Padre condannato a versare alla figlia 67.000 euro per non aver adempiuto agli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione.-
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 14382/19
ORDINANZA sul ricorso iscritto al numero 16630 dell'anno 2017, proposto da C.F. (C.F.: ) rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall'avvocato Fabio Zanghi (C.F.: ZNG FBA 69D27 F158F) -ricorrente- nei confronti di D'A.C. A. (C.F.: ) rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall'avvocato Maurizio Igor Germanà (C.F.: GRM MRZ 58B09 F158K) -controricorrente- per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Messina n. 391/2017, pubblicata in data 10 aprile 2017; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 26 marzo 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo. Fatti di causa A. D'A.C. ha agito in giudizio nei confronti del padre F.C. per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dalla assunta violazione, da parte di quest'ultimo, dei suoi obblighi di genitore del ruolo generale (in particolare, di quello di mantenere, istruire ed educare la figlia). La domanda è stata accolta dal Tribunale di Messina, che ha liquidato l'importo di C 66.759,00 in favore dell'attrice, a titolo risa rcitorio. La Corte di Appello di Messina ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre F.C., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso A. D'A. C. Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di di-scussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1 n. 5) C.p.c.». Il motivo è infondato. 1.1 II primo dei fatti decisivi di cui il ricorrente lamenta l'omesso esame è costituito dalla condotta della madre dell'attrice, che avrebbe omesso di prendere atto delle pro-blematiche comportamentali della figlia e porvi rimedio (quanto meno sollecitando l'intervento di esso ricorrente, che si de-finisce genitore "assente"). Si tratta di una circostanza di fatto che non può in alcun modo ritenersi decisiva per l'esito della controversia. La responsabilità del genitore per i danni subiti dal figlio, in conseguenza del suo inadempimento ai propri obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza, non può ritenersi esclusa o limitata dalla circostanza che anche l'altro genitore possa non avere correttamente adempiuto ai rispetti-vi doveri. La responsabilità e gli obblighi derivanti dal rapporto di filia- zione (tra cui quello di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli) gravano su entrambi i genitori, non cer-to solo su quello convivente e, tanto meno, addirittura, solo su quello più attivamente "presente", come sembrerebbe rite-nere il ricorrente; di essi ciascun genitore risponde quindi in-tegralmente (né d'altra parte risulta nella specie proposta una azione di rivalsa o regresso nei confronti dell'altro genitore - che non è neanche parte del giudizio - per la eventuale sussi-stenza di una responsabilità concorrente nell'ambito di una eventuale pretesa obbligazione solidale). Secondo l'assunto del C., in conseguenza della sua "assen-za" come genitore, cioè in conseguenza del suo inadempimen-to ai propri doveri genitoriali, l'altro genitore sarebbe diventa-to l'unico a dover assumere in concreto l'obbligo di mantene-re, istruire ed educare la figlia, e quindi di intervenire tempe-stivamente - di fronte alle difficoltà di questa - per porre in essere i rimedi adeguati, onde evitare i danni poi dalla stessa risentiti. Si tratta di un assunto manifestamente infondato. Basti considerare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche « ... nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pro-nuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio na-turale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. 22.11.2013 n. 26205; Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass., 2.2.2006, n. 2328; Cass. 14.5.2003 n. 7386)» (Cass., Sez. 6 - 3, Sentenza n. 3079 del 16/02/2015, Rv. 634387 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012, Rv. 622138 - 01). È di tutta evidenza che, se gli obblighi di mantenimento, istru- zione, educazione ed assistenza gravano addirittura sul genitore naturale che non abbia riconosciuto il figlio, a maggior ragione essi graveranno su quello che sia rimasto semplice-mente "assente", cioè di fatto si sia sottratto all'adempimento dei suddetti obblighi senza alcuna ragione; quest'ultimo ri-sponderà quindi integralmente delle conseguenze del suo ina-dempimento. 1.2 Altrettanto infondata risulta la censura di omesso esame di un fatto decisivo, in relazione alla circostanza che l'attrice non avrebbe dimostrato di aver manifestato la volontà di pro-seguire gli studi universitari e di aver fatto inutilmente richie-sta al padre del necessario supporto economico. Si tratta di una censura che non coglie adeguatamente la ef-fettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto. I giudici di merito non hanno infatti imputato al C. di avere negato alla figlia il sostegno economico da questa richiesto al fine di proseguire gli studi universitari ma, in linea più genera-le, di non avere correttamente adempiuto ai propri obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della stessa, il che ha determinato difficoltà di vario genere nella serenità personale della ragazza e, complessivamente, nello sviluppo della sua personalità, tra le cui ulteriori conseguenze vi è stato anche quello della sua scelta di una anticipata interruzione degli stu-di. È d'altra parte appena il caso di sottolineare che, con riguardo alla questione della ricollegabilità, sotto il profilo causale, della prematura interruzione degli studi da parte dell'attrice all'inadempimento del C. ai propri obblighi di genitore, la sentenza svolge un accertamento di fatto, all'uopo valutando i fatti storici rilevanti emersi dall'istruttoria. Si tratta di un ac-certamento sostenuto da adeguata motivazione (non apparen-te né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, e come tale non censurabile in sede di legittimità), di modo che il mo-tivo di ricorso, per questo profilo, finisce per risolversi in una non consentita richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove. 2. Con il secondo motivo si denunzia «Violazione o falsa appli-cazione di norme di diritto con riferimento all'art. 360, comma 1 n. 3) C.p.c.». Il terzo motivo è rubricato «Sulla liquidazione del danno biolo-gico e del danno morale» Il secondo e il terzo motivo - entrambi relativi alla liquidazio-ne dei danni conseguenti all'inadempimento del ricorrente - sono connessi e, come tali, possono essere esaminati con-giuntamente. Essi sono inammissibili, ancor prima che infondati. 2.1 Nel ricorso non viene chiarito in modo specifico, con il puntuale richiamo del contenuto della sentenza di primo gra-do, come sia stata operata in concreto la liquidazione del dan-no complessivo (patrimoniale e non patrimoniale) da parte del tribunale (liquidazione che risulta integralmente confermata e fatta propria dalla corte di appello, la quale ha semplicemente ritenuto infondati i motivi di gravame avanzati in proposito). Il ricorrente non indica in modo chiaro e dettagliato né quali importi siano stati liquidati a titolo di danno patrimoniale e a titolo di danno non patrimoniale (e, per quest'ultimo, l'eventuale distinzione tra il danno biologico ed il danno mora-le), né i criteri in base ai quali è eventualmente avvenuta la li-quidazione di ciascuna posta di danno. Nell'esposizione sommaria del fatto contenuta nel ricorso si fa riferimento ad una liquidazione omnicomprensiva del tribuna-le, per l'importo di C 66.759,00, mentre nell'ambito del terzo motivo di ricorso si afferma che sarebbero stati liquidati C 14.500,00 a titolo di danno morale. Non vengono specificati i criteri utilizzati dal tribunale per liquidare ciascuna posta di danno e, nell'ambito dei motivi di ricorso in esame, neanche si chiarisce quali fossero le eventuali altre poste prese in considerazione e, in particolare, se e quanto fosse stato in concreto liquidato a titolo di danno patrimoniale e di danno biologico, ed in base a quali criteri. I motivi di ricorso in esame, relativi alla liquidazione dei danni, non possono, di conseguenza, essere esaminati nel merito, sussistendo un difetto di specificità del ricorso e un difetto di esposizione dei fatti di causa, che, ai sensi dell'art. 366, com-ma 1, n. 3 e 6, c.p.c., determinano di per sé la radicale i-nammissibilità delle relative censure. Anche a scopo di completezza espositiva, è comunque oppor-tuno osservare che, con riguardo al danno patrimoniale (og-getto del secondo motivo), contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la liquidazione dei pregiudizi "da perdita di chance" non può che avvenire attraverso il criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. e che i principi di diritto che giustifica-no l'applicazione di detto criterio di liquidazione, nel caso di specie, non possono ritenersi violati. La corte di appello ha infatti accertato che il convenuto non ha adempiuto al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educa-re la figlia che il suddetto inadempimento ha causato un complessivo disagio materiale e morale per quest'ultima e che da tale disagio sono derivate una serie di ulteriori conseguen-ze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale oltre che non pa-trimoniale, tra cui la scelta dell'attrice di interrompere anzi-tempo gli studi, che le ha certamente precluso delle possibilità di realizzazione professionale, con rilievo anche economico. In tale situazione, sussistendo la prova del danno (anche pa-trimoniale) e mancando la ragionevole possibilità di dimostra-re la sua precisa entità, risulta certamente consentita la liqui-dazione di esso in via equitativa. La censura relativa alla liquidazione del danno non patrimo-niale (terzo motivo) non coglie invece la effettiva ratio deci-dendi della sentenza impugnata.
Nel ricorso risultano infatti semplicemente reiterati i motivi di gravame che, come emerge dalla stessa sentenza impugnata, erano stati avanzati in secondo grado, ma non vi è alcuna specifica censura relativa al contenuto della decisione della corte di appello, che i suddetti motivi ha espressamente riget-tato, ritenendo adeguatamente dimostrato il pregiudizio mora-le ed il pregiudizio all'integrità psichica subito dall'attrice in conseguenza dell'inadempimento del padre ai propri obblighi di genitore (risultante del resto dalla consulenza tecnica di uf-ficio espletata), ritenendo invece sforniti di prova gli assunti dell'appellante sull'esistenza di concause nella determinazione dei disagi psicologici di quest'ultima e giudicando, in definiti-va, sostanzialmente corretta la liquidazione in concreto degli indicati danni (anche non patrimoniali) da parte del tribunale. Anche sotto questo profilo, il ricorso risulta quindi difettare della necessaria specificità. 3. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibi-lità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228. per questi motivi La Corte: - rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi C 8.000,00, oltre C 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (ri- getto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ri-corso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, in data 26 marzo 2019.
28-05-2019 23:19
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