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Sentenza

Trento. Crescita e maggiore età della figlia giustificano l'aumento della somma che dovrà versare il padre come contributo al mantenimento.
Trento. Crescita e maggiore età della figlia giustificano l'aumento della somma che dovrà versare il padre come contributo al mantenimento.
Cass. civ., sez. VI, ord., 30 luglio 2021, n. 21993

Presidente Acierno – Relatore Caiazzo

Rilevato che:

Con sentenza emessa l'11.9.18 il Tribunale di Trento dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da B.R. e G.V. in data 12.10.85, disponendo che a favore della figlia maggiorenne il padre versasse mensilmente la somma di Euro 350,00 oltre adeguamenti istat, quale contributo al suo mantenimento, e il 50% delle spese straordinarie, come già stabilito nella sentenza di separazione, condannando la B. al pagamento delle spese di giudizio. Avverso tale sentenza propose appello la B. , deducendo l'errata valutazione delle situazioni reddituali e patrimoniali degli ex-coniugi e, pertanto, l'erronea determinazione dell'assegno di mantenimento a carico del padre e a favore della figlia, anche per l'aumentata disponibilità reddituale dell'ex-marito il quale aveva disdettato un contratto di locazione dove abitava, con un risparmio mensile di Euro 500,00, mentre di nessun incremento patrimoniale o reddituale aveva beneficiato l'appellante, dipendente di Poste Italiane s.p.a. Inoltre, l'impugnazione criticava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva posto integralmente le spese giudiziali a carico dell'appellante, non avendo il Tribunale considerato che l'aumento dell'assegno di mantenimento era stato chiesto in misura contenuta. Si costituì l'appellato. Con sentenza emessa il 16.5.2019, la Corte d'appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, rideterminò l'assegno mensile a carico del G. , quale contributo al mantenimento della figlia F. , nella somma di Euro 400,00 mensili oltre rivalutazione automatica, osservando che la crescita e la maggiore età conseguita dalla figlia e il tempo decorso dalla precedente statuizione giustificavano l'aumento del contributo suddetto da parte del padre, seppure in misura inferiore alla somma di Euro 500,00 richiesta dalla ex-moglie, in conseguenza del prepensionamento del G. e del decremento del suo reddito (almeno in parte bilanciato dal mancato pagamento del canone di locazione); l'esito complessivo del giudizio giustificava la riforma del regime delle spese, previa condanna dell'appellato al pagamento di 1/2 delle spese processuali di primo grado, oltre alla sua condanna al pagamento di 2/3 di quelle del secondo grado. Il G. ricorre in cassazione con tre motivi. Non si sono costituiti gli intimati.

Ritenuto che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 323 e 345 c.p.c., in combinato disposto con l'art. 100 c.p.c., per non aver la Corte territoriale dichiarato l'inammissibilità dell'appello per mancanza dell'interesse ad impugnare, avendo la controparte fatto ricorso ad un mezzo d'impugnazione non conforme allo scopo perseguito, deducendo anche una pretesa creditoria diversa da quella oggetto di primo grado. Al riguardo, il ricorrente lamenta che i fatti sopravvenuti dedotti dall'appellante erano circostanze nuove, per cui non sussisteva l'interesse ad impugnare dal momento che il risultato cui tendeva l'appello non riguardava l'erroneità della sentenza di primo grado, ma appunto, la formulazione di fatti nuovi (quale l'esonero dal pagamento del canone di locazione a carico del G. , fatto che avrebbe dovuto essere introdotto con un ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio, a norma della L. n. 898 del 1970, art. 9). Il secondo motivo deduce l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte territoriale tenuto conto della modificazione in pejus delle condizioni economiche del ricorrente intervenute medio tempore dopo la sentenza di primo grado, nè delle capacità patrimoniali della controparte, la quale abitava in casa di proprietà ed era proprietaria di altro immobile non locato. Inoltre, il ricorrente lamenta che le esigenze della figlia non erano aumentate dopo la sentenza di primo grado. Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., comma 1, lamentando la condanna del ricorrente al pagamento, con le suddette percentuali, delle spese del doppio grado, non avendo la Corte territoriale considerato la condotta della B. la quale aveva rifiutato, all'udienza innanzi alla stessa Corte, un aumento di Euro 50,00 proposto in via conciliativa chiedendo almeno la somma di Euro 420,00 per il contributo al mantenimento della figlia, sicché la controparte era da considerare soccombente, avendo con la sentenza impugnata conseguito solo un aumento di 50 Euro a fronte della richiesta dell'aumento di 150,00 Euro. Il primo motivo è infondato. Invero, la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime di separazione, postulano la possibilità di adeguare l'ammontare del contributo al variare nel corso del giudizio delle loro condizioni patrimoniali e reddituali, e anche, eventualmente, di modularne la misura secondo diverse decorrenze riflettenti il verificarsi di dette variazioni (oltre che di disporne la modifica in un successivo giudizio di revisione), con la conseguenza che il giudice d'appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l'evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio (Cass., n. 9553/19; n. 1824/05). Ora, nella fattispecie, legittimamente è stato proposto appello per la modifica dell'assegno di mantenimento della figlia maggiorenne non autosufficiente, anche per fatti verificatisi nelle more, dovendo il giudice d'appello tener conto anche dei sopravvenuti mutamenti delle situazioni reddituali e patrimoniali delle parti. Il secondo motivo è parimenti infondato, avendo la Corte territoriale esaminato ogni questione formulata dal ricorrente e tenendone conto nell'aver accolto parzialmente la richiesta di aumento della somma oggetto del contributo al mantenimento della figlia. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto diretto al riesame dei fatti inerenti ai criteri di liquidazione delle spese processuali, ex artt. 91 e 92 c.p.c.; al riguardo, va altresì osservato che la Corte territoriale ha compensato parzialmente le spese del giudizio d'appello in considerazione del parziale accoglimento dell'istanza di aumento della somma dovuta a titolo di mantenimento della figlia. Attesa la mancata costituzione della Bolognesi, nulla per le spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis, ove dovuto.
Avv. Antonino Sugamele

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