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Sentenza

E' lecito l'accordo sul divorzio raggiunto in sede di separazione che prevede la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante"?
E' lecito l'accordo sul divorzio raggiunto in sede di separazione che prevede la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante"?
Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 27-01-2021) 26-04-2021, n. 11012
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -

Dott. FIDANZIA Andrea - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 347/2017 proposto da:

U.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Costabella n. 23, presso lo studio dell'avvocato Lavitola Leonardo, rappresentato e difeso dall'avvocato Piredda Andrea, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

M.A.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Unali Alessandro, Luciano Giovanni Battista, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 218/2016 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 05/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/01/2021 dal cons. FIDANZIA ANDREA.
Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari - con sentenza depositata il 5 maggio 2016, in parziale accoglimento dell'appello proposto avverso la sentenza n. 674/2015 del Tribunale di Sassari da U.G. nei confronti di M.A.M., ha revocato l'obbligo dell'appellante di corrispondere all'appellata un contributo per il mantenimento del figlio M., confermando l'assegno divorzile stabilito dal giudice di primo grado a favore della sig.ra M..

Il giudice di secondo grado ha ritenuto che l'accordo pattuito dai due coniugi in sede di separazione consensuale, teso alla disciplina futura dei rapporti economici delle parti anche per il successivo divorzio (e con il quale era stato sciolto l'intero patrimonio immobiliare e mobiliare prima i comunione), fosse ammissibile e non affetto da nullità per illiceità della causa, con la conseguenza che, non essendosi verificate situazioni di forza maggiore in ordine alle condizioni economiche delle parti, la misura dell'assegno stabilito in primo grado doveva ritenersi congrua.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione U.G. affidandolo ad un unico articolato motivo.

M.A.M. si è costituita in giudizio con controricorso, eccependo l'inammissibilità del ricorso, per non avere il ricorrente proposto distinti motivi, ma formulato tutte le proprie censure con un'unica doglianza, non consentendo così di individuare quali delle allegazioni ed argomentazioni fossero state addotte a sostegno delle pretese violazioni di legge e quali a sostegno del difetto di motivazione.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.
Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo il ricorrente ha dedotto la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e L. n. 74 del 1987, art. 10, nonchè dell'art. 1343 c.c.. E' stato altresì denunciato l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la violazione dell'art. 182 c.p.c., comma 4 e l'omessa pronuncia sulla domanda proposta in via subordinata.

Assume il ricorrente che l'accordo concluso con la coniuge in sede di separazione consensuale, essendo destinato a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio, era affetto da nullità per illiceità della causa, atteso che il diritto all'assegno di divorzio, per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile.

Ne consegue che il giudice di merito non avrebbe potuto fare riferimento alle statuizioni assunte in sede di separazione giudiziale, ancorchè concordate tra i coniugi, ma avrebbe dovuto indagare sull'effettiva sussistenza del presupposto richiesto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, per la concessione dell'assegno divorziale, ovvero l'inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanze di matrimonio.

Sul punto, la Corte d'Appello non aveva effettuato alcun accertamento.

In particolare, non era stato tenuto conto, che per effetto degli accordi della separazione consensuale, richiamati nelle condizioni del decreto di omologa del Tribunale, una parte consistente del patrimonio immobiliare in comunione dei coniugi era stato attribuito alla M., già proprietaria di altro appartamento e titolare di una subagenzia di assicurazioni.

Inoltre, la Corte d'Appello non aveva considerato il decremento reddituale subito dal ricorrente negli anni successivi alla separazione.

Infine, la Corte territoriale non si era pronunciata sulla domanda svolta in via subordinata dal ricorrente di riduzione, in ogni caso, della misura dell'assegno divorzile riconosciuta in primo grado.

2. Il motivo è fondato.

Va preliminarmente rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso.

Va osservato che è orientamento di questa Corte (vedi Cass. n. 7009 del 17/03/2017; vedi anche S.U. n. 9100/2015) che, in materia di ricorso per cassazione, l'articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d'inammissibilità dell'impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l'individuazione delle questioni prospettate.

Nel caso di specie, pur avendo il ricorrente formulato plurime censure con un unico motivo, in ogni caso, ciò non ha impedito l'agevole individuazione delle questioni prospettate: sia in relazione alla dedotta violazione di legge (nullità dell'accordo concluso in sede di separazione, mancato accertamento del requisito dell'inadeguatezza dei "mezzi"), sia in ordine al vizio di motivazione.

Quanto al merito, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio.

In particolare, nella sentenza n. 2224 del 30/01/2017 (vedi anche Cass. 5302 del 10/03/2006) è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perchè stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c.. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Nel caso di specie, è proprio la sentenza impugnata a pag. 2 che fa rientrare l'accordo (di cui è causa) che i coniugi hanno concluso in sede di separazione con il quale hanno inteso sciogliere l'intero patrimonio immobiliare e mobiliare tra gli accordi diretti "alla disciplina futura dei rapporti economici tra le parti, riferibili anche al successivo divorzio", ritenendolo ammissibile in virtù di quanto statuito dalla sentenza Cass. n. 8109/2000, sul rilievo che anche nel caso in esame (come in quello su cui si è pronunciata la predetta sentenza) la nullità viene invocata proprio dal coniuge che, secondo gli accordi, sarebbe gravato e non dal beneficiario dell'assegno.

Tuttavia, da un attento esame della citata sentenza n. 8109/2000, emerge che, nel caso dalla stessa esaminato, è stato ritenuto valido l'accordo raggiunto dai coniugi in sede di separazione, sul solo rilievo che si trattava di un accordo transattivo (ancorchè parzialmente trasfuso nella separazione consensuale) concluso tra i coniugi al solo scopo di porre fine ad una controversia di natura patrimoniale, tra gli stessi insorta, senza alcun riferimento, esplicito od implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio. Tale situazione è quindi ben diversa rispetto al caso di specie, in cui nella sentenza impugnata vi è un espresso riferimento alla funzione dell'accordo di regolare i rapporti tra le parti anche in vista di un futuro divorzio.

Peraltro, dalla lettura della sentenza di questa Corte n. 8109/2000, emerge, altresì, che l'assunzione da parte di un coniuge, con il suddetto accordo, dell'obbligo del pagamento di una somma "vita natural durante" a favore dell'altro coniuge era stata valutata come giustificata nella considerazione della complessiva situazione reddituale delle parti, in cui al credito di uno dei coniugi corrispondeva il debito dell'altro.

Si è quindi ritenuto che il rapporto nascente dalla transazione potesse essere idoneo ad avere un qualche rilievo sui rapporti economici conseguenti alla pronuncia di divorzio, ma solo nel senso che, insorta controversia sulla spettanza o meno dell'assegno divorzile, il giudice del divorzio non avrebbe non potuto tenere conto del credito già spettante ad un coniuge e del corrispondente debito dell'altro coniuge, al pari di tutte le altre voci, attive e passive, della situazione reddituale delle parti. E' proprio con queste considerazioni che si è valutato che la regolamentazione negoziale (risultante dalla transazione) non si ponesse in contrasto con la disciplina inderogabile dei rapporti economici tra gli ex coniugi e neppure che in qualche modo, diretto o indiretto, fosse idonea a limitare la libertà di agire e difendersi nel giudizio di divorzio.

Nel caso di specie, dalla ermetica espressione utilizzata dalla Corte (ovvero che dall'esame degli accordi intercorsi tra le parti in sede di separazione consensuale emerge che le stesse hanno inteso sciogliere il patrimonio immobiliare e mobiliare") potrebbe astrattamente ipotizzarsi che l'assunzione in capo al ricorrente dell'obbligo di pagamento di un assegno di mantenimento a favore della coniuge "vita natural durante" rispondesse alla funzione di costituire a favore della beneficiaria una sorta di "rendita vitalizia atipica".

In questa precisa direzione si muovono, infatti, le deduzioni di parte controricorrente che ha trascritto integralmente nel proprio atto difensivo un passaggio motivazionale della sentenza del giudice di primo grado, secondo cui la sig.ra M. aveva diritto alla conferma dell'assegno di mantenimento "alla luce del fatto che in sede di separazione lo stesso è stato determinato tenendo presente essenzialmente la definitiva divisione delle fonti di reddito derivanti dalle aziende familiari, delle quali la più produttiva è rimasta nella proprietà dell' U., e tale era la disparità di reddito che egli, riconoscendo che la situazione era stata raggiunta con il lavoro e l'impegno di entrambi i coniugi si è impegnato consensualmente a corrispondere la somma di Euro 550 mensili per tutta la vita della moglie" nonchè che l'erogazione dell'assegno era strettamente collegata "all'attività della M. la quale si obbliga anche a non fare concorrenza all'attività svolta dall' U. e in ipotesi di ottenimento di licenza autonoma a consentire la riduzione dell'assegno a Euro 250 mensili".

Tuttavia, la Corte d'Appello, nel confermare l'assegno di divorzio a favore della M., non ha minimamente tenuto separato (nè precisato) il profilo della definizione dei rapporti patrimoniali già pendenti tra le parti e della eventuale conseguente regolamentazione delle ragioni di debito-credito (comprendenti la cessione di azienda - o di una quota di essa - e il patto di non concorrenza), rispetto a quello della spettanza dell'assegno di divorzio secondo i criteri elaborati da questa Corte, ammettendo genericamente, e in astratto, in modo erroneo la liceità di patti tra coniugi, diretti a disciplinare i loro rapporti economici in vista del futuro divorzio, ove fatti valere da quello beneficiario dell'assegno pattuito in sede di separazione.

La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari - in diversa composizione, che dovrà provvedere ad un attento esame dell'accordo concluso dalle parti in sede di separazione, qualificandone la natura, precisando il rapporto tra la eventuale rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante "in occasione" della crisi familiare), estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, ed il diritto all'assegno divorzile (che esprime una relativa certezza "a causa " della crisi della famiglia).

Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:

"In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito - credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)".
P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte di Appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari - in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021
Avv. Antonino Sugamele

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