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Sentenza

Quando sussiste l'obbligo di mantenimento dei nipoti da parte dei nonni?
Quando sussiste l'obbligo di mantenimento dei nipoti da parte dei nonni?
Cass. civ, sez. I, ord., 13 ottobre 2023, n. 28442

Presidente Genovese – Relatore Pazzi

Rilevato

che:

1. Il Tribunale di Savona, con sentenza n. 970/2019 ed in parziale accoglimento delle domande presentate da PE.Ma. e P.F. nei confronti di C.M. , dichiarava che il convenuto era il padre naturale di PE.Ma., nato a (omissis), e condannava il medesimo al pagamento in favore della P. di Euro 14.400 a titolo di rimborso pro quota delle spese da questa sostenute in via esclusiva per il mantenimento del figlio dalla nascita sino ad (omissis), rigettando, per il resto, le ulteriori richieste di regresso avanzate dalla P. per le spese di mantenimento e istruzione del discendente nonché la domanda del giovane di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

2. La Corte distrettuale di Genova, a fronte dell'appello principale presentato da PE.Ma. e P.F. e dell'appello incidentale di C.M., dopo aver precisato che la presenza di un padre putativo incideva solo sulla quantificazione delle spese sostenute dalla madre per il mantenimento del figlio, riteneva credibile che il marito dell'appellante, nei primi anni di vita del bambino, si fosse disinteressato del mantenimento di quest'ultimo, come ritorsione nei confronti della moglie infedele, e confermava la decisione del primo giudice rispetto al mantenimento per tale periodo, ponendo le relative spese per metà a carico del padre riconosciuto.

Osservava che, invece, non vi era prova che il padre legittimo non si fosse preoccupato del mantenimento di Ma. dal (omissis) al (omissis) e, di conseguenza, condannava il C. al pagamento per questo secondo periodo della somma di Euro 10.100, pari alla metà della quota presumibilmente spesa dalla madre per il mantenimento del figlio.

Aggiungeva, a tale somma, l'ulteriore importo di Euro 10.000, in considerazione del fatto che da (omissis) al dicembre 2005 (quando Ma. aveva raggiunto l'autosufficienza economica) P.F. e il figlio si erano allontanati dalla casa, per andare a vivere altrove, ed era venuto meno il contributo del padre putativo al mantenimento del giovane.

Giudicava, infine, rispetto alla domanda di risarcimento del danno endofamiliare avanzata da Pe.Ma., che il comportamento del C. non potesse assumere, per i primi diciassette anni di vita del ragazzo, i connotati colposi che presiedono a una richiesta di risarcimento da fatto illecito; reputava però che l'appellato, da quando aveva ricevuto una lettera da parte del legale della P. che lo invitava a partecipare alle spese di mantenimento del figlio e lo avvisava del fatto che il giovane era venuto a conoscenza della verità sulle sue origini, avesse il preciso dovere non solo di contribuire economicamente per consentire al ragazzo una crescita professionale, ma anche di tentare di avvicinarsi al giovane per sostenerlo, quando invece era emerso che nessun rapporto era mai intercorso fra i due.

Condannava, di conseguenza, C.M. al risarcimento di tale danno, che quantificava nella misura di Euro 20.000.

3. C.M. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 18 novembre 2021, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso PE.Ma. e P.F.

Considerato

che:

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 253 c.c., anche in relazione agli artt. 147,148,261,277,315-bis, 316-bis, 1299 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c.: la Corte distrettuale, nel riconoscere il diritto della P. al rimborso della metà delle spese asseritamente sostenute per il mantenimento del figlio dalla nascita all'indipendenza economica, non ha considerato - a dire del ricorrente - che l'attore PE.Ma. era stato riconosciuto dal coniuge di P.F. come proprio figlio, con la conseguente impossibilità per il C. di procedere al riconoscimento della sua paternità rispetto al giovane fino al passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento della precedente relazione genitoriale pronunciata dalla Corte d'appello di Genova con sentenza n. 808/2015; poiché è ontologicamente impossibile affermare che gli obblighi di assistenza materiale di un figlio possano gravare su due soggetti distinti, quali il padre legittimo e il presunto padre naturale in contrasto con lo status acquisito, non poteva essere ascritto al C. alcun comportamento in violazione degli obblighi di assistenza materiale e morale, dato che tali obblighi erano rimasti a carico di PE.Br. fino al passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento della sua paternità.

4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1299 c.c., con riguardo agli artt. 147,148,315-bis, 316-bis, 261,277,279 e 155-quinquies c.c., anche con riferimento agli artt. 112,115 e 116 c.p.c., perché la Corte distrettuale - in tesi - ha errato sia nel ritenere sussistente la prova del mantenimento di PE.Ma. in via esclusiva da parte della madre, senza alcuna collaborazione da parte del coniuge, sia nel quantificare la misura del concorso ad opera del padre.

5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano il primo infondato, il secondo in parte infondato, in parte inammissibile.

5.1 Non vi è dubbio che il giudizio di disconoscimento di paternità sia pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l'accertamento di altra paternità, a mente dell'art. 253 c.c. (Cass., Sez. U., 8268/2023).

Ciò nondimeno, l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché tale obbligo ricorre anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. 5652/2012).

Pertanto, la sentenza dichiarativa della filiazione fuori del matrimonio produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c., e, quindi, implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione, incluso quello del mantenimento ex artt. 148 e 316-bis c.c.; la relativa obbligazione si collega allo status genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza, dalla nascita del figlio (cfr. Cass. 7960/2017, Cass. 15100/2005).

La decisione impugnata ha tratto correttamente dalla declaratoria di filiazione fuori dal matrimonio le conseguenze previste dal combinato disposto degli artt. 277,258,148 e 316-bis c.c. in termini di concorso del soggetto riconosciuto come padre nel mantenimento del figlio fin dalla sua nascita.

Nè è possibile sostenere che la Corte d'appello, con questa statuizione, abbia ravvisato l'esistenza di un doppio e contestuale titolo di mantenimento a carico del coniuge della madre al momento della nascita, sia di chi, in seguito, è stato dichiarato padre ex art. 269 c.c.

Infatti, la pronuncia che accoglie la domanda di disconoscimento di paternità - di carattere necessariamente pregiudiziale, ex art. 253 c.c., rispetto al riconoscimento della paternità - accerta ab origine l'inesistenza del rapporto di filiazione e determina, automaticamente dal suo passaggio in giudicato, il venir meno degli obblighi di mantenimento e l'accertamento che gli stessi erano privi di alcuna giustificazione (cfr. Cass. 27558/2021, Cass. 23973/2015). Cosicché non è possibile ravvisare nè un'impossibilità giuridica per il riconosciuto padre di provvedere al mantenimento del figlio, nè un doppio e contestuale onere di mantenimento del discendente, dato che tale onere rimane, dalla nascita, a carico di chi sia considerato padre ex art. 231 c.c. oppure, alternativamente, di chi sia dichiarato tale, ex art. 269 c.c., una volta avvenuti gli accertamenti prescritti dall'art. 253 c.c.

5.2 La Corte di merito ha ritenuto che P.F., per due periodi della vita del figlio, si sia fatta carico in maniera esclusiva del suo mantenimento senza alcun contributo del di lei marito.

Un simile accertamento, fondato sull'apprezzamento delle risultanze della congerie istruttoria e della loro valenza probatoria (e più precisamente della credibilità della deposizione della figlia, tenuto conto della consapevolezza acquisita da PE.Br. della relazione intrattenuta dalla moglie con il C. e della sua conseguente condotta), rientra negli accertamenti di fatto di appannaggio della Corte di merito e non è contestabile in questa sede; il ricorso per cassazione, infatti, conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 331/2020, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).

5.3 Quanto, invece, al periodo in cui il PE. e la P. concorsero a provvedere al mantenimento di Ma. , la successione determinatasi negli obblighi di mantenimento nei termini sopra illustrati non sollevava chi era stato riconosciuto padre dall'obbligo di mantenimento che su quest'ultimo derivava dall'applicazione degli artt. 148 e 316-bis c.c. solo per il fatto che il presunto padre ex art. 231 c.c., poi disconosciuto come tale, avesse già provveduto a contribuire, pro quota, in tal senso.

Infatti, il versamento di tale contributo, riconosciuto ex post come non dovuto in ragione del disconoscimento (ed a prescindere dalla questione della ripetibilità delle somme versate in assenza di obbligo ad opera di quest'ultimo, che non viene in considerazione in questa sede ai fini del decidere), rilevava in termini di riduzione, nei fatti, dell'entità del mantenimento complessivo di cui il discendente aveva necessità (come la Corte di merito ha giustamente ritenuto traendo argomento da Cass. 7555/2020).

In altre parole, il contributo dato dal padre putativo poi disconosciuto non costituisce un'esenzione per chi è stato dichiarato padre dal dovere di mantenimento, fin dalla nascita del figlio, che discende dalla procreazione, ma viene in rilievo come una situazione di fatto che ha determinato una riduzione delle esigenze di mantenimento di cui il figlio aveva necessità ed alle quali gli effettivi genitori dovevano provvedere.

5.4 Dall'accertata assunzione da parte della madre dell'onere esclusivo del mantenimento del figlio anche per la porzione di pertinenza dell'altro genitore discendeva - posto che, come detto, l'obbligazione di mantenimento del figlio per effetto della sentenza dichiarativa della filiazione, collegandosi allo status genitoriale, decorreva dalla nascita del figlio - il diritto della madre di agire in regresso per la quota delle spese da lei sopportate anche per la porzione di pertinenza del padre giudizialmente dichiarato, sulla scorta delle regole dettate dall'art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali (cfr. Cass. 7960/2017, Cass. 22506/2010, Cass. 15100/2005).

5.5 Nell'ipotesi in cui il rapporto di filiazione sia stato solo successivamente accertato giudizialmente, la determinazione della misura del rimborso delle spese sostenute dal solo genitore che se ne è fatto carico per la fase anteriore al riconoscimento si fonda sugli esborsi effettivamente o verosimilmente sostenuti dall'unico genitore nel periodo considerato e può avvenire anche in via equitativa.

Infatti, il diritto al rimborso delle spese in favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, ancorché trovi titolo nell'obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all'altro genitore, la cui paternità (o maternità) sia stata successivamente dichiarata, ha natura in senso lato indennitaria, essendo diretto a ristorare colui che ha effettuato il riconoscimento dagli esborsi sostenuti, sicché il giudice di merito, ove l'importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, può utilizzare il criterio equitativo, tenendo conto delle molteplici e variabili esigenze del figlio (soddisfatte o da soddisfare), legate allo sviluppo e alla formazione di studio e professionale, restando comunque indiscutibili le spese di sostentamento, sin dalla nascita, in base ad elementari canoni di comune esperienza (cfr. Cass. 16916/2022, Cass. 8762/2023).

Le contestazioni rivolte alla quantificazione della somma dovuta, in regresso, alla madre, risultano così inammissibili: quanto al primo periodo in ragione del loro carattere di novità, dato che il C. non ha contestato in appello la quantificazione fatta a suo carico dal tribunale a titolo di contributo alle spese di mantenimento per i primi nove anni di vita del minore (essendosi egli limitato "a contestare un'obbligazione a suo carico per essere la medesima interamente gravante sul padre legittimo"; pag. 10 della decisione impugnata), quanto agli ulteriori periodi perché la Corte distrettuale ha compiuto, attraverso un accertamento che rientra nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito e non è rivedibile in questa sede (Cass. 8807/2001), una valutazione equitativa tenendo conto dell'età del figlio e delle sue presumibili maggiori esigenze di spesa.

6. Il terzo motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,2697 c.c. e art. 115 c.p.c., perché la Corte distrettuale ha riconosciuto a Pe.Ma. il diritto alla tutela risarcitoria per illecito endofamiliare in assenza sia di un fatto illecito, dato che il giovane aveva sempre avuto un padre a cui fare riferimento nella persona di PE.Br. e non era stato deprivato della figura genitoriale, sia di una condotta colposa da parte dell'appellato, che non poteva ritenersi obbligato a intervenire nella vita del figlio fino al passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento della paternità del PE. , sia dell'esistenza di un danno risarcibile, dato che Pe.Ma. fino a ventidue anni aveva vissuto nell'assoluta convinzione che PE.Br. fosse suo padre.

7. Il motivo non è fondato.

La Corte distrettuale ha ritenuto che il C., dal momento (nel (omissis)) in cui ricevette una lettera da parte di un legale incaricato dalla P. che lo invitava a partecipare alle spese di mantenimento del figlio, avesse il dovere non solo di concorrere alle stesse, ma anche di avvicinarsi al figlio per sostenerlo.

Un simile accertamento è coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli (ex artt. 147 e 148 c.c.) è eziologicamente connesso alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra la responsabilità genitoriale e la procreazione, che è il fondamento della responsabilità da illecito nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore; il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta, derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si nutre di una serie di indizi univoci quali, nella specie, l'indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento (Cass. 26205/2013; nello stesso senso Cass. 15148/2022).

Il che significa che il figlio, in quanto tale e a prescindere dalla sussistenza di altri presunti genitori e dall'avvio di azioni volte al disconoscimento di questi ultimi e alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità del proprio reale genitore, ha diritto, a mente dell'art. 147 c.c., di essere istruito, educato ed assistito moralmente dal proprio reale genitore, dal momento in cui questi abbia assunto coscienza della propria condizione e subisce un danno ove questi non assolva un simile obbligo.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto, in applicazione di questi principi, che la consapevolezza del concepimento (risalente, secondo i giudici distrettuali, addirittura al periodo di gravidanza) comportasse, di per sé, in capo al C. una responsabilità genitoriale e il conseguente dovere, a prescindere dalla dichiarazione giudiziale di paternità, di assolvere gli obblighi conseguenti alla sua condizione.

8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Avv. Antonino Sugamele

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