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Sentenza

Fondo patrimoniale.
Fondo patrimoniale.
Cass. civ. Sez. VI - 3, Ord., (ud. 13-07-2017) 28-11-2017, n. 28431
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE 
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele - Presidente -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27247/2015 proposto da:
T.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio dell'avvocato RAFFAELE BONFIGLIO, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'avvocato LORENZO RIGHI;
- ricorrente -
contro
BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA S.P.A., in persona del suo Procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OMBRONE 14, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE CAPUTI, rappresentata e difesa dall'avvocato GIORGIO ALESSANDRO GALBIATI;
- controricorrente -
e contro
C.M.C.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 3581/2015 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 17/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Svolgimento del processo

che:
nel 2013 la società Banco di Desio e della Brianza S.p.A. convenne dinanzi al Tribunale di Monza T.A.L. e C.M.C., esponendo:
(-) di essere creditrice di due società commerciali, la Later S.r.l. e la Archater S.r.l.;
(-) i debiti delle due società erano stati garantiti con fideiussione dai coniugi C.M.C. e da T.A.L.;
(-) il (OMISSIS) i convenuti avevano fatto confluire tutti i propri beni immobili in un fondo patrimoniale;
(-) la costituzione del fondo patrimoniale era avvenuta in frode delle ragioni creditizie della banca;
la società attrice concluse chiedendo pertanto che fosse dichiarata l'inefficacia della costituzione del fondo patrimoniale nei propri confronti, ai sensi dell'art. 2901 c.c.;
i convenuti si costituirono negando che al momento della costituzione del fondo patrimoniale, essi fossero consapevoli del pregiudizio recato alle ragioni creditorie della banca;
con sentenza 9 luglio 2014 n. 2099, il Tribunale di Monza accolse la domanda attorea;
la Corte d'appello di Milano, adita dai soccombenti, con sentenza 17 settembre 2015 n. 3581, rigettò l'appello;
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d'appello ritenne che:
(-) la costituzione del fondo patrimoniale è un atto dispositivo a titolo gratuito, e come tale soggetta all'azione revocatoria ordinaria;
(-) la sussistenza del requisito della scienti a danni in capo ai disponenti era desumibile da indizi gravi, precisi e concordanti: il fondo venne costituito dopo 15 anni di matrimonio; i coniugi potevano liberamente disporre dei beni conferiti nel fondo, anche in pregiudizio degli interessi dei figli; i coniugi potevano alienare, ipotecare, costituire in pegno i beni del fondo patrimoniale senza alcuna autorizzazione giudiziale;
(-) gli appellanti non avevano dimostrato che il loro patrimonio fosse di consistenza tale da risultare comunque sufficiente, anche dopo la costituzione del fondo patrimoniale, a soddisfare le ragioni della banca; nè poteva ammettersi, su tale questione, una consulenza tecnica d'ufficio come richiesto dagli appellanti, poichè tale atto istruttorio avrebbe avuto una funzione puramente esplorativa;
la sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da T.A.L., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria;
ha resistito con controricorso la Banco di Desio e della Brianza S.p.A., il cui credito, per effetto di successive fusioni e cessioni, è pervenuto da ultimo alla società MBCredit Solutions S.p.A.. 

Motivi della decisione

che:
col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 2901 e 2729 c.c.); sia dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134);
nell'illustrazione del motivo il ricorrente sottopone a censura gli elementi indiziari dai quali, con un ragionamento presuntivo, la Corte d'appello ha desunto la prova dell'esistenza della scientia damni;
sostiene che la circostanza di aver costituito un fondo patrimoniale dopo 15 anni dalla celebrazione del matrimonio è di per sè insignificante, sia perchè consentita dalla legge, sia perchè quattro anni dopo la costituzione del fondo patrimoniale i coniugi T. e C. si separarono consensualmente, circostanza teoricamente idonea a dimostrare come il fondo patrimoniale venne costituito in un momento di crisi coniugale, per garantire i futuri bisogni della famiglia ; soggiunge poi il ricorrente che al momento della costituzione del fondo patrimoniale i figli minori della coppia avevano "raggiunto l'età in cui appare opportuno considerare i futuri maggiori costi di  mantenimento ";
ancora, sostiene il ricorrente che la circostanza che i coniugi potessero disporre dei beni fatti confluire nel fondo patrimoniale fosse anch'essa inidonea a dimostrare l'elemento della scientia damni in capo ai disponenti, essendo tale possibilità consentita dall'art. 169 c.c.;
tali rilievi vengono riassunti dall'osservazione secondo cui il ricorso alla prova indiziaria da parte della corte d'appello non è sorretto "da una congrua e coerente motivazione";
sotto altro profilo, il ricorrente deduce che la Corte d'appello ha omesso di esaminare un fatto decisivo: ovvero che al momento della costituzione del fondo patrimoniale (2008) l'odierno ricorrente non poteva nè sapere, nè prevedere che proprio in quell'anno si sarebbe verificata una crisi finanziaria di portata mondiale, in conseguenza della quale la Banca di Desio gli avrebbe richiesto un aumento delle garanzie fideiussorie già prestate;
nella parte in cui lamenta la "contraddittorietà ed inadeguateua della motivazione", il motivo è manifestamente inammissibile, dal momento che il vizio di motivazione non costituisce motivo di ricorso per cassazione, per effetto delle modifiche apportate all'art. 360 c.p.c., dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (salvo il caso, qui non ricorrente, di motivazione totalmente mancante od assolutamente inintelligibile);
nella parte in cui lamenta l'omesso esame d'un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo è infondato;
le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nel chiarire cosa debba intendersi per "omesso esame d'un fatto decisivo", hanno stabilito che "l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti";
nel caso di specie, il fatto costitutivo della pretesa attorea era l'esistenza della scientia damni, e tale fatto è stato debitamente preso in esame dalla Corte d'appello; la circostanza, poi, che questa abbia ritenuto di dare maggior peso ad alcuni elementi istruttori (epoca di costituzione e contenuto del fondo patrimoniale), e meno ad altri (imprevedibilità della crisi finanziaria), costituisce oggetto di una valutazione squisitamente di merito, non sindacabile in questa sede;
nella parte in cui lamenta la violazione di legge, infine, il motivo è manifestamente inammissibile;
stabilire se il debitore, al momento della stipula d'un atto dispositivo, sapesse o non sapesse di poter nuocere con esso alle ragioni del creditore, costituisce un accertamento in fatto, non una valutazione in diritto, con la conseguenza che gli apprezzamenti del giudice di merito su questo punto non sono sindacabili in sede di legittimità;
nel caso di specie, per contro, il ricorrente richiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi indiziari già valutati dalla Corte d'appello, sostenendo che essi si sarebbero dovuti valutare altrimenti, rispetto a quanto fatto dalla Corte d'appello: richiesta, con tutta evidenza, vòlta a sollecitare una vera e propria rivalutazione della prova indiziaria;
non giova alla prospettazione del ricorrente il precedente di questa Corte, da esso invocato nella memoria depositata ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., ovvero Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008;
con tale sentenza si è ammesso in linea teorica che l'errore del giudice di merito, il quale abbia ritenuto gravi, precisi e concordanti indizi in realtà privi di tali requisiti, possa essere censurato in sede di legittimità, ma chiarendo che ciò può avvenire soltanto entro limiti ben precisi:
(a) in primo luogo, la censura deve propriamente consistere nell'allegazione che il giudice di merito abbia attribuito quei tre caratteri a fatti che ne erano privi, ovvero li abbia negati a fatti che li possedevano;
(b) in secondo luogo, la censura deve indicare:
(b1) le ragioni per le quali manchi il requisito della gravità, e ciò va fatto spiegando perchè da un certo fatto noto non derivasse con elevata probabilità il fatto (ignorato) ritenuto dal giudice;
(b2) le ragioni per le quali manchi il requisito della precisione, e ciò va fatto indicando quali e molteplici fatti ignorati potevano in teoria desumersi da quel fatto noto, in aggiunta ed oltre quello ritenuto dal giudice;
(b3) le ragioni per le quali manchi il requisito della concordanza, e ciò va fatto indicando gli elementi probatori dissonanti;
nel caso di specie, però, il ricorso da un lato non contiene tali indicazioni (che ovviamente non possono essere integrate dalla memoria), e dall'altro non ha mai dedotto un vizio di sussunzione, ma semplicemente invocato una nuova ed ulteriore valutazione degli indizi rispetto a quella, non implausibile, compiuta dal giudice di merito;
col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3; denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 143 e 2901 c.c.;
il ricorrente nella illustrazione di questo motivo sostiene che la costituzione di un fondo patrimoniale non costituisce un atto a titolo gratuito, perchè attraverso essa i coniugi adempiono l'obbligo di contribuire ai bisogni della  famiglia; esso, pertanto, costituisce un atto di adempimento, o solutorio, e potrebbe essere revocato solo previa dimostrazione della scientia fraudis;
infine, con censura concettualmente autonoma, il ricorrente sostiene che il conferimento di un bene immobile in un fondo patrimoniale non costituisce un atto dispositivo, perchè costituisce sul bene soltanto un vincolo di destinazione, senza mutarne la proprietà;
il motivo è manifestamente inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., in quanto sostiene argomenti contrastanti con un ventennale e consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito anche se effettuata da entrambi i coniugi, non sussistendo, neanche in tale ipotesi, alcuna contropartita in favore dei costituenti; essa può pertanto essere dichiarata inefficace, nei confronti dei creditori, a mezzo di azione revocatoria ordinaria, in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni (art. 170 c.c.), così riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti (così già Sez. 1, Sentenza n. 2604 del 18/03/1994, in seguito sempre conforme fino a Sez. 3, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017);
le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo;
il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17). 

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna T.A.L. alla rifusione in favore di MBCredit Solutions s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 10.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di T.A.L. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 13 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2017
Avv. Antonino Sugamele

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