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Sentenza

Il divorzio.
Il divorzio.
ASSEGNO DI DIVORZIO PER IL CONIUGE

FONDAMENTO: l'assegno di divorzio ha causa nello scioglimento del vincolo matrimoniale e ha natura diversa dall'assegno di mantenimento e da quello alimentare eventualmente concessi in sede di separazione che presuppongono, invece, l'esistenza del rapporto coniugale (art. 5 l. n. 898/1970).

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, pur costituendo un effetto diretto della pronuncia di divorzio, postula tuttavia un'esplicita richiesta da parte dell'avente diritto.

Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898/1970 il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

PRESUPPOSTI: la corresponsione dell'assegno è subordinata al fatto che chi lo pretenda non ha mezzi adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive (art. 5, comma 6, legge n. 898/1970).

La funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa attribuita all'assegno di divorzio richiede, per il suo riconoscimento ed attribuzione, che l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilita' di procurarseli per ragioni oggettive, avvenga alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, dando particolare rilievo al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'eta' dell'avente diritto (Cass. Sez. Un. 11 luglio 2018, n. 18287).

Secondo la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite la funzione assistenziale dell'assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarieta' e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'eta' del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilita' di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall'assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore eta' del richiedente e' di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità.

La Corte Costituzionale,  già prima dei nuovi principi fissati dalle Sezioni Unite, si era espressa nel ritenere che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull' assegno divorzile, ma va di volta in volta bilanciato con altri parametri: condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione, che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto (Corte Cost. 11.2.2015, n.11).

I criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, prima parte, della l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita - assistenziale perequativa e compensativa - del detto assegno (Cass. 11 dicembre 2019, n. 32398)

La formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge divorziato determina la perdita definitiva dell'assegno divorziale e anche se il successivo legame si rompe, l'assegno non è più dovuto. La nuova convivenza deve avere i connotati di stabilità e continuità, costituendo un modello di vita in comune analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, solo in questi casi, infatti, la mera convivenza si trasforma in una vera e propria "famiglia di fatto". A quel punto si rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorziale (Cass. 3 aprile 2015, n. 6855). Ed invero l'instaurazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale fa venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, cosicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ex art. 2 Cost. come formazione stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l'altro coniuge, il quale deve considerarsi ormai definitivamente esonerato dall'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile (Cass. 29.9.2016, n.19345). 

Ai fini della dimostrazione dell'attuale autosufficienza economica del coniuge richiedente l'assegno di divorzio non rappresenta una circostanza decisiva la mancata richiesta, in sede di separazione, da parte di questo, di un assegno di mantenimento (Cass. 20.1.2006, n. 1203).

ACCERTAMENTO DEL DIRITTO ALL'ASSEGNO: l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articola in due fasi tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma (nel senso che alla seconda può accedersi solo all'esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto):
 
• nella prima il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, e quindi procedere a una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Questa prima fase concerne l'an debeatur, informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all'assegno divorzile fatto valere dall'ex coniuge richiedente. 
 
• nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto. Questa fase riguarda il quantum debeatur, improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell'importo dell'assegno stesso (Cass. 29.8.2017, n. 20525).
 

DETERMINAZIONE DELL'IMPORTO: va effettuata verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e l'adeguatezza  assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi ne' a quello strettamente assistenziale ne' a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti (Cass., Sez. Un. 11 luglio 2018, n. 18287).

ACCERTAMENTO DELLE CONDIZIONI ECONOMICHE: l'accertamento del giudice del merito in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi deve essere compiuto, non in astratto, bensì in concreto; pertanto, detto giudice non può basare la propria decisione su un mero apprezzamento probabilistico, non fondato su dati realmente esistenti con riferimento alla specifica fattispecie (Cass. 29.3.2006, n. 7117).

Tra l'altro sempre ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, immobiliare ed anche mobiliare (Cass. 23.4.2010, n. 9713).

Ad esempio l'elevato costo della vita nella città in cui vive l'ex marito, obbligato al pagamento dell'assegno divorzile in favore della ex moglie, rileva ai fini della determinazione dell'importo e della sua riduzione (Cass. 9 gennaio 2020, n. 174).

La instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso  Cass. 28 febbraio 2020, n. 5606)

Ove il giudice, in ordine alla capacità reddituale dei coniugi, abbia chiesto a entrambe le parti l'esibizione della documentazione relativa ai rapporti bancari da ciascuna intrattenuti, e una sola di queste abbia ottemperato alla richiesta fornendo materia per gli accertamenti giudiziali, il giudice che di essi abbia fatto uso ha l'obbligo di motivare in ordine al significato del comportamento omissivo della parte inottemperante, costituendo l'asimmetria comportamentale e informativa una condotta da cui desumere argomenti di prova ex articolo 116, comma 2, del Cpc. (Cass. 22.6.2017, n. 15481).

La rinuncia al mantenimento contenuta nella separazione consensuale è ininfluente ai fini dell'accertamento delle condizioni per l'attribuzione dell'assegno di divorzio. Il fatto che il coniuge richiedente abbia al momento degli accordi della separazione consensuale rinunciato a pretendere l'assegno di mantenimento di cui all'art. 156 c.c. non può che essere considerata nel giudizio di divorzio alla stregua di un mero indizio di autosufficienza economica (App. 8.7.2009, n. 2756).

Nel corso del giudizio di divorzio è ammissibile la domanda di adeguamento dell'assegno di separazione e quindi la contestualità dei due giudizi innanzi allo stesso giudice per la definizione delle questioni patrimoniali sempre che non si chieda, per lo stesso periodo, la concessione di entrambi gli assegni (Cass. 10.12.2008, n. 28990).

INDAGINI DI POLIZIA TRIBUTARIA: i coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria (art. 5, comma 9, legge n. 898/1970). Presupposto per l'attivazione della procedura che legittima la richiesta di intervento della polizia giudiziaria secondo la previsione normativa è la contestazione della documentazione fiscale in atti. Senonchè il potere di disporre indagini patrimoniali, in deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può considerarsi anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche. Tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l'obbligo di disporre accertamenti d'ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria) (Cass. n. 10344/2005).

CRITERI PER ATTRIBUZIONE E COMMISURAZIONE: per la concessione e la quantificazione dell'assegno di divorzio sono indicati quattro criteri:

• le condizioni dei coniugi;

• le ragioni della decisione;

• il contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;

• il reddito di entrambi (art. 5, legge n. 898/1970).

Questi criteri vanno valutati singolarmente nonché in rapporto alla durata del matrimonio e vengono utilizzati dal Tribunale per determinare la misura dell'assegno.

L'assegno divorzile non deve essere necessariamente definito su quello corrisposto a titolo di separazione, ma occorre valutare tutti i nuovi elementi di fatto dai quali desumere la permanenza o meno dei presupposti economici della corresponsione dell'assegno (Cass. 28.1.2015, n. 1631).

Al fine della quantificazione dell'assegno di divorzio, il giudice del merito, pur potendosi avvalere di un raffronto con l'assegno pattuito o giudizialmente fissato nel pregresso regime di separazione, non può e non deve utilizzarlo come parametro vincolante, in quanto l'assegno deve attribuirlo e liquidarlo in base ai criteri autonomamente fissati dall'art. 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, data la diversità delle relative discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei due trattamenti (Cass. 28.6.2007, n. 14921).

MISURA DELL'ASSEGNO: deve essere fissata in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito dì entrambi, durata del matrimonio) con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Il giudice, purché ne dia sufficiente giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri (Cass. n. 12682/1992).

La pronuncia sull'assegno richiede l'istanza di parte e non può essere disposta d'ufficio dal giudice. La domanda non necessita di formule particolari e può essere anche implicita nonché ravvisabile in deduzioni inequivocamente rivolte al conseguimento dell'assegno medesimo.

OBBLIGHI DEL CONIUGE: il coniuge richiedente l'assegno di divorzio ha l'onere di dedurre e dimostrare, con idonei mezzi di prova, ai fini della concessione:

• quale fosse il tenore di vita condotto dai coniugi durante il matrimonio;

• il suo apprezzabile deterioramento, in seguito al divorzio, a causa dell'inadeguatezza dei propri mezzi; mentre ai fini della quantificazione tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal giudice alla luce dei criteri legislativi per la determinazione dell'assegno (App. Roma 7.7.2010, n. 2921).

I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi del caso, anche della polizia tributaria (art. 5, comma 9, legge n. 898/1970).

In caso di convivenza more uxorio non hanno alcun rilievo i redditi del convivente del coniuge obbligato al pagamento non avendo il convivente alcun obbligo nei confronti dell'onerato.

NATURA DELL'ASSEGNO E MODALITA' DI CORRESPONSIONE: l'assegno ha natura assistenziale e può essere versato mensilmente o su accordo delle parti in un'unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. Quando viene corrisposto in un'unica soluzione non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico (art. 5, comma 8, legge n. 898/1970).

La liquidazione una tantum può avvenire sia mediante il pagamento di una somma di denaro, sia mediante il trasferimento di diritti su beni mobili o immobili. In caso di accordo tra ex coniugi che preveda, a titolo contribuzione una tantum ex art. 5, comma 8, L 898/1970, il trasferimento di beni immobili a favore della moglie titolare di assegno periodico di mantenimento, l'obbligo di corrispondere gli alimenti cessa solo al momento del trasferimento immobiliare e non alla conclusione dell'accordo transattivo. Il marito è dunque tenuto al versamento dell'assegno divorzile a favore della ex moglie fino a quando non si perfeziona la cessione degli immobili. Spetta comunque al giudice di merito di delibare l'accordo se ritenuto equo (Cass. 18.11.2016, n. 23566).

Solo l'assegno divorzile può essere una tantum in quanto l'accordo sulla sua corresponsione richiede sempre una verifica di natura giudiziale (Cass. 28 febbraio 2018, n. 4764).

L'assegno versato una tantum in luogo dell'assegno periodico dovuto non è deducibile dal reddito del coniuge erogante (art. 10, lett. c), D.P.R. 22.12.1986, n. 917).

DECORRENZA DELL'ASSEGNO: L'assegno di divorzio, traendo la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio ha introdotto un temperamento l'art. 4, comma decimo, della L. n. 898/1970, come sostituito dall'art. 8 della L. 74/1987, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanza del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio. Pertanto la decisione sulla decorrenza dell'assegno è lasciata alla valutazione discrezionale del tribunale che potrà far decorrere l'assegno di divorzio dalla proposizione della domanda anziché dal passaggio in giudicato della pronuncia sul divorzio (Cass. 10.12.2010, n. 24991).

Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l'obbligo della somministrazione dell'assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda (art. 4, comma 10, legge n. 898/1970).

Ove il giudice si avvalga del potere di disporre, in relazione alle circostanza del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dell'assegno di divorzio  dalla data della domanda di divorzio è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione (Cass. 15.11.2016, n. 23263).

Qualora il giudice di merito escluda la decorrenza dalla domanda, questa opera dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, se pronunciata (Cass. 21.2.2008, n. 4424).

PRESCRIZIONE: il diritto alla corresponsione dell'assegno in quanto avente ad oggetto piu' prestazioni autonome, distinte e periodiche, si prescrive non a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, bensì dalle singole scadenze di pagamento, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l'interesse del creditore a ciascun adempimento (Cass. 4 aprile 2014, n. 7981).

ADEGUAMENTO ISTAT DELL'ASSEGNO: la rivalutazione dell'assegno è dovuta e trova automatica applicazione (Cass. 5.8.2004, n. 15101). La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici si svalutazione monetaria. Il tribunale, può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione (art. 5, comma 7, legge n. 898/1970).

DEDUCIBILITA' DELL'ASSEGNO: le somme corrisposte a titolo di assegno divorzile sono deducibili nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria (art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 917/1986). La deducibilità è limitata all'assegno corrisposto periodicamente mentre è esclusa per l'assegno corrisposto una tantum in quanto non è qualificabile come reddito imponibile ai fini Irpef (Cass. 30.5.2016, n.11183; Cass. 12.10.1999, n. 11437).

Per quanto concerne l'adeguamento Istat dell'assegno di mantenimento dell'ex coniuge l'Agenzia delle Entrate ha specificato che ancorché l'adeguamento sia imposto normativamente le maggiori somme derivati dallo stesso sono deducibili soltanto se l'adeguamento è specificamente previsto dal provvedimento del giudice (risoluzione Agenzia delle Entrate 19.11.2008, n. 448/E).

ESTINZIONE DELL'OBBLIGO: il diritto all'assegno si estingue quando chi lo percepisce passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno (art. 5, comma 10, legge n. 898/1970), nonché quando il soggetto obbligato muore o fallisce.

La costituzione di una nuova famiglia di fatto da parte dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile determina la perdita definitiva dell'assegno. Si tratta di un automatismo e non occorre la prova della modificazione in meglio della condizione economica del coniuge cui veniva versato l'assegno a seguito dell'intervenuto divorzio (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5974).

Ove lo stato di bisogno risorga l'assegno può essere nuovamente attribuito (art. 9 bis legge n. 898/1970).

REVISIONE DELL'ASSEGNO: il diritto a percepire l'assegno di divorzio di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell'altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento (Cass. 22.5.2009, n. 11913).

DIRITTO ALL'ASSISTENZA SANITARIA: il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia assistito l'altro coniuge.

Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze (art. 5, comma 11, legge n. 898/1970).

Legittimato passivamente rispetto a qualsiasi domanda formulata a tal titolo dal coniuge avente diritto è l'ente mutualistico (Cass. 22.5.1993, n. 5793).

PROVVEDIMENTI VERSO I FIGLI
RIFERIMENTI NORMATIVI: L'articolo 337-bis c.c.,  introdotto dal decreto legislativo n.154/2013, stabilisce che le disposizioni contenute nel Capo II del titolo IX, del libro primo, del codice civile si applicano in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio.
Il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n.154 (in G.U. 8 gennaio 2014 n.5 in vigore dal 7 febbraio 2014) - revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n.219 ha sostituito il secondo comma dell'articolo 6 della legge n.898/1970 stabilendo “Il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio applica, riguardo ai figli, le disposizioni contenute nel capo II, del titolo IX, del libro primo, del codice civile”. Sono stati abrogati i commi n. 3, 4, 5, 8, 9, 10, 11 e 12 dell'articolo 6 della legge n. 898/1970. 
 
Pertanto la normativa sull'affidamento dei figli contenuta negli articoli 337-ter, quater, quinquies, sexies, septies e octies c.c. si applica ai procedimenti di divorzio sia nell'ambito dei provvedimenti provvisori del presidente o del giudice istruttore che nelle sentenze finali, nonché in tutti i procedimenti di modifica o di revisione delle condizioni di affidamento, nell'assegnazione o nella revoca del godimento della casa familiare, nella determinazione e nella destinazione degli assegni per il mantenimento dei figli maggiorenni.

AFFIDAMENTO

AFFIDAMENTO DEI FIGLI: il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno genitore, di ricevere cura, educazione e istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Nel disporre l'affidamento della prole in sede di divorzio o di revisione dei provvedimenti ivi assunti, il giudice deve decidere con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale dei figli (art. 337-ter c.c.)  e, quindi, deve perseguire la soluzione che risulti essere la più idonea a garantire la formazione della loro personalità e il loro armonico sviluppo psicofisico previa valutazione di tutti gli elementi che possono influire su tale risultato (Cass. 20.1.2006, n. 1202).

Già la legge sul divorzio prevede «l'affidamento può essere disposto in forma congiunta o alternata» (art. 6, comma 2, legge n. 898/1970).

In forza del rinvio operato dall'art. 4, comma 2, legge n. 54/2006 le disposizioni dettate da detta legge in materia di affidamento condiviso dei figli si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio.

In forza del rinvio operato dall'art. 4, comma 2, legge n. 54/2006 le disposizioni dettate da detta legge in materia di affidamento condiviso dei figli si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio. 

AFFIDAMENTO CONDIVISO: l'affidamento dei figli minori in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio è regolato dall'art. 337-ter c.c. che tutela prioritariamente l'interesse del minore prevedendo come regola l'affidamento condiviso. Il Giudice, difatti, valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (art. 337-ter, comma 2, c.c.).
Con l'affidamento congiunto il minore viene collocato presso uno dei genitori, ma gli stessi mantengono l'esercizio comune della responsabilità genitoriale (art. 337-ter comma 3, c.c.).

Riguardo ai tempi di accudimento e di gestione della prole da parte del genitore non collocatario è riduttivo e improprio parlare di «diritto di visita», perché tale terminologia riconduce a una posizione di preminenza del genitore collocatario aumentando il rischio di un'identificazione dello stesso con la figura del genitore affidatario esclusivo previsto nella vecchia disciplina normativa.

Il giudice del divorzio nel disporre sull'affidamento dei figli minori deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole ed in attuazione di tale criterio valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli (art. 337-ter, comma 2, c.c.).

Il disporre l'affidamento congiunto, anziché quello esclusivo, è questione rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l'interesse del minore medesimo e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di riesame in sede di legittimità (Cass. 20.1.2006, n. 1202; Cass. 11.6.1991, n. 6621).

Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli il giudice prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori se non sono contrari all'interesse dei figli.

Non costituiscono motivi ostativi all'affidamento congiunto:

• la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori. L'oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di un affidamento condiviso del figlio, incidendo, soltanto, sulla disciplina dei tempi di presenza del minore presso ciascun genitore (Cass. ord. 2.12.2010, n. 24526);

• la conflittualità tra i genitori. L'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori non può ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi. Nell'ipotesi di conflittualità tra le parti l'intervento del giudice soccorrerà a stabilire con quale dei genitori la prole debba convivere e a disciplinare i diversi tempi di permanenza, fermo restando, in ogni caso, l'esercizio della potestà in capo al genitore non convivente (Trib. Catania 19.1.2007).

La scelta della residenza abituale del minore deve essere assunta di comune accordo da entrambi i genitori e in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice (art. 337-ter, comma 3, c.c.).

Il genitore collocatario benché sia libero di stabilire ove creda la propria residenza (non sussistendo alcun limite alla libertà costituzionalmente garantita di circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio nazionale) deve considerare, non solo i riflessi della decisione di trasferirsi nella sfera degli interessi del minore, ma anche l'eventuale lesione del diritto dell'altro genitore coaffidatario, e, in mancanza del consenso di quest'ultimo, deve rivolgersi al giudice che provvederà ad assicurare il diritto del minore alla bigenitorialità, tenuto conto del nuovo assetto abitativo ed ambientale che questi deve affrontare (App. Napoli decr. 17.10.2008).

Tuttavia il coniuge che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde, per ciò solo, l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, o di rendersi collocatario dei medesimi; sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario (Cass. 18 luglio 2019, n. 19455).
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto (art. 337-sexies, comma 2, c.c.).
 
Ciascuno dei genitori può, in ogni tempo, adire il Tribunale, per chiedere la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli (art. 337-quinquies c.c.)  

AFFIDAMENTO ESCLUSIVO: in deroga al generale modello legale dell'affidamento condiviso, si deve disporre l'affidamento esclusivo della prole a un solo genitore, qualora il comportamento di uno dei due sia pregiudizievole per i figli.

L'affidamento monogenitoriale è una mera ipotesi residuale disposta con provvedimento motivato quando l'affidamento all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore (art. 337-quater c.c.).

La violazione del dovere di mantenimento da parte di uno dei genitori ad esempio è ritenuto motivo per l'affidamento esclusivo all'altro genitore (Trib. Catania 14.1.2007).

In caso di assenza di uno dei genitori l'interesse del minore risulta perseguibile solo mediate l'affidamento in via esclusiva all'altro, pur dovendosi riconoscere e regolare il diritto di visita del genitore resosi irreperibile.

La scelta dell'affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione in positivo sulla idoneità del genitore affidatario e in negativo sull'inidoneità educativa dell'altro genitore (Cass. 17.12.2009, n. 26587).
Il tribunale stabilisce la misura e il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi (art. 337-ter c.c.). Ai sensi di quanto disposto dall'art. 337-quater il giudice nel disporre l'affidamento esclusivo deve fare salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 337-ter (art. 337-quater c.c.) ovvero il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con glia scendenti e con i aprenti di ciascun ramo genitoriale.
 
Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale. Il genitore affidatario deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. In ogni caso, salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori (art. 337-quater, comma 3, c.c.).
Il genitore non affidatario ha il diritto ed il dovere di vigilare sull'istruzione e ed educazione dei figli e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 337-quater, comma 3, c.c.).
 

All'affidamento esclusivo segue l'assegnazione della casa familiare in favore del genitore affidatario.

OPPOSIZIONE ALL'AFFIDAMENTO CONDIVISO: ciascun coniuge, in qualsiasi momento, quando sussistono le condizioni di pregiudizio per il minore, può chiedere al giudice che venga disposto l'affidamento esclusivo. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337-quater c.c.).

Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli rimanendo fermi i precetti stabiliti dall'art. 96 c.p.c. in materia di responsabilità aggravata (art. 337-quater c.c.).

AFFIDAMENTO FAMILIARE: in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (art. 337-ter, comma 2, c.c.).

RESPONSABILITÀ GENITORIALE: la responsabilità genitoriale  è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore, nell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, debbono essere prese dai genitori di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli (art. 337-ter c.c.).

L'intervento del giudice è solo eventuale, nell'ipotesi di disaccordo in cui i genitori non riescano a pervenire ad una soluzione condivisa.
Il giudice può stabilire che i genitori, limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, esercitino la responsabilità genitoriale  separatamente (art. 337-ter, comma 3, c.c.).
 
Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento (art. 337-ter, comma 3, c.c.).
 

REVISIONE DELLE DISPOSIZIONI SULL'AFFIDAMENTO DEI FIGLI: i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi ((art. 337- quinquies c.c.).
PRESCRIZIONI IN TEMA DI RESIDENZA: In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto (art. 337-sexies, comma 2, c.c.)
 
ASCOLTO DEL MINORE: Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano (artt. 336 bis c.c. e 337-octies c.c.). Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo all'affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo (art. 337-octies, comma 1, c.c).
 

OBBLIGHI VERSO I FIGLI

OBBLIGHI VERSO I FIGLI: i genitori hanno nei confronti dei figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili l'obbligo, ai sensi degli articoli  315-bis e 316-bis del codice civile di mantenerli, educarli ed istruirli.

Questi obblighi permangono anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori (art. 6, comma 1, legge n. 898/1970).

OBBLIGO DI MANTENIMENTO: ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito (art. 337-ter, comma 4 c.c.).

L'essere stato ammesso al gratuito patrocinio e il non disporre di redditi sufficienti nemmeno per il proprio sostentamento non sono elementi sufficienti a giustificare una pronuncia di esonero totale dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli (Trib. Bologna 21.1.2004, n. 249).

ACCORDI DEI GENITORI: i genitori possono liberamente sottoscrivere accordi in cui viene prevista una ripartizione nel concorso degli oneri anche non proporzionale tra gli stessi ma l'accordo, comunque, non deve essere contrario all'interesse dei figli.

Il giudice, difatti, prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori se non contrari all'interesse dei figli, (art. 337-ter, comma 2, c.c.).

Il giudice nei procedimenti in cui omologa o prende atto di un accorso dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, non procede all'ascolto del figlio minore se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo. (art. 337-octies, comma 2, c.c.)

Qualora in sede di divorzio su domanda congiunta il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 dell'art. 4 della legge sul divorzio (art. 4, comma 13, legge n. 898/1970).

ASSEGNO DI MANTENIMENTO

PARAMETRI DI DETERMINAZIONE DELL'ASSEGNO: ove necessario il giudice, al fine di realizzare il principio di proporzionalità che grava su entrambi i genitori per il mantenimento della prole, stabilisce la corresponsione di un assegno periodico posto a carico del genitore non affidatario o, non collocatario nell'ipotesi di affidamento condiviso, da determinare considerando:
 

• le attuali esigenze del figlio;

• il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

• i tempi di permanenza presso ciascun genitore,

• le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. (art.337-ter, comma 4, c.c.) 

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi(art.337-ter, ult.comma, c.c.).

I figli hanno diritto a mantenere lo stesso tenore di vita di cui godevano durante il matrimonio, il nuovo criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge che chiede l'assegno, difatti, non si estende anche ai figli (Cass. 19 febbraio 2018, n. 3922).

DECORRENZA: l'assegno di mantenimento o l'adeguamento di esso decorre dalla proposizione della domanda e non dalla data della sentenza (Cass. 4.6.2010, n. 13623).

ADEGUAMENTO AUTOMATICO DELL'ASSEGNO: nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il tribunale determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria (art. 337-ter, comma 5, c.c.).

CESSAZIONE: Il diritto a percepire gli assegni di mantenimento riconosciuti per i figli in sede di divorzio all'ex coniuge, da sentenze passate in giudicato, può essere modificato, ovvero estinguersi del tutto, solo attraverso la procedura prevista dall'art. 9 legge n. 898/1970 (oltre che per accordo tra le parti).

Conseguentemente la raggiunta maggiore età e la raggiunta autosufficienza economica del figlio non sono, di per sé, condizioni sufficienti a legittimare la cessazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno all'ex coniuge (Cass. 1.6.2010, n. 13414).

Lo stesso articolo 337-quinquies c.c. prevede che ciascun genitore ha diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo al mantenimento dei figli. 

LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE: la legittimazione processuale in ordine alle azioni dirette alla tutela giudiziale del credito spetta al coniuge affidatario della prole o titolare dell'assegno nel caso di affidamento congiunto.

PRESCRIZIONE: il diritto alla corresponsione dei ratei dell'assegno di mantenimento per il coniuge, così come il diritto agli assegni di mantenimento per i figli, in quanto aventi a oggetto prestazioni autonome, distinte e periodiche, non si prescrivono a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di divorzio, ma dalle singole scadenze delle prestazioni dovute, in relazione alle quali sorge di volta in volta il diritto all'adempimento (Cass. 4.4.2005, n. 6975).

SPESE STRAORDINARIE: nel concetto di spese straordinarie vi rientrano tutte quelle spese che non afferiscono alla soddisfazione delle esigenze di vita quotidiana di una persona normale.

Le spese di mantenimento straordinarie sono caratterizzate dai seguenti elementi: periodicità più che occasionalità e sporadicità (requisito temporale), gravosità (requisito quantitativo) e necessità o utilità (requisito funzionale).

Vi rientrano, pertanto, non solo le spese da sostenere una tantum, ma anche quelle che attengono ad un lasso più o meno lungo ma determinato di tempo (spese periodiche); quelle che hanno una certa consistenza sul piano pecuniario (spese gravose); quelle che mirano a realizzare interessi primari o comunque rilevanti della persona (spese necessarie o utili), fatta esclusione, quindi, di quelle meramente voluttuarie.

Debbono considerarsi straordinarie ad esempio le spese mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale, le spese scolastiche per libri di testo, tasse di iscrizione, corsi integrativi o speciali, mensa, spese per pratica di sport e viaggi di istruzione.

L'entità della contribuzione a titolo di spese straordinarie, se non preventivamente concordata dalle parti, è lasciata alla valutazione discrezionale del giudice, il quale procederà alla determinazione del contributo sulla base dei parametri di cui all'art. 316 bis c.c., ovvero in proporzione alle rispettive sostanze dei coniugi e secondo al loro capacità lavorativa e professionale, attraverso un'indagine comparativa delle disponibilità di entrambi i genitori (Cass. n. 1091/1991).

Poichè devono intendersi spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare nocumento alla prole che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo", di cure necessarie o di altri indispensabili apporti (Cass.23 gennaio 2020, n. 1562).

Le spese straordinarie in quanto collegate a decisioni di particolare interesse per il figlio devono essere preventivamente decise dai coniugi che mantengono la responsabiltà genitoriale e che in caso di disaccordo dovrà essere il giudice a decidere. Tuttavia, per agevolare il necessario comune accordo dei genitori affidatari soprattutto in presenza di una mancata armonia tra gli stessi è stato ritenuto che mentre le decisioni di maggior interesse per il figlio (relative all'istruzione, all'educazione e alla salute) vanno assunte dai genitori di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni del figlio, è opportuno, anche disporre un esercizio separato della  responsabiltà genitoriale da parte dei genitori limitatamente alle decisioni concernenti la quotidianità: tali decisioni saranno assunte dal genitore presso cui permane il figlio, e cioè dal genitore che in quel momento avrà con sé il figlio (Trib. Bologna 22 maggio 2006). Secondo l'orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità con riguardo alla partecipazione alle spese straordinarie rispondenti al maggior interesse dei figli, tra le quali rientrano quelle relative all'istruzione, non è previsto alcun onere di informazione a carico del genitore affidatario (Cass. 21.9.2017, n. 22029),  tuttavia nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell'entità della spesa rispetto all'utilità derivante ai figli e alla sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori (Cass. 3.2.2016, n. 2127). 

Il giudice limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione può stabilire che i genitori esercitino separatamente la responsabilità genitoriale (art. 337.ter comma 3, c.c.).

ASSEGNI FAMILIARI: il coniuge a cui i figli sono affidati ha diritto a percepire gli assegni per la prole, sia che degli assegni sia titolare in forza di un proprio rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge (art. 211 legge n. 151/1975). In caso di affidamento condiviso, va considerato come genitore affidatario, e come tale avente diritto alla percezione degli assegni, quello presso il quale vive il figlio (App. Caltanisetta 9.11.2007).

L'Inps ha precisato che nel caso in cui i figli restino affidati ad entrambi i genitori essi hanno titolo a chiedere la prestazione. L'individuazione di chi tra i due effettuerà la richiesta di autorizzazione alla corresponsione dell'assegno sarà determinata da un accordo tra le parti. In mancanza di accordo l'autorizzazione alla percezione della prestazione familiare verrà accordata al genitore con il quale il figlio risulta convivente (messaggio Inps 2.5.2006, n. 12791).

Gli assegni familiari sono dovuti indipendentemente dall'ammontare del contributo per il mantenimento del figlio. Il coniuge non affidatario, difatti, deve corrispondere all'ex coniuge gli assegni familiari percepiti per i figli minori a quest'ultimo affidati, oltre l'importo stabilito a titolo di mantenimento (Trib. Bari 1.8.2006, n. 2106).

MANTENIMENTO FIGLIO MAGGIORENNE: i genitori al raggiungimento della maggiore età del figlio non sono sollevati dal suo mantenimento quando lo stesso non è economicamente autosufficiente.

Ai sensi dell'art. 337-septies c.c. il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico.

Tale assegno è versato direttamente all'avente diritto, tuttavia, al giudice è consentito di stabilire un pagamento nelle mani del genitore convivente (o con maggiori periodi di coabitazione con il figlio) o addirittura di dividere l'importo tra questi e il figlio.

I figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono parificati ai minorenni e agli stessi si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori (art. 337-septies c.c., comma 2, c.c.).

LEGITTIMAZIONE DEL FIGLIO MAGGIORENNE: il figlio divenuto maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente acquista una legittimazione iure proprio all'azione diretta a ottenere il contributo al proprio mantenimento da parte del genitore.

LEGITTIMAZIONE CONCORRENTE DEL CONIUGE: il coniuge divorziato è legittimato (in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio maggiorenne, che trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento) ad ottenere iure proprio dall'altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente e che non sia ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento (Cass. 24.2.2006, n. 4188).

Il genitore il quale continui a provvedere direttamente e integralmente al mantenimento dei figli conviventi, divenuti maggiorenni e non ancora economicamente autosufficienti, resta legittimato non solo ad ottenere iure proprio il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo dovuto dall'altro genitore, ma anche a pretendere detto contributo per il mantenimento futuro dei figli stessi (Cass. 23.3.2004, n. 5719).

CESSAZIONE DELL'OBBLIGO: l'obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un'attività lavorativa adeguata (Cass. 24.1.2011, n. 1611).

Le somme versate per il mantenimento dei figli, devono essere restituite all'ex coniuge nell'ipotesi in cui quest'ultimi erano già economicamente autosufficienti (Cass. 13 febbraio 2020, n. 3659).

ESCLUSIONE DELLA DEDUCIBILITA' DELL'ASSEGNO: l'assegno per il mantenimento dei figli versato dal coniuge non è un onere deducibile mentre per il coniuge che lo riceve opera l'esclusione dalla base imponibile stabilita dalla lettera b) comma 3 dell'art. 3 del T.U.I.R.

È deducibile solo l'assegno periodico alimentare. La diversità di trattamento è giustificata sia per la diversità di funzione e di contenuto fra i due obblighi, sia perché l'assegno alimentare trova applicazione solo in via residuale allorquando quello di mantenimento non è operante, anche nell'ipotesi in cui la condanna agli alimenti sia in fatto successiva a quella riguardante il mantenimento (Corte Cost. 14.11.2008, n. 373).

Al genitore che corrisponde l'assegno spettano le detrazioni per figli a carico.

AMMINISTRAZIONE dei BENI dei FIGLI: il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, oltre ad adottare ogni provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa, dà disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui la responsabilità genitoriale è esercitata da  entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale (art. 6, comma 7, legge n. 898/1970).

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE

ASSEGNAZIONE CASA FAMILIARE: Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli (art. 337-sexies c.c.). L'assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole, rispondendo all'esigenza di garantire l'interesse dei figli alla conservazione dell'ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e articola la vita familiare.

In ragione della superiore esigenza di tutela dell'interesse dei figli alla conservazione dell'ambiente familiare domestico la casa familiare va assegnata, in caso di affido condiviso, al genitore con cui i figli convivono. Mentre all'affidamento esclusivo segue l'assegnazione della casa familiare in favore del genitore affidatario.
Anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli  minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti (Cass. 7 marzo 2017, n. 5745)
 
Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà (art. 337-sexies c.c.). 
Il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprietà o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di divorzio, ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale.
Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643 c.c. (art. 337-sexies c.c.)
 

PAGAMENTO DELLE SPESE DELLA CASA FAMILIARE: il pagamento delle spese correlate all'uso della casa familiare, di proprietà di uno dei coniugi e assegnata in sede di divorzio all'altro coniuge, (ivi comprese quelle, del genere delle spese condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare), sono a carico del coniuge assegnatario, in mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l'onere al coniuge proprietario (Cass. 19.9.2005, n. 18476).

L'assegnatario della casa familiare è tenuto al pagamento delle spese ordinarie, e non anche di quelle straordinarie (App. Bologna 22.11.1997).

OPPONIBILITA' DEL PROVVEDIMENTO DI ASSEGNAZIONE: per la tutela dell'assegnatario della casa familiare, non proprietario della stessa, da eventuali atti dispositivi dell'immobile che può compiere il coniuge proprietario, l'assegnazione, in quanto trascritta ai sensi dell'art. 2643 c.c. nei pubblici registri immobiliari, è opponibile al terzo acquirente (art. 337-sexies c.c.) .

Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero, ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni (Cass. 10.6.2005, n. 12296).

Il terzo acquirente è tenuto a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa pur restando salva, qualora al momento della stipula ignorasse l'esistenza del provvedimento di assegnazione, la possibilità di avvalersi di ogni forma di tutela prevista dall'ordinamento nei confronti del suo dante causa (Cass. 29.8.2003, n. 12705).

IMU E CASA FAMILIARE: L'articolo 4, comma 12 quinquies, del D.L. 2 marzo 2012 n. 16 (c.d.  decreto fiscale) convertito in legge 26.04.2012, n.44, ha previsto che ai soli fini dell'applicazione dell'imposta municipale l'assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di “diritto di abitazione”. Per questo nuovo onere tributario vale, dunque, il “diritto di abitazione” e, quindi, è tenuto al pagamento dell'imposta il coniuge assegnatario anche se non necessariamente ne è proprietario. L'imposta municipale unica (IMU) a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 147/2013 non si applica al possesso dell'abitazione principale (art. 8 d.lgs. n.23/2011 modificato dalla legge n.147/2013). Per abitazione principale si intende anche la casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. 

CESSAZIONE DELL'ASSEGNAZIONE: il diritto al godimento della casa familiare viene meno ai sensi dell'art. 337-sexies quando l'assegnatario:
 

• non abiti la casa familiare;

• cessi di abitare stabilmente nella casa familiare;

• conviva more uxorio;

• contragga nuovo matrimonio.

La giurisprudenza ha chiarito che l'inciso secondo cui “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio” va interpretato nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi indicati (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), dovendosi la decadenza subordinare ad un giudizio di conformità all'interesse del minore (Cass. 9 agosto 2012, n. 14348). Già la Corte Costituzionale con sentenza 30 luglio 2008 n. 308 aveva puntualizzato che l'articolo 155 quater del codice civile (disposizione abrogata, la disciplina sull'assegnazione della casa familiare è ora contenuta nell' articolo 337-sexies introdotto dal d. lgs. n.154/2013),  ove interpretato, sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell'assegnatario della casa sono circostanze idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione dell'assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole, per i quali l'istituto è sorto. Secondo il giudice delle leggi la coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate ove la disposizione sia interpretata nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi dell'instaurazione di una convivenza di fatto, o di un nuovo matrimonio, ma che la decadenza dall'assegnazione sia subordinata a un giudizio di conformità all'interesse del minore (Corte Cost. 30.07.2008, n. 308).

Al genitore affidatario che conduca una convivenza more uxorio o abbia contratto nuovo matrimonio, non potrà essere tolta l'assegnazione della casa familiare ai sensi dell'art. 155 quater c.c., dovendo la decadenza della stessa deve essere subordinata ad un giudizio di conformità nell'interesse del minore (in questo senso Corte Cost. 30.07.2008, n. 308; Cass. 9 agosto 2012, n. 14348).

CASA FAMILIARE IN LOCAZIONE: se l'immobile adibito a casa familiare è detenuto a titolo di locazione, con contratto intestato a uno solo dei coniugi, nessuna modificazione si produrrà sul rapporto contrattuale con il locatore quando l'intestatario del contratto coincida con l'assegnatario della casa familiare. Ove, invece, l'assegnazione venga disposta in favore del coniuge non conduttore è prevista la sua successione nel contratto di locazione con il subentro in tutti i diritti e gli obblighi facenti capo al precedente conduttore (art. 6 legge n. 392/1978).

CASA FAMILIARE IN COMODATO: quando il bene è detenuto a titolo di comodato il provvedimento di assegnazione non fa venir meno il contratto di comodato e il coniuge assegnatario dell'immobile è tenuto a restituirlo al comodante non appena questi lo richieda ex art. 1810 c.c.

La convenzione negoziale con la quale i genitori concedono al proprio figlio e alla moglie di quello un immobile perché entrambi lo adibiscano temporaneamente ad abitazione familiare integra la fattispecie del cosiddetto comodato precario (contratto senza termine di durata) caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vincolo giuridico costituito tra le parti è rimesso in via potestativa alla sola volontà del comodante, il quale ha facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all'affidatario dei figli (Cass. 7.7.2010, n. 15986).

In caso di comodato concesso per ragioni familiari, senza determinazione di un termine finale, fatta salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, il comodante è obbligato a garantire la continuazione del godimento dell'immobile concesso al figlio in occasione del matrimonio affinché fosse adibito a casa familiare, qualora nel giudizio di separazione sia intervenuto un provvedimento di assegnazione di tale bene in favore del coniuge del comodatario (Cass. 18.7.2008, n. 19939).

ALLOGGIO DI EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE: il rapporto che si instaura tra gli istituti per le case popolari, o altri analoghi enti, e gli assegnatari degli alloggi trae origine da due atti distinti, di cui uno (quello diretto all'accertamento delle condizioni per l'assegnazione) ha natura amministrativa e l'altro ha valore e portata di un contratto equiparabile alla locazione, per effetto del quale sorge a favore dell'assegnatario un vero e proprio diritto personale al godimento dell'alloggio. Pertanto, data la natura eccezionale della norma di cui all'art. 155 quater c.c., il quale consente che l'uso della casa coniugale possa essere attribuito anche al coniuge che non ne ha il godimento in base ad un diritto soggettivo purché lo stesso sia affidatario di figli, l'assegnatario di un alloggio di casa popolare non può essere privato del godimento dello stesso a favore dell'altro coniuge, se questi non è affidatario di prole (Cass. 29.7.1987, n. 6550).

DECADENZA DALL'ASSEGNAZIONE DELL'ALLOGGIO DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA PER GLI AUTORI DI DELITTI DI VIOLENZA DOMESTICA: In caso di condanna, anche non definitiva, o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i reati, consumati o tentati, di cui agli articoli 564, 572, 575, 578, 582, 583, 584, 605, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies, 609-sexies e 609-octies del codice penale, commessi all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio, da unione civile o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto della coabitazione, anche in passato, con la vittima, il condannato assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica decade dalla relativa assegnazione; in tal caso le altre persone conviventi non perdono il diritto di abitazione e subentrano nella titolarità del contratto (art. 3 bis l. 15.10.2013, n.113 introdotto dall'art. 12 della legge 11 gennaio 2018 n. 4).

TUTELE PER IL CONIUGE TITOLARE DELL'ASSEGNO DI DIVORZIO E DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

STRUMENTI DI TUTELA: il mancato rispetto dell'obbligo del pagamento dell'assegno divorzile e mantenimento dei figli è tutelabile sia attraverso le disposizioni generali in materia di esecuzione, sia attraverso i rimedi specifici previsti dall'art. 8 della legge n. 898/1970.

GARANZIA REALE O PERSONALE PER L'ADEMPIMENTO: la costituzione di garanzie reali o personali è uno strumento di tutela a carattere preventivo volto a garantire l'effettività dell'adempimento della prestazione. Il giudice che pronunzia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio a garanzia dell'adempimento dell'obbligazione di mantenimento può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge (art. 8, comma 1, legge n. 898/1970).

Il giudice ha potere discrezionale nella valutazione della idoneità, per forma e modalità di prestazione, della garanzia stessa che ad esempio può consistere nella fideiussione prestata da un soggetto solvibile (Cass. 10.4.1992, n. 4391).

ISCRIZIONE IPOTECA GIUDIZIALE: la sentenza di divorzio costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c. sui beni del soggetto obbligato alla corresponsione degli assegni di divorzio e di mantenimento per i figli (art. 8, comma 2, legge n. 898/1970).

I provvedimenti pronunciati dal presidente del tribunale in sede di comparizione personale dei coniugi nel giudizio di divorzio e quelli successivi, emessi dal giudice istruttore, di revoca o di modifica degli stessi, non costituiscono titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c., a garanzia dell'obbligo di mantenimento, a differenza di quanto è, invece, previsto per le sentenze di separazione e divorzio o dopo l'omologazione della separazione consensuale.

OBBLIGO DEL TERZO DEBITORE: l'avente diritto all'assegno, a fronte dell'inadempimento per un periodo di almeno trenta giorni del coniuge obbligato, dopo averlo costituito in mora a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi (datore di lavoro) tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente (art. 8, comma 3, legge n. 898/1970).

Ove il terzo cui sia stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento ai sensi degli artt. 5 e 6 (art. 8, comma 4, legge n. 898/1970).

Qualora il credito del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione, all'assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti nell'esecuzione, provvede il giudice dell'esecuzione (art. 8, comma 5, legge n. 898/1970).

Quando il coniuge obbligato e inadempiente sia un dipendente dello Stato o di altro ente pubblico e il coniuge creditore dell'assegno periodico abbia notificato al datore di lavoro il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente a lui la corresponsione periodica, il datore di lavoro non può versare a quest'ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori (art. 8, comma 6, legge n. 898/1970). La disposizione si applica anche ai datori di lavoro che non siano enti.

Nella nozione di terzo obbligato al pagamento diretto del coniuge titolare dell'assegno divorzile vanno compresi gli enti che erogano trattamenti pensionistici (Cass. 28.11.2011, n.25043).
 

SEQUESTRO CONSERVATIVO: a garanzia della conservazione e del soddisfacimento delle ragioni creditorie del coniuge titolare dell'assegno periodico è prevista la facoltà per lo stesso di adire il giudice al fine di ottenere il sequestro dei beni del coniuge obbligato a somministrare l'assegno. In questo caso trovano applicazione le norme del codice di rito sul sequestro (artt. 678 ss. c.p.c.). Lo stipendio o la pensione dell'obbligato sono soggette a sequestro fino alla concorrenza della metà (art. 8, comma 7, legge n. 898/1970).

PIGNORAMENTO: in caso di mancato pagamento dell'assegno di divorzio o di mantenimento per i figli lo stipendio o la pensione dell'obbligato possono essere soggetti a pignoramento ma con il limite della quota di 1/2 (art. 8 legge 1970, n. 898, modificato dall'art. 12 legge n. 74/1987).

TUTELA PENALE

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI NATURA ECONOMICA: L'articolo 570 bis codice penale stabilisce  che le pene previste dall'articolo 570 del codice penale si applicano al  coniuge  che  si  sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto  in caso di  scioglimento,  di  cessazione  degli  effetti  civili  o  di nullità del matrimonio. La nuova norma è stata introdotta dal decreto n. 21/2018 che quale conseguenza di ordine sistematico ha abrogato  l'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898  che prevedeva analoga statuizione.

La giurisprudenza interpretativa intervenuta nella vigenza dell'articolo 12 sexies L. n. 898/1970 quanto al rinvio operato alle pene dell'articolo 570 cod. pen. deve ritenersi esplicativa e riferibile anche al nuovo articolo 570 bis codice penale in vigore dal 6 aprile 2018.

Il trattamento sanzionatorio applicabile per il reato di omessa corresponsione dell'assegno di mantenimento in caso di divorzio è quello della pena alla reclusione e della multa applicabili non già in forma congiunta, ma solo in via alternativa. Il rinvio quoad poenam contenuto nell'art. 12 sexies, L. n. 898/1970, in mancanza di sicuri elementi testuali orientativi scaturenti dal testo legislativo, deve intendersi - in sintonia con il rapporto di proporzione e con il criterio di stretta necessità della sanzione penale -, al c. 1 dell'art. 570 c.p., che costituisce l'opzione più favorevole all'imputato (Cass. Sez. Un. Pen., 31.5.2013, n. 23866).

Il reato è procedibile d'ufficio non essendo subordinato da alcuna disposizione di legge alla proposizione della querela (Corte Cost. n. 325/1995).

L'obbligo previsto dall'art. 12 sexies della legge n. 898/1970 non viene meno al raggiungimento della maggiore età dei figli, atteso che un tale automatismo non è né civilisticamente riconosciuto (dovendo, viceversa, il genitore obbligato promuovere la modifica giudiziale del provvedimento stabilito in sede divorzile), né, conseguentemente, penalmente rilevante (Cass. 6.7.2009, n. 27522).

Il delitto previsto dall'art. 12 sexies legge n. 898/1970 si configura per il semplice inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno nella misura disposta dal giudice in sede di divorzio, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto.

Anche un inadempimento parziale dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di divorzio e di mantenimento dei figli è sufficiente a integrare gli estremi del reato previsto dall'art. 12 legge n. 898/1970 (Trib. Lodi 4.6.2010, n. 333).

A differenza dell'art. 12 della legge n. 898/1970 che punisce il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione ai figli (senza limitazione di età) affidati al coniuge divorziato dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice in sede di divorzio, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto, l'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. appresta tutela penale alla violazione dei genitori dell'obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli minori in stato di bisogno. Ne consegue che, nel caso in cui la mancata corresponsione da parte dell'obbligato dell'assegno fissato dal giudice in sede di divorzio per il mantenimento del figlio minore privi costui dei mezzi di sussistenza, tale condotta deve essere inquadrata nel paradigma dell'art. 570, comma 2, c.p. (Cass. 16.2.2009, n. 6575).

MANCATA ESECUZIONE DOLOSA DI UN PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE: a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci è punito con al reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032 (art. 388, comma 2, c.p.).

Nei doveri del genitore affidatario rientra quello di favorire il rapporto del figlio con l'altra figura genitoriale, perché entrambi i genitori sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore.

L'inosservanza occasionale delle modalità di affidamento dei figli non concretizza elusione del provvedimento del giudice civile (Cass. 18.3.2010, n. 10701).

PROCEDIMENTO DI REVISIONE DEI PROVVEDIMENTI

DOMANDA DI REVISIONE: i coniugi divorziati possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti l'affidamento dei figli e provvedimenti relativi alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere per i figli e per il coniuge secondo il procedimento disciplinato dall'art. 9 della legge n. 898/1970.

PRESUPPOSTI DELLA DOMANDA DI REVISIONE: qualora dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio sopravvengano giustificati motivi, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 (art. 9 legge n. 898/1970).

Il giudice richiesto, ex art. 9 L. 898/1970 della “revisione” dell'assegno divorzile che incida sulla stessa spettanza del relativo diritto, in ragione della sopravvenienza di “giustificati motivi” deve verificare, se i sopravvenuti “motivi” dedotti giustifichino effettivamente, o no, la negazione del diritto all'assegno a causa della sopraggiunta "indipendenza o autosufficienza economica" dell'ex coniuge beneficiario, e non già con riguardo a un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” (Cass. 22 giugno 2017, n. 15481).

L'articolo 337-quinquies c.c., applicabile in virtù dell'art. 337-bis c.c., anche in caso di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, stabilisce che i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

Poiché i provvedimenti relativi ai figli minori dei genitori divorziati divengono definitivi solo “rebus sic stantibus” il giudice in sede di revisione non può procedere ad una diversa ponderazione delle pregresse condizioni economiche delle parti, né può prendere in esame fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività (Cass. 9 gennaio 2020, n. 283).

La sopravvenuta adozione dei figli maggiorenni ma non autosufficienti da parte del nuovo marito della madre, ove ne derivi il loro stabile inserimento nel contesto familiare creatosi, deve essere valutata dal giudice ai fini della modificazione dell'entità di tale mantenimento, ove risulti che l'adottante, benché privo del corrispondente obbligo giuridico, provveda comunque continuativamente e non solo occasionalmente alle esigenze e necessità quotidiane degli adottati (Cass. 27 marzo 2020, n. 7555).

Anche per l'assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti anche sopravvenuti, non essendo a ciò ostativa la mancanza di una espressa previsione nell'art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Cass. 28.4.2010, n. 10222).

GIUDICE COMPETENTE: è funzionalmente competente il Tribunale ordinario in composizione collegiale (art. 50 bis, comma 2, c.p.c.).

La competenza per territorio è individuata secondo le regole ordinarie di cui all'art. 18 c.p.c. (foro generale delle persone fisiche) e, quindi, è competente il tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora (art. 18, comma 1, c.p.c.).

Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l'attore (art. 18, comma 2, c.p.c.).

Per le cause relative ai diritti di obbligazione è competente anche il giudice del luogo in cui deve essere eseguita l'obbligazione dedotta in giudizio (art. 12 quater legge n. 898/1970).

PARTECIPAZIONE del PM: l'intervento del p.m. è obbligatorio nelle cause di revisione degli assegni di mantenimento per i figli e delle disposizioni di affidamento (art. 9, comma 1, legge n. 898/1970).

ATTO INTRODUTTIVO: l'atto introduttivo riveste la forma del ricorso.

DECRETO FISSAZIONE UDIENZA: il Presidente del Tribunale ricevuto il ricorso fissa con decreto l'udienza, nomina il giudice relatore e fissa il termine perentorio entro cui il ricorso e il decreto deve essere notificato alla controparte.

TRATTAZIONE E ISTRUTTORIA: il giudice all'udienza, sentite le parti, provvede all'eventuale ammissione di mezzi istruttori e può delegare per l'assunzione uno dei suoi componenti (art. 710, comma 2, c.p.c.).

PROVVEDIMENTI PROVVISORI: ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunale può adottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne il contenuto nel corso del procedimento (art. 710, comma 3, c.p.c.).

INDAGINI DI UFFICIO: il potere del giudice di disporre indagini, anche d'ufficio, e di avvalersi della Polizia Tributaria per la determinazione degli assegni per il coniuge e per i figli è esercitabile anche nel procedimento di revisione del contributo per il mantenimento dei figli (Cass. 21.6.2000, n. 8417).

Se dalla documentazione prodotta e dalle dichiarazioni fiscali depositate da parte ricorrente, non risulta alcuna contrazione dei redditi dichiarati al tempo della sentenza di divorzio, la richiesta di revoca o riduzione dell'obbligo economico al mantenimento del coniuge non può essere accolta per mancanza di novità rilevanti in grado di giustificare una modifica delle condizioni.

Il provvedimento di revisione dell'assegno divorziale, difatti, postula non soltanto l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti (Cass. 2.5.2007, n. 10133).

PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO: il provvedimento conclusivo del procedimento ha la forma del decreto motivato che costituisce titolo esecutivo.

SPESE DI LITE: il giudice, con sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa (art. 91 c.p.c.).

Il ricorrente, assistito dal patrocinio a spese dello Stato, risultato soccombente nel ricorso da lui presentato per la modifica delle condizioni di divorzio, è condannato a rifondere le spese della lite, seguendo queste ultime comunque il principio della soccombenza (Trib. Milano, decr., 14.1.2009, n. 3972).

RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI DI MODIFICA: il decreto di modifica delle condizioni di separazione è impugnabile con reclamo entro 10 giorni decorrenti dalla notifica a cura della parte interessata da proporre con ricorso avanti alla Corte d'Appello territorialmente competente.

La Corte d'Appello decide il reclamo in camera di consiglio con decreto.

IMPUGNABILITA' DEL DECRETO IN APPELLO: il decreto camerale pronunciato dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il decreto del tribunale emesso ai sensi dell'art. 9 legge n. 898/1970 in sede di revisione delle condizioni di divorzio, è impugnabile soltanto con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. 15.9.2008, n. 23693).

SOSPENSIONE TERMINI PROCESSUALI: la disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale si applica al procedimento di revisione delle condizioni di divorzio. Anche quando si proceda per la revisione del contributo di mantenimento dei figli la sospensione è applicabile in quanto il diritto dei figli al mantenimento da parte dei genitori, anche dopo la separazione od il divorzio, non ha assolutamente natura alimentare (artt. 433 ss. c.c.) né ad essa assimilabile (Cass. 21.6.2000, n. 8417).

ESENZIONE FISCALE: i procedimenti diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 898/1970, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa (art. 19 legge 6.3.1987, n. 74).

 

PROCEDURA DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA DA AVVOCATO NELLA MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI DIVORZIO

 

CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA DA UN AVVOCATO: la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di modifica delle condizioni di divorzio (art. 6 D.L. 12 settembre 2014 n.132), conv. in L. n.162/2014. La convenzione può essere stipulata anche in presenza di figli minorenni, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti (art. 6, comma 2, D.L. 12 settembre 2014, n.132, conv. in L. n.162/2014)).

Contenuto della convenzione: la convenzione è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di almeno un avvocato per parte (art. 6 D.L. 12 settembre 2014, conv. in L. 162/2014). Gli avvocati delle parti devono essere iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 (art. 2 D.L. 12 settembre 2014, n.132, conv. in L. n.162/2014).

Il Ministero dell'Interno ha chiarito che il dato letterale della disposizione normativa, secondo cui, in materia di separazione e divorzio, la convenzione di negoziazione è conclusa con l'assistenza di “almeno un avvocato per parte”, preclude l'interpretazione tesa a consentire alle parti di avvalersi di un unico avvocato (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015).

La convenzione di negoziazione deve precisare:

a) il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti (art. 2 D.L. n. 132/2014 conv. in L. n.162/2014);;

b) l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili.

La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti che non po' essere inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti.

La convenzione di negoziazione deve essere conclusa con l'assistenza almeno un avvocato per parte e redatta, a pena di nullità, in forma scritta.

Gli avvocati certificano l'autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.

All'atto del conferimento dell'incarico è dovere deontologico degli avvocati informare il cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (art. 2 D.L. 12 settembre 2014, n.132 conv. in L.n. 162/2014).

 

ACCORDO RAGGIUNTO A SEGUITO DELLA CONVENZIONE: l'accordo raggiunto a seguito della convenzione deve essere sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono. Gli avvocati certificano l'autografia delle firme e la conformità dell'accordo alle nome imperative e all'ordine pubblico (art. 5 D.L. 12 settembre 2014, n.132 conv. in L.n. 162/2014).

Nell'accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare. Si deve dare atto, ove siano presenti figli,  altresì che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.

L'accordo raggiunto produce gli effetti e tiene luogo del provvedimento giudiziale che definisce il procedimento di modifica delle condizioni di divorzio (art. 6, comma 3, D.L. 12 settembre 2014, n.132, conv. in L.n. 162/2014).

L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5 del D.L. n.132/2014, conv. in L.n. 162/2014.

TRASMISSIONE DELL'ACCORDO AL PM PER NULLA OSTA IN MANCANZA DI FIGLI: In mancanza di figli  minorenni, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3 della legge 5 febbraio 1992, n.104, o economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso dall'avvocato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nulla osta per gli adempimenti successivi di cui al comma 6 dell'art. 3 del d.l. 132/2014, conv. in l. n.162/2014 che l'avvocato è chiamato ad ottemperare (obbligo per gli avvocati di trasmissione di copia autentica dell'accordo raggiunto all'ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto).
 
TRASMISSIONE DELL'ACCORDO AL PM PER AUTORIZZAZIONE IN PRESENZA DI FIGLI: Nel caso in cui, invece, l'accordo sia raggiunto in presenza di figli  minorenni, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, l'atto deve essere  trasmesso dall'avvocato, entro il termine di dieci giorni, al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente affinchè questi possa valutare l'accordo e autorizzarlo quando risponda agli interessi dei figli. Il Procuratore della Repubblica quando ritiene che l'accordo risponda all'interesse dei figli lo autorizza e, in tal caso, l'avvocato della parte dovrà trasmettere per le relative annotazioni, entro 10 giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso avvocato, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5 D.L. 132/2014 e autorizzato dal Procuratore della Repubblica.
 
Quando il Procuratore della Repubblica competente ritiene che l'accordo non risponda all'interesse dei figli lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale che, entro i successivi trenta giorni, fissa la comparizione delle parti e provvede senza ritardo (art. 6 comma 2, D.L. 13272014, conv. in L. n.162/2014). 
 
TRASMISSIONE DELL'ACCORDO ALL'UFFICIALE DELLO STATO CIVILE: L'avvocato della parte, ottenuto il nulla osta del Pm quando l'accordo è raggiunto in mancanza di figli, oppure l'autorizzazione del PM nel caso di accordo in presenza di figli, è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5 del D.L. n.132/2014 conv. in L. n.162/2014).

Il termine di 10 giorni entro il quale l'avvocato della parte è obbligato a trasmettere all'ufficiale di stato civile copia dell'accordo, decorre dalla data di comunicazione alle parti del provvedimento (nulla osta o autorizzazione del Procuratore della Repubblica o del Presidente del Tribunale a cura della segreteria o della cancelleria (in forza del principio generale, di cui all'art. 136 c.p.c., per cui tutti i provvedimenti resi fuori udienza devono essere portati a conoscenza delle parti mediante comunicazione) (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015 del 24 aprile 2015).
Alla trasmissione è sufficiente che provveda uno soltanto degli avvocati che abbia assistito uno dei coniugi ed ha autenticato la sottoscrizione (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015).

SANZIONI PER L'AVVOCATO: all'avvocato che viola l'obbligo di trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso avvocato, dell'accordo raggiunto a seguito della convenzione e munito delle relative certificazioni, è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000. Competente a irrogare la sanzione è il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall'art. 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (art. 6, comma 4, D.L. 12 settembre 2014, n.132, conv. in L.n. 162/2014).

Il Ministero dell'Interno ha precisato che alla trasmissione è sufficiente che provveda uno soltanto degli avvocati che ha assistito uno dei coniugi ed ha autenticato la sottoscrizione e che la sanzione amministrativa pecuniaria sarà, pertanto, applicata solo qualora nessuno dei due avvocati abbia provveduto alla trasmissione nel termine di 10 giorni dalla data di comunicazione alle parti  del provvedimento (nulla osta o autorizzazione) del Procuratore della Repubblica o del Presidente del tribunale a cura della segreteria o della cancelleria (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015).

TRASMISSIONE DELL'ACCORDO AL CONSIGLIO DELL'ORDINE: I difensori che sottoscrivono l'accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell'ordine circondariale del luogo ove l'accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell'ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati (art. 11 D.L. n. 132/2014, conv. in  L. n. 162/2014). 
ESECUTIVITA' DELL'ACCORDO: l'accordo di modifica delle condizioni di divorzio raggiunto a seguito della convenzione,  sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, munito delle relative certificazioni da parte dell'avvocato (autografia delle firme delle parti e certificazione della conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico), costituisce titolo esecutivo e titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale senza bisogno di alcun procedimento di omologazione giudiziaria (art. 5 D.L. n. 132/2014 conv. in L n.162/2014). Nel precetto l'accordo deve essere integralmente trascritto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, c.p.c. (art. 5, comma 2 bis, D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014). Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

 

RICHIESTA CONGIUNTA DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI DIVORZIO 
DAVANTI ALL'UFFICIALE DELLO STATO CIVILE

 

ACCORDO DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI DIVORZIO DAVANTI ALL'UFFICIALE DELLO STATO CIVILE: I coniugi possono concludere, innanzi al Sindaco quale all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio, con l'assistenza facoltativa di un avvocato un accordo di modifica delle condizioni di divorzio (art. 12 D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. in  L. n. 162/2014).

L'accordo non può essere concluso in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti (art. 12, comma 2, D.L. 12 settembre 2014, n.132, conv. in  L. n. 162/2014).

E' stato chiarito dal Ministero dell'Interno con circolare n.6/2015 che i coniugi che si avvalgono di tale procedimento non devono avere figli in comune che si trovino nelle condizioni richieste dall'articolo (figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti) mentre non è di ostacolo accedere al procedimento di modifica delle condizioni divorzio avanti all'Ufficiale di Stato civile l'eventuale presenza di figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti non comuni ma di uno soltanto dei coniugi richiedenti.

L'ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono modificare le condizioni di divorzio secondo condizioni tra di esse concordate. L'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (art.12, comma 3, D.L. n.132/2014 conv. In legge n. 162/2014).

Il Ministero dell'Interno con la circolare n.6/2015 ha precisato che nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio non rientra nel divieto della norma la previsione, nell'accordo concluso davanti all'ufficiale di stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico (c.d. assegno divorzile). Le parti, inoltre, possono richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle precedenti condizioni di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l'attribuzione di un  assegno di  divorzio o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa. Si tratta, precisa il Ministero, di disposizioni negoziali che determinano tra i coniugi l'insorgenza di un rapporto obbligatorio che non produce effetti traslativi su  di un bene determinato preclusi dalla norma. L'ufficiale dello Stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti senza entrare nel merito della somma consensualmente decisa, né della congruità della stessa. Non può invece costituire oggetto di accordo la previsione  della corresponsione, in unica soluzione, dell'assegno periodico di divorzio (c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o mobiliare) (Circolare Ministero dell'Interno n. 6/2015).

L'atto contenente l'accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni dei coniugi di voler modificare le condizioni di divorzio. L'accordo tiene luogo del provvedimento giudiziale che definisce il procedimento di modifica delle condizioni di divorzio (art. 12 D.L. 12 settembre 2014 n. 132 conv. in  L. n. 162/2014). Il diritto fisso da esigere da parte dei comuni all'atto della conclusione dell'accordo di modifica delle condizioni di divorzio ricevuto dall'ufficiale di stato civile del comune non può essere stabilito in misura superiore all'imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio dall'articolo 4 della tabella allegato A al decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 (Punto 11 bis delle norme speciali della Tabella D, allegata alla legge 8 giugno 1962, n.604, aggiunto dall'art. 12 D.L. 12 settembre 2014 n. 132, conv. in  L. n. 162/2014).

La procedura di richiesta congiunta di modifica delle condizioni di divorzio innanzi all'ufficiale dello stato civile all'ufficiale di stato civile è applicabile solo a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto 12 settembre 2014 n.132, conv. in  L. n. 162/2014).

 

POSIZIONE SUCCESSORIA DEL CONIUGE DIVORZIATO

PERDITA DELLO STATO DI CONIUGE: lo status di coniuge cessa con la sentenza di divorzio.

La perdita di tutti i diritti collegati alla posizione di coniuge ivi compresi i diritti successori conseguono dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio e non dalla sua annotazione. Tutti gli effetti della sentenza di divorzio, sia personali che patrimoniali, si producono tra le parti, i loro eredi o aventi causa, dal momento del suo passaggio in giudicato, secondo i principi generali contenuti negli artt. 2908 e 2909 c.c., mentre l'annotazione nei registri dello stato civile ha solo la funzione di renderne opponibili gli effetti ai terzi. Quindi nel caso di morte di uno dei coniugi la delazione di eredità in favore del coniuge superstite può aver luogo solo nel caso in cui la sentenza non sia ancora passata in giudicato alla data del decesso ma non nel caso in cui pur essendo la sentenza passata in giudicato manchi solo l'annotazione della sentenza nei registri dello stato civile.

ASSEGNO PERIODICO A CARICO DELL'EREDITA': in caso di decesso dell'obbligato, quando l'assegno di divorzio è versato mensilmente, il coniuge che lo riceve, qualora versi in stato di bisogno, potrà ottenere dal Tribunale un assegno periodico a carico dell'eredità, tenendo conto della somma percepita con l'assegno mensile, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche.

Competente a decidere sulla domanda è il Tribunale ordinario, in composizione collegiale (art. 50 bis c.p.c.) che procede in camera di consiglio.

I parametri cui il tribunale deve attenersi in sede di determinazione dell'assegno sono il bisogno del coniuge divorziato superstite e le sostanze ereditarie. L'assegno a carico dell'eredità costituisce un nuovo ed autonomo diritto, nascente dalla cessazione e dall'estinzione del diritto all'assegno di divorzio, che viene attribuito sulla base di presupposti e di condizioni non coincidenti con quelli che giustificavano l'assegno di divorzio.

L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali sono stati soddisfatti in un'unica soluzione. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in un'unica soluzione. Il diritto all'assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito (art. 9 bis legge n. 898/1970).

PENSIONE DI REVERSIBILITA'

PENSIONE DI REVERSIBILITA' PER MORTE DELL'EX CONIUGE: il coniuge, rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio, ha diritto alla pensione di reversibilità in caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità (art. 9, comma 2, legge n. 898/1970).

Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità (o a una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite) presuppone che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio, non essendo quindi sufficiente che l'ex coniuge versi nelle condizioni per ottenere l'assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un qualsivoglia assegno di mantenimento, ma occorre che l'assegno sia stato attribuito con provvedimenti giurisdizionali che abbiano attitudine ad attribuire un assegno di divorzio. Nel novero dei provvedimenti giurisdizionali che hanno attitudine ad attribuire un assegno di divorzio non rientrano i provvedimenti temporanei e urgenti previsti dall'art. 4, n. 8), della legge sul divorzio, diretti ad apprestare un regolamento essenziale e immediato al coniuge nella prospettiva del divorzio, con funzione anticipatoria rispetto alle statuizioni della sentenza di divorzio, la quale soltanto, ai sensi dell'art. 4, comma 10, della legge sul divorzio, in tale giudizio ha efficacia costitutiva rispetto all'assegno che uno degli ex coniugi debba all'altro per le esigenze proprie di quest'ultimo (Cass. 9.6.2010, n. 13899).

Poichè il presupposto dell'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità all'ex coniuge superstite è costituito dal riconoscimento in concreto e non in astratto del diritto all'assegno per effetto di una pronuncia giurisdizionale, non ha alcuna rilevanza la circostanza che detto provvedimento sia stato emesso dopo la morte del coniuge obbligato (Cass. 26 settembre 2019, n. 24041).

La corresponsione dell'assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, è satisfattivo di qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, il quale, quindi, non può avanzare successivamente ulteriori pretese di contenuto economico, né può essere considerato, all'atto del decesso dell'ex coniuge, titolare dell'assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o, in concorso con il coniuge superstite, a una sua quota (Cass. 5 maggio 2016, n. 9054) Le Sezioni Unite della Suprema Corte risolvendo un contrasto giurisprudenziale esistente sul punto hanno statuito che ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno, di cui all'articolo 5 della stessa legge 1 dicembre 1970 n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno divorzile, al momento della morte dell'ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un'unica soluzione (Cass. Sez. Un. Civili, 24 Settembre 2018, n. 22434). 

Condizione ulteriore per l'attribuzione della pensione di reversibilità e che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio (art. 9, comma 2, legge n. 898/1970). Il coniuge divorziato acquista un diritto soggettivo alla pensione di reversibilità da far valere direttamente nei confronti dell'ente previdenziale in mancanza di coniuge superstite che abbia i requisiti per la pensione di reversibilità.

In presenza di coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale al coniuge divorziato titolare di assegno di divorzio, tenendo conto della durata del rapporto. Se in tale condizioni si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze (art. 9, comma 3, legge n. 898/1970).

Nella ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra il coniuge superstite e l'ex coniuge occorre tener conto essenzialmente dell'elemento temporale costituito dalla durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali.

Tale criterio tuttavia, in forza del disposto della sentenza n. 419/1999 della Corte Costituzionale, non ha valore esclusivo, dovendo tenersi conto, in relazione alle particolarità del caso, anche di ulteriori parametri, quali l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato, le condizioni di ciascun coniuge, la convivenza prematrimoniale tra il coniuge superstite e il defunto ed ogni altra circostanza che renda necessario limitare il mero criterio matematico della durata legale dei matrimoni al fine di non privare il primo coniuge dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita garantitogli dalla percezione dell'assegno divorzile ed il secondo coniuge del tenore di vita assicuratogli dal coniuge. La quota di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, quindi, va quantificata tenendo presente non solo la durata dei matrimoni ma anche in base all'entità dell'assegno riconosciuto all'ex coniuge, alle condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (Cass. 5 luglio 2017, n. 16602). Non tutti tali elementi debbono necessariamente essere valutati in eguale misura, rientrando nella valutazione del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto. Si deve, inoltre, escludere che dall'applicazione del criterio temporale derivi l'impossibilità di attribuire una quota maggiore di pensione al coniuge il cui matrimonio sia stato di minor durata, essendo piuttosto da ritenere che la correzione del medesimo criterio temporale non possa giungere sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (Cass. 30.3.2004, n. 6272).

La decorrenza del trattamento di reversibilità, nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, ha inizio dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell'assicurato o del pensionato.

PENSIONE DI REVERSIBILITA' PER MORTE DI UN FIGLIO: in caso di genitori rispetto ai quali sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la pensione di reversibilità spettante ad essi per la morte di un figlio deceduto per fatti di servizio è attribuita automaticamente dall'ente erogante in parti eguali a ciascun genitore (art. 12 ter, comma 1, legge n. 898/1970).

Alla morte di uno dei genitori divorziati, la quota parte di pensione dallo stesso fruita si consolida automaticamente in favore dell'altro (art. 12 ter, comma 2, legge n. 898/1970).

Queste regole trovano applicazione sia in caso di pregresso rapporto di lavoro privato sia in caso di pregresso rapporto di lavoro pubblico (art. 12 ter, ult. comma, legge n. 898/1970).
SOSPENSIONE DELLA PENSIONE DI REVERSIBILITA' PER RINVIO A GIUDIZIO PER OMICIDIO VOLONTARIO NEI CONFRONTI DELL'ALTRO CONIUGE: il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile, per il quale sia stato richiesto il rinvio a giudizio per l'omicidio volontario nei confronti dell'altro coniuge divorziato, è sospeso dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all'indennita' una tantum  fino alla sentenza definitiva.
In caso di passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento, sono dovuti gli arretrati dal giorno della maturazione del diritto, ad eccezione dell'ipotesi in cui durante il periodo di sospensione la pensione sia stata corrisposta ai figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti (articolo 1, comma 1 bis legge 27.11.2011, n.125 introdotto dall'art. 7 della legge 11 gennaio 2018 n. 4).
Il giudice quando pronuncia sentenza di condanna per il delitto di omicidio, aggravato ai sensi dell'articolo 577, primo comma, numero 1), e secondo comma, del codice penale, condanna al pagamento, in favore dei figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti, di una somma di denaro pari a quanto percepito dal condannato, a titolo di indennità una tantum ovvero a titolo di pensione di reversibilità o indiretta, sino alla data della sospensione (articolo 1, comma 1 quinquies legge 27.11.2011, n.125 introdotto dall'art. 7 della legge 11 gennaio 2018 n. 4).
Corresponsione della pensione durante la sospensione in favore dei figli minorenni o maggiorenni:  I figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti, difatti, sono destinatari, senza obbligo di restituzione e per il solo periodo della sospensione, sino a quando sussistono i requisiti di legge per la titolarità in capo a loro del diritto allo stesso tipo di prestazione economica, della pensione di reversibilità o indiretta ovvero dell'indennità una tantum del genitore per il quale è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio per l'omicidio volontario dell'altro genitore.(articolo 1, comma 1 ter legge 27.11.2011, n.125 introdotto dall'art. 7 della legge 11 gennaio 2018 n. 4). 
Obbligo di comunicazione del PM all'Istituto di Previdenza: Con la richiesta di rinvio a giudizio o di giudizio immediato per il delitto di omicidio commesso contro il coniuge divorziato, ai sensi dell'articolo 577, primo comma, numero 1), e secondo comma, del codice penale, il pubblico ministero comunica senza ritardo all'istituto di previdenza l'imputazione, ai fini della sospensione dell'erogazione o del subentro dei figli ai sensi del comma 1-ter nella titolarità della pensione di reversibilità o indiretta ovvero dell'indennità una tantum. (Articolo 1, comma 1 Legge 27.11.2011, n. 125 introdotto dall'art. 7 della legge 11 gennaio 2018 n. 4). 

TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

DIRITTO DEL CONIUGE DIVORZIATO ALLA QUOTA DI T.F.R.: il coniuge nei cui confronti sia intervenuta sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze e titolare, in concreto, dell'assegno divorzile ha diritto a una quota del trattamento di fine rapporto percepito dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio (art. 12 bis, comma 1, legge n. 898/1970).

La locuzione 'indennità di fine rapportò comprende tutti i trattamenti di fine rapporto - derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato - comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro (Cass. 17.12.2003, n. 19309).

L'indennità così dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento dell'indennità totale percepita dall'altro coniuge alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale (art. 12 bis, comma 2, legge n. 898/1970). Va considerata la durata legale del matrimonio e non solo gli anni di effettiva convivenza rientrandovi anche i periodi di separazione (Cass. 25.6.2003, n. 10075).

Il diritto dell'ex coniuge a percepire una quota di T.F.R. sorge anche prima della sentenza di divorzio soltanto quando l'indennità spettante all'altro coniuge viene a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente a essa, mentre non spetta ove l'indennità sia maturata e sia stata percepita in data anteriore, come in pendenza del precedente giudizio di separazione, potendo in tal caso la riscossione dell'indennità incidere solo sulla situazione economica del coniuge tenuto a corrispondere l'assegno ovvero legittimare una modifica delle condizioni di separazione (Cass. 29.9.2005, n. 19046).

In caso di fallimento del coniuge il credito per la quota di indennità di T.F.R. è ammesso al passivo in via chirografaria. La domanda di ammissione al passivo, del coniuge nei confronti del fallimento dell'altro coniuge a titolo di percentuale sull'indennità di fine rapporto percepita da quest'ultimo, proposta durante la pendenza del giudizio per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio non ancora concluso, è ammessa con riserva (Trib. Milano, decr., 31.1.2008, n. 1652).

In caso di decesso dell'obbligato a corrispondere all'altro coniuge la quota del T.F.R. percepita all'atto della cessazione del rapporto di lavoro tale obbligo, ove sia rimasto inadempiuto, rientra nell'asse ereditario gravando sugli eredi del defunto. L'obbligo grava sul coniuge superstite quando il defunto sia passato a nuove nozze (Cass. 7.3.2006, n. 4867).

Nel caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte del dipendente, ai fini della ripartizione dell'indennità di fine rapporto tra coniuge divorziato e coniuge superstite del defunto, aventi entrambi i requisiti per la relativa attribuzione, va applicato il criterio della durata dei rispettivi matrimoni di cui all'art. 9, comma 3, legge n. 898/1970 previsto per la pensione di reversibilità. Pertanto analogamente a quanto previsto in materia di pensione di reversibilità si applica il consolidato principio secondo cui il criterio della durata dei rispettivi matrimoni non ha valore esclusivo, dovendo il giudice - in ragione del carattere solidaristico dell'istituto - valutare, in relazione al caso concreto, anche ulteriori elementi, quali l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, le condizioni di ciascun coniuge e ogni altra circostanza inerente alla particolarità della situazione (Cass. 19.9.2008, n. 23880). Il diritto del coniuge divorziato sorge esclusivamente nei confronti dell'ex coniuge e non anche nei confronti dell'ente erogatore dell'indennità.
Riferimenti: Legge(92) - Prassi(3) - Giurisprudenza(349) - Dossier Lex24(1) - Tutti(445)
Argomenti: coniuge - assegno - giudice
Avv. Antonino Sugamele

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