Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Divorzista Trapani

Sentenza

Separazione con addebito. La moglie sostiene che il marito è gay. Non è sufficiente per l'addebito.
Separazione con addebito. La moglie sostiene che il marito è gay. Non è sufficiente per l'addebito.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 gennaio – 5 maggio 2021, n. 11789
Presidente Genovese – Relatore Caiazzo

Rilevato che:

Con sentenza emessa il 24.2.15 il Tribunale di Cagliari, pronunciata la separazione personale fra i coniugi M.G. e P.A. , rigettò entrambe le domande d'addebito, determinando nella somma di Euro 600,00 l'assegno posto a carico del ricorrente M. per il mantenimento della moglie e dichiarando inammissibili le domande di definizione dei rapporti di credito fra i coniugi.
In particolare, il Tribunale ritenne provato che la P. avesse più volte dichiarato, interloquendo anche con i colleghi del marito, che il M. aveva cambiato gusti sessuali, in quanto divenuto omosessuale, affermando che non era stato provato che tale comportamento fosse stata la causa della separazione, piuttosto che un fatto inseritosi in un rapporto familiare già irrimediabilmente compromesso. Il giudice di primo grado ritenne altresì dimostrato che il marito avesse lasciato la causa coniugale nel omissis per i dissidi insorti con la moglie, facendovi poi rientro, emergendo dunque che le accuse di omosessualità apparivano l'effetto di un pregressa crisi matrimoniale, essendo altresì incontestato che i coniugi non intrattenessero da tempo tra loro rapporti sessuali e che tale situazione non fosse frutto di una decisione comune.
Avverso tale sentenza propose appello il M. con riguardo alla pronuncia sull'addebito e sull'assegno di mantenimento, mentre la moglie propose appello incidentale limitatamente all'ammontare dello stesso assegno.
L'appellante principale deduceva che il Tribunale non avesse collocato bene temporalmente le vicende, poiché la crisi coniugale, seguita dal suo allontanamento dalla casa coniugale agli inizi del XXXX, era durata solo cinque mesi, per cui la condotta della P. , ritenuta offensiva e causativa della definitiva dissoluzione del rapporto familiare, non poteva essere ricondotta alla pregressa breve crisi coniugale, collocandosi da (omissis) .
Con sentenza emessa il 17.8.16, la Corte territoriale respinse l'appello principale osservando che: dal quadro istruttorio complessivo non risultava che la crisi coniugale culminata nel omissis con l'allontanamento del M. dalla casa familiare fosse definitivamente cessata con la riappacificazione dei coniugi e che fosse sorta una nuova e autonoma crisi coniugale dopo oltre un anno; l'appellante non aveva mai contestato i dati temporali indicati dalla convenuta in ordine al suo allontanamento, poiché le sue contestazioni avevano sempre riguardato i comportamenti dedotti e l'imputabilità della separazione alle condotte poste in essere dalla controparte; i dati temporali indicati nella querela presentata dal M. non coincidevano con quelli contemplati nei capitoli di prova testimoniale; alla stregua dei fatti esposti dalle parti, doveva dunque escludersi che la crisi coniugale fosse passata con il rientro del marito presso la casa coniugale, in ragione della sua lunga durata.
La medesima sentenza accolse in parte l'appello incidentale, rilevando che: dall'esame della documentazione fiscale prodotta era emersa una maggiore sproporzione fra le condizioni economiche delle parti, considerando che la P. era priva di reddito e non era in grado di svolgere attività lavorativa a causa delle sue condizioni di salute e dell'età; il M. non aveva dimostrato le attuali condizioni di salute del figlio, del cui mantenimento egli era obbligato, nè prodotto successiva documentazione rispetto a quella iniziale, per cui nella determinazione dell'assegno di mantenimento si doveva tener conto anche dell'economia di scala di cui il M. poteva usufruire a causa della convivenza con lo stesso figlio; pertanto, dal raffronto delle condizioni economiche delle parti l'assegno a favore della moglie poteva essere determinato in Euro 800,00 mensili a decorrere dalla sentenza di primo grado (mentre il periodo precedente rimaneva disciplinato dai provvedimenti provvisori presidenziali).
M.G. ricorre in cassazione con quattro motivi, illustrati con memoria.
Resiste la P.     con controricorso.

Ritenuto che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 151 c.c., artt. 115, 116 e 183 c.p.c., avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che le ultime accuse di omosessualità rivoltegli dalla moglie, sebbene provate, non avessero autonomamente o concorsualmente provocato la definitiva crisi coniugale.
il secondo motivo denunzia omessa disamina di vari fatti decisivi, avendo la Corte territoriale escluso che la crisi coniugale precedente fosse stata superata, non accertando invece che successivamente erano iniziate le accuse di omosessualità da parte della moglie, condotta che aveva provocato la definitiva separazione, essendo ormai la convivenza divenuta intollerabile per colpa della P. .
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c., artt. 115, 116, in quanto la Corte d'appello aveva erroneamente pronunciato, in accoglimento dell'appello incidentale, l'aumento dell'assegno di mantenimento da Euro 600,00 a Euro 800,00 mensili, sulla base dell'esame della documentazione fiscale.
Il quarto motivo deduce l'inosservanza del consolidato orientamento del foro locale sui criteri di determinazione dell'assegno di mantenimento nelle famiglie monoreddito, e omesso esame di fatti decisivi, avendo la Corte d'appello valutato erroneamente le dichiarazioni dei redditi del M. in ordine all'aumento dell'assegno di mantenimento, anche sotto il profilo fiscale, ed avendo altresì deciso sulla misura dell'assegno sull'erroneo presupposto che il figlio a suo carico non fosse disabile.
I primi due motivi - esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi - sono inammissibili, in quanto diretti al riesame dei fatti relativi all'istanza di addebito della separazione alla P. , ovvero a prospettarne una diversa interpretazione. Invero, il ricorrente si duole che la Corte d'appello abbia escluso che le accuse di omosessualità avessero costituito la causa della crisi coniugale, affermando invece che quest'ultima preesisteva a tali accuse e non era stata rimossa dal breve periodo di convivenza tra i coniugi.
Al riguardo, a fronte della dettagliata ricostruzione effettuata dalla Corte territoriale circa le vicende familiari dei coniugi, da cui la stessa ha inferito le proprie conclusioni in ordine all'origine della crisi dei rapporti coniugali, il ricorrente intende provocare un diverso apprezzamento degli elementi di fatto esaminati dal giudice d'appello e non conseguire una diversa ricognizione della norme che assume violate che, invece, presupporrebbe un accertamento incontestato dei fatti.
Del pari, il terzo e quarto motivo - anch'essi esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi - sono inammissibili poiché diretti al riesame del merito della causa, ovvero a suscitare una diversa valutazione della documentazione fiscale depositata in giudizio, rispetto a quella effettuata dalla Corte territoriale insuscettibile di censura in questa sede. Quanto, invece, alla doglianza afferente alla mancata valutazione dello stato d'invalidità del figlio a carico del ricorrente essa è irrilevante, o comunque non decisiva, in quanto il riferimento a tale situazione da parte del giudice di secondo grado risulta effettuato al solo fine di evidenziare il risparmio che il ricorrente traeva dalla convivenza con il figlio, tenendo conto dell'obbligo di mantenimento di quest'ultimo.
Infine, è del pari del tutto irrilevante il riferimento all'orientamento del foro locale circa i criteri di determinazione dell'assegno di mantenimento nel caso delle famiglie monoreddito, non trattandosi certo di parametro legale, avendo la Corte territoriale, piuttosto, chiaramente esplicitato le ragioni dell'aumento di tale assegno sulla base dell'esame del contenuto della documentazione fiscale.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo ricorso, assorbiti gli altri, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 3200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Dispone che in caso di pubblicazione dell'ordinanza siano oscurati i dati personali.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza