetizione a prescindere dalla destinazione a entrambi i coniugi e dall'utilizzo che ne è stato fatto in funzione della vita coniugale ex art. 143 c.c..
La tesi è del tutto priva di fondamento avendo evidenziato la stessa ricorrente di aver utilizzato le suddette somme per l'acquisto delle porte dell'abitazione coniugale e per il pagamento dei confetti e del banchetto nuziale. Risulta evidente, pertanto, l'infondatezza dell'assunto secondo il quale dette somme erano di esclusiva proprietà della ricorrente e dovevano essere restituite dal B.B..
Infatti, le spese effettuate prima del matrimonio sono irripetibili, essendo state utilizzate in vista delle nozze e non potendo trovare applicazione l'art. 785 c.c. mentre per le altre spese la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui le somme utilizzate dalla ricorrente devono presumersi come dirette al soddisfacimento dei bisogni familiari e, conseguentemente, le spese si considerano come una donazione avvenuta in adempimento del dovere di contribuzione ex art. 143 c.c. e non sussiste alcun diritto al rimborso.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: "Poichè durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316 bis, comma 1, c.c., a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell'altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio" (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 10927 del 07/05/2018, Rv. 648282 - 01).
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli artt. 1114, 1116, 727 e 728 c.c..
La censura attiene alla ripartizione dei beni in esito allo scioglimento della comunione. Secondo la ricorrente sebbene sia da condividere il criterio di determinazione del valore complessivo dei beni in considerazione della tendenziale uniformità della variazione di valore registratasi all'interno delle singole categorie di beni dall'epoca della donazione all'attualità di contro sarebbe stato violato il criterio della ripartizione secondo la qualità dei beni e secondo la loro natura in proporzione della quota del 50%.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente richiede una inammissibile rivalutazione in fatto della vicenda al fine di affermare la diversa qualità dei beni oggetto della ripartizione. Inoltre, richiede una altrettanto inammissibile quantificazione del valore dei beni per affermare la violazione della ripartizione nella misura del 50 % senza adeguato conguaglio. Peraltro, il motivo in proposito è del tutto privo di specificità, limitandosi la ricorrente a fare un generico riferimento a pag. 6 della relazione del CTU e lamentando una differenza di Euro 516,50 rispetto alla quale la Corte non può compiere alcun sindacato.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 832 e 1218 c.c. La Corte di appello ha rigettato la domanda di risarcimento danni da mancato godimento dei beni mobili a partire dalla separazione di fatto senza considerare il danno subito dalla ricorrente consistito nel mancato godimento dei beni.
4.1 Il quarto motivo è inammissibile.
La censura è del tutto generica e sfornita di ogni motivazione a supporto.
5. Il ricorso è rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 3000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2023
21-09-2023 14:11
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