Assegno di mantenimento. Separazione.
Assegno di mantenimento. Separazione.
Cassazione Civile, Sez. I, 16 maggio 2017, n. 12196 - Pres. Di Palma - Rel. Campanile - B.S. c. BA. MI.
Fatti di causa
1. Con ricorso depositato in data 4 novembre 2009 la
signora Ba. Mi. chiedeva che il Tribunale di Milano
pronunciasse la separazione personale dal marito B.S.,
con il quale era coniugata dal (Omissis). Venivano chiesti:
la separazione personale con addebito al marito, nonché
l'assegnazione della casa coniugale e un assegno di mantenimento
pari a tre milioni e seicentomila Euro mensili.
2. Il convenuto, costituitosi, contestava la fondatezza della
domanda di addebito, che proponeva a sua volta in via
riconvenzionale nei confronti della moglie; eccepiva
altresì la carenza dei presupposti per l'assegnazione della
casa coniugale, in quanto i tre figli nati dal matrimonio
erano ormai maggiorenni ed autosufficienti sul piano
economico, nonché la disponibilità, in capo alla moglie,
di risorse patrimoniali tali da escludere un contributo per il
proprio mantenimento.
3.Nell'adottare i provvedimenti previsti dall'art. 708 c.p.c.,
il Presidente, attesa la permanenza della ricorrente nella
casa coniugale in assenza dei presupposti per l'assegnazione,
ritenuta la carenza del potere di fissare un termine per il
relativo rilascio, determinava in Euro 50.000 mensili il
contributo dovuto fino al rilascio dell'abitazione, e in un
milione di Euro l'assegno per il periodo successivo.
4. Successivamente, avendo le parti rinunciato alle reciproche
domande di addebito, ed essendosi ritenuta la
causa matura per la decisione, con sentenza depositata
in data 27 dicembre 2012, il Tribunale adito dichiarava la
separazione personale dei coniugi, ponendo a carico del
marito, a titolo di contributo per il mantenimento della
Ba., un assegno mensile di tre milioni di Euro, con decorrenza
dalla data dell'udienza presidenziale.
5. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello
di Milano, in parziale accoglimento del gravame proposto
dal B., ha determinato l'assegno di mantenimento in
favore della Ba. in Euro cinquantamila mensili con decorrenza
dalla domanda fino al settembre del 2010, ed in due
milioni di Euro mensili per il periodo successivo, ponendo
a carico dell'appellante le spese processuali, compensate,
nel resto, nella misura di due terzi.
6. La Corte distrettuale ha disatteso preliminarmente
l'eccezione dell'appellante fondata su un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 156 c.c., nel senso
che l'assegno di mantenimento, in considerazione della
posizione preminente assegnata alla dignità del lavoro
nella Costituzione, inconciliabile con l'acquisizione di
posizioni economiche immeritate, non potrebbe superare
una determinata soglia; ha ritenuto poi manifestamente
infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale di
detta norma, sollevata in riferimento agli artt. 1, 4, 36 e
38 Cost., affermando che un bilanciamento dei valori del
lavoro e della famiglia non esclude che, in caso di separazione
giudiziale, la misura dell'assegno di mantenimento
sia stabilita non con riferimento a una determinata attività
lavorativa, bensì in maniera tale da consentire al coniuge
privo di adeguati redditi propri di mantenere, considerate
le capacità dell'obbligato, un tenore di vita tendenzialmente
analogo a quello goduto nel periodo di convivenza
matrimoniale.
7. Passando all'esame del merito alla luce delle contestazioni
mosse dall'appellante alla sentenza di primo grado, si
è osservato che non risultava corrispondente al vero che il
Tribunale non avesse tenuto conto della posizione reddituale
della Ba. quale socia unica delle società “Il Poggio” e
“Reality Corp”, proprietarie di cespiti in (Omissis): il
giudice di prime cure, all'esito della valutazione comparata
delle situazioni patrimoniali e reddituali di entrambi i
coniugi, pur non escludendo che i beni dell'appellata
producessero un reddito annuo di un milione e
400.000,00 Euro e pur considerando l'entità del patrimonio
della moglie, aveva correttamente constatato una
rilevante disparità fra i redditi e i patrimoni dei due
coniugi. Sotto tale profilo sono state richiamate le classifiche
Forbes, che collocavano, sia pure in maniera differenziata
fra le varie annualità, il B. fra gli uomini più ricchi
del mondo, con un patrimonio di vari miliardi di dollari,
essendo per altro proprietario di numerose ville prestigiose
e usufruendo di un reddito medio annuo, sulla base delle
ultime dichiarazioni fiscali, pari a 53 milioni di Euro.
8. La Corte di appello ha inoltre evidenziato che lo stesso
appellante, nel corso del giudizio di primo grado, aveva
ammesso, a fronte delle deduzioni istruttorie della controparte,
di aver garantito alla moglie un tenore di vita
assolutamente al di fuori di ogni norma, mettendole a
disposizione, nella villa di (Omissis), adibita a casa coniugale,
un maggiordomo e una segretaria personale, cuochi,
autisti, cameriere e guardarobiere, nonché versandole
ogni mese, solo come “argent de poche”, la somma di
Euro cinquantamila.
9. Sulla base di tali dati, pur in assenza della determinazione
dell'esatto ammontare dei relativi importi, la Corte
territoriale ha confermato il giudizio di inadeguatezza dei
mezzi di cui disponeva la Ba. al fine di conseguire il tenore
di vita tenuto durante la convivenza coniugale, con conseguente
diritto, tenuto conto delle evidenziate disponibilità
del coniuge, all'assegno di mantenimento.
10. Passando all'esame delle doglianze relative alla quantificazione
del contributo, la Corte di appello le ha condivise
in parte, considerando che, essendo uno dei temi
centrali della controversia la perdita per la moglie del
godimento della casa coniugale, costituita dalla villa
(Omissis) di (Omissis), la stessa non aveva allegato le
circostanze inerenti all'abitazione da lei prescelta dopo il
rilascio di detta villa, né poteva ritenersi che l'assegno
dovesse essere commisurato alle ingenti spese sostenute
per la gestione di tale casa coniugale, anche perché la
stessa era funzionale al soddisfacimento delle esigenze di
un'intera famiglia, e non della sola Ba..
11. Sotto tale profilo, la somma determinata dal Tribunale
appariva eccessiva: la Corte di appello ha quindi ritenuto
congruo-considerati, da un lato, l'elevatissimo tenore di
vita goduto durante la convivenza matrimoniale e, dall'altro,
la lunga durata del rapporto matrimoniale e il
contributo morale e affettivo reso dalla moglie all'intera
famiglia, la dedizione alla cura della prole, nonché l'impossibilità
per l'appellata di riprendere l'attività di attrice
abbandonata, con il consenso del coniuge, molti anni
prima-un assegno di due milioni di Euro mensili, che
certamente il B., così come nel periodo anteriore alla
separazione, era in grado di versare.
12. La corresponsione dell'assegno nell'indicata misura è
stata fatta decorrere, in riforma della decisione di primo
grado, dal settembre dell'anno 2010, in coincidenza con la
cessazione del godimento della casa coniugale, rimanendo
ferma, per il periodo anteriore, la somma determinata
all'esito dell'udienza presidenziale.
13. Per la cassazione di tale decisione B.S. propone ricorso,
affidato a tre motivi, cui la parte intimata resiste con
controricorso. Sono state depositate memorie da ambedue
le parti, ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, si denuncia omesso esame di un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla ritenuta
incapacità della moglie di produrre reddito sulla base
dell'attività di attrice, senza considerare l'effettiva attività
imprenditoriale attualmente svolta dalla stessa.
1.1. In via incidentale, viene riproposta l'eccezione di illegittimità
costituzionale dell'art. 156 c.c. in relazione agli artt.
1, 2, 3, 4, 36 e 38 Cost., nella parte in cui detta norma non
prevede che l'obbligo solidaristico ivi disciplinato debba
essere commisurato ai redditi riconosciuti ai lavoratori e,
in ogni caso, in misura non superiore a tali redditi.
2. La natura ancipite della censura impone una distinta
disamina dei profili in essa prospettati. Appare in ogni caso
opportuno premettere che l'applicabilità, ratione temporis,
dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione
introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito
in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012,
n. 134, art. 1, comma 1, che ha ridotto al “minimo
costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione,
nel senso già chiarito da questa Corte (Cass., Sez.
Un., 7 aprile 2014, n. 8053), secondo cui la lacunosità e la
contraddittorietà della motivazione possono essere censurate
solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in
una sostanziale omissione, riduce i margini del sindacato di
legittimità, limitato alla verifica dell'esame del “fatto
controverso” da parte del giudice del merito.
2.1. In particolare, nella decisione sopra richiamata sono
stati affermati i seguenti principi.
2.1.1. La riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 - secondo
cui è deducibile esclusivamente l'“omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti” - deve essere interpretata come riduzione
al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione
in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale
denunciabile in sede di legittimità è solo quella
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé,
come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal
confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con
esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza,
nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale
e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile
fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
2.1.2. Il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,
introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne
l'omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza
o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a
dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia).
2.1.3. L'omesso esame di elementi istruttori non integra di
per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, benché la sentenza non
abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la
parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto
delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6,
e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 - il “fatto storico”, il cui
esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale,
da cui ne risulti l'esistenza, il “come” e il “quando” (nel
quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione
tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
2.2. La prima doglianza non appare condivisibile, in
quanto nella sentenza impugnata la circostanza che costituisce
l'oggetto specifico della censura del ricorrente è
stata accuratamente esaminata.
In particolare, la Corte territoriale, dopo aver richiamato
(pag. 23), fra gli altri, il motivo di appello secondo cui il
giudice di primo grado “avrebbe erroneamente ritenuto
che l'appellata non sia titolare di alcun reddito, nonostante
essa sia socia unica della S.r.l. il Poggio avente un
patrimonio di 78 milioni di Euro....”, ha disatteso il motivo
di gravame, osservando che “non risponde al vero che il
primo giudice abbia ritenuto che l'appellata non sia titolare
di alcun reddito” e, precisando, al riguardo, che la
stessa Ba. aveva asserito “di essere socia unica della società
Il Poggio, e per il tramite di questa, della società Reality
Corp di New York, proprietarie entrambe di cespiti in
Italia, Stati Uniti ed Inghilterra, pur aggiungendo che uno
dei cespiti - il palazzo (Omissis) - è gravato da un mutuo di
venti milioni di Euro e che vari conduttori avevano
comunicato la volontà di recesso”.
2.3. Il tema del reddito derivante dalla suddetta partecipazione
societaria risulta, pertanto, esaminato nella sentenza
impugnata e, come si dirà appresso, valutato nel contesto
delle complessive risultanze processuali: assume un aspetto
meramente terminologico la differenza fra la prospettazione,
nel ricorso in esame, dello svolgimento, da parte
dell'intimata, di una vera e propria attività imprenditoriale,
rispetto alla percezione dei redditi derivanti dalla suddetta
partecipazione societaria. Per il vero, il possesso della qualità
di sociononequivale ad esercizio diimpresa, néil tenore
dell'atto di appello (trascritto in parte qua a pag. 17 del
ricorso) depone nel senso della qualifica di imprenditrice in
capo alla Ba., essendosi sostenuto, per contestare la dichiarazione
della stessa di essere “casalinga”, che “nella sua
qualità di socio unico di Il Poggio S.r.l. ben più opportunamente
potrebbe qualificarsi come immobiliarista”.
2.4. Al di là degli aspetti di natura formale, deve rimarcarsi
che la Corte distrettuale ha esaminato ogni aspetto della
posizione patrimoniale e reddituale dell'intimata, rapportandola
poi a quella del marito, ed ha conclusivamente
osservato che “pur volendo accettare le stime del patrimonio
della Ba. operate dall'odierno appellante; pur
tenendo in considerazione anche il valore della villa di
(Omissis), dalla Ba. donata alla madre; pur non volendo
prestar fede alle asserite disdette dei conduttori, la disparità
tra i patrimoni e redditi dei due coniugi rimane molto
rilevante”. Nell'espressione di tale giudizio si condensa
l'essenza della controversia in esame: a seguito delle
rinunce alle reciproche domande di addebito e delle
ammissioni delle parti in ordine a determinati aspetti di
natura fattuale, il contraddittorio si è concentrato essenzialmente
sulla concreta determinazione del contributo al
mantenimento della moglie, nel cui ambito ha assunto un
ruolo centrale la questione - esaminata dalla Corte di
appello e risolta in termini parzialmente adesivi alla tesi
in proposito sostenuta dall'appellante B. - concernente la
mancata assegnazione alla moglie della villa di (Omissis),
sia per l'insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 337-
sexies c.c., sia per la mancata adesione, da parte della stessa
Ba., all'ipotesi conciliativa che prevedeva la disponibilità
in suo favore di tale bene immobile e un assegno annuo di
otto milioni di Euro.
2.5.Non può, pertanto, ritenersi che vi sia stato un omesso
esame nei termini lamentati dal ricorrente e riconducibili
alla previsione normativa applicabile nel caso, dovendosi
ribadire che l'omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,
qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
(Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498).
3. Prescindendo, per ora, dagli ulteriori aspetti inerenti
alla ricostruzione dei termini fattuali della vicenda, investiti
dai motivi di ricorso che saranno appresso esaminati,
va osservato che, sia pure rapportato a una vicenda che, per
l'eccezionale rilevanza della consistenza patrimoniale e
reddituale dell'obbligato, non trova alcun riscontro,
quanto meno sotto il profilo quantitativo, nelle controversie
in materia di separazione personale dei coniugi che
emergono dalla quotidiana esperienza giurisprudenziale,
l'orientamento consolidato di questa Corte in merito
all'interpretazione dell'art. 156 c.c., comma 1, risulta
correttamente applicato nella decisione in esame. Tale
norma dispone che “il giudice, pronunziando la separazione,
stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile
la separazione il diritto di ricevere dall'altro
coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora
egli non abbia adeguati redditi propri”.
3.1. Mette conto di rimarcare sin d'ora la profonda differenza
fra il dovere di assistenza materiale fra i coniugi
nell'ambito della separazione personale e gli obblighi
correlati alla c.d. “solidarietà post-coniugale” nel giudizio
di divorzio: nel primo caso, il rapporto coniugalenonviene
meno, determinandosi soltanto una sospensione dei
doveri di natura personale, quali la convivenza, la fedeltà
e la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura
patrimoniale - con particolare riferimento all'ipotesi,
come quella in esame, di non addebitabilità della separazione
stessa - non vengono meno, pur assumendo forme
confacenti alla nuova situazione.
Per quanto in questa sede maggiormente rileva, l'obbligo
di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento
di un assegno di mantenimento in favore del
coniuge che versa in una posizione economica deteriore e
non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore
di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche
dei coniugi. Sotto tale profilo, secondo il consolidato
orientamento di questa Corte, con l'espressione
“redditi adeguati” la norma ha inteso riferirsi al tenore
di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi
(Cass. 24 aprile 2007, n. 9915); tale dato, non ricorrendo
la condizione ostativa dell'addebito della separazione,
richiede un'ulteriore verifica per appurare se i mezzi economici
di cui dispone il coniuge richiedente gli
consentano o meno di conservare tale tenore di vita.
L'esito negativo di detto accertamento impone, poi, di
procedere a una valutazione comparativa dei mezzi di cui
dispone ciascun coniuge, nonché di particolari circostanze
(cfr. art. 156 c.c., comma 2), quali, ad esempio, la durata
della convivenza.
3.2.LaCorte di appello si è conformata a tale orientamento,
in quanto, dopo aver dato atto, in merito al tenore di vita,
che l'appellante aveva ammesso, al fine di dimostrare l'inutilità
delle richieste istruttore della moglie, di aver consentito
alla stessa “un tenore di vita assolutamente al di fuori di
ogni norma”, definendo poi il proprio patrimonio “ultracapiente”,
è pervenuta alla conclusione che laBa. non potesse
con i propri mezzi conseguire il tenore di vita analogo a
quello goduto durante la convivenza matrimoniale, escludendo,
poi, chetale aspirazione comportasse la realizzazione
di una scopo eccessivamente consumistico o comunque
destinato alla capitalizzazione o al risparmio.
3.3.Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve constatarsi
che non risulta violato il dettato normativo di riferimento
nell'interpretazione costantemente resane da questa Corte,
dovendosi precisare che, una volta verificata la corretta
applicazione di tali principi, la determinazione in concreto
dell'assegno di mantenimento costituisce una questione
riservata al giudice del merito, non sindacabile in sede di
legittimità se non sotto il profilo della motivazione, per la
quale, per altro, valgano le richiamate limitazioni derivanti
dall'attuale formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
4. Tanto premesso, non può omettersi di evidenziare che,
in relazione alla censura in esame, lo stesso ricorrente non
ha in alcun modo dedotto, ai sensi dell'art. 360 c.c.,
comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione della
suddetta norma, avendo al contrario prospettato, in termini
non dissimili da quelli già indicati nel corso del
giudizio di merito, la eccezione di illegittimità costituzionale
dell'art. 156 c.c.. Tale disposizione, consentendo al
coniuge beneficiario dell'assegno di percepire somme
superiori a qualsiasi lavoratore, così eccedendo la possibilità
di godere di un'esistenza libera e dignitosa (art. 36
Cost.), si porrebbe in maniera irrazionale in contrasto con
il principio solidaristico sancito dalla Carta costituzionale,
privilegiando uno status sociale e così consentendo al
coniuge beneficiario di sottrarsi, per altro percependo,
senza espletare alcuna attività, somme eccedenti la possibilità
di mantenere un'esistenza libera e dignitosa, al
dovere di contribuire al progresso sociale per il tramite
della propria attività lavorativa. Inoltre, ponendosi gli
obblighi sanciti da detta norma solo a carico del coniuge
onerato, risulterebbe violato il principio di uguaglianza.
4.1. A sostegno della fondatezza della eccezione viene
richiamata un'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale
in merito alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6,
che in maniera analoga prevede, nell'interpretazione prevalente,
il riferimento, ai fini della determinazione dell'assegno
di divorzio, al tenore di vita degli ex coniugi
durante la convivenza matrimoniale.
4.2. Vale bene evidenziare in via preliminare la sostanziale
diversità del contributo in favore del coniuge separato
dall'assegno divorzile, sia perché fondati su presupposti
del tutto distinti, sia perché disciplinati in maniera autonoma
e in termini niente affatto coincidenti.
Premesso che, come già rilevato, la separazione personale
dei coniugi, a differenza dello scioglimento del matrimonio
o della cessazione dei suoi effetti civili non elide, anzi
presuppone, la permanenza del vincolo coniugale, deve
ribadirsi che il dovere di assistenza materiale, nel quale si
attualizza l'assegno di mantenimento, conserva la sua
efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce una dei
cardini fondamentali del matrimonio enonpresenta alcun
aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi
anche temporanea, di separazione.
4.3. Altrettanto non può affermarsi in merito alla
solidarietà post-coniugale alla base dell'assegno di
divorzio: al riguardo, è sufficiente richiamare la
recente sentenza di questa Corte n. 11504 del 10
maggio 2017, le argomentazioni che la sorreggono
(e, in particolare, il n. 2.2., lett. A, pag. 8) ed i
principi di diritto con essa enunciati.
4.4. Passando all'esame della questione inerente all'assegno
dimantenimento previsto dall'art. 156 c.c., che violerebbe i
parametri costituzionali indicati nel ricorso, in quanto
includerebbe fra le conseguenze patrimoniali del vincolo
matrimoniale - come sopra evidenziato, persistenti nel
regime di separazione personale - delle contribuzioni a
carico dell'onerato del tutto avulse dall'attività svolta dall'altro
coniuge, deve in primo luogo rilevarsi che la norma,
nell'interpretazione costantemente resane da questa Corte,
non è intesa a promuovere, come sembra sostenersi nel
ricorso, una colpevole inerzia del beneficiario, in quanto si
ritiene che, in relazione all'assegno di mantenimento in
esame, debba tenersi dell'attitudine del coniuge al lavoro, la
quale viene in rilievo ove venga riscontrata in termini di
effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa
retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale
ed ambientale, enongià dimere valutazioni astratte
ed ipotetiche (Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25
agosto 2006, n. 18547; Cass. 2 luglio 2004, n. 12121).
4.5. Deve poi rilevarsi come l'attribuzione di un assegno di
mantenimento al coniuge che non abbia adeguati redditi
propri trova la sua fonte nel rilevante ruolo che l'art. 29
Cost. attribuisce alla famiglia nell'ambito dell'ordinamento.
Assume particolare rilevanza il principio di uguaglianza
morale e giuridica tra i coniugi, più volte ribadito
dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 4 maggio
1966, n. 46, proprio con riferimento all'obbligo di consentire
al coniuge separato dimantenere lo stesso tenore di vita
precedentemente goduto, sia pure con la necessità di considerare
i mezzi di cui autonomamente disponga; id. 16
dicembre 1968, n. 126; id. 20 marzo 1969, n. 45; id. 27
novembre 1969, n. 147; id. 24 giugno 1970, n. 133, in cui si
afferma, in tema di rapporti patrimoniali, che l'uguaglianza
dei coniugi garantisce l'unità familiare, mentre “è la disuguaglianza
a metterla in pericolo”; id. 14 giugno 1974,
n. 187; id. 18 dicembre 1979, n. 153; id. 4 aprile 1990,
n. 215; id. 6 giugno 2006, n. 254; id. 23marzo 2010, n. 138).
4.6. In considerazione di quanto evidenziato, l'eccezione di
illegittimità costituzionale in esame, sotto tutti i profili
dedotti, appare manifestamente infondata, in quanto la
determinazione dell'assegno di mantenimento sulla base del
tenore di vita dei coniugi, tenuto conto delle altre circostanze
e dei redditi dell'obbligato, costituisce l'espressione di quei
valori costituzionali sopra richiamati che, secondo criteri di
proporzionalità e ragionevolezza, si trovano in rapporto di
integrazione reciproca con gli altri principi e diritti fondamentali
affermati dalla Costituzione (Corte cost. 7 ottobre
2014, n. 242; id.9maggio2013,n. 85).Valebenerichiamare,
in proposito, l'affermazione del Giudice delle leggi secondo
cui “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si
trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile
pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza
assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e
non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in
potenziale conflitto tra loro”.
5. Con il secondo mezzo si deduce l'omesso esame, evidentemente
ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del
peggioramento delle condizioni economiche e reddituali
del ricorrente; sotto il medesimo profilo si denuncia la
violazione dell'art. 156 c.c., comma 2, richiamandosi
l'orientamento secondo cui nel corso del giudizio di separazione
rilevano le evoluzioni della situazione reddituale
dei coniugi, onde adeguare la pronuncia, eventualmente
stabilendo una misura dell'assegno diversa per determinati
periodi, ai presupposti inerenti alla determinazione della
misura dell'assegno.
5.1. La censura è infondata, sotto tutti i profili dedotti.
5.2. Deve in primo luogo rilevarsi che la deduzione inerente
all'omesso esame della questione inerente al decremento
dei redditi dell'onerato non trova riscontro nella
motivazione della decisione impugnata.
La Corte di appello, infatti, dopo aver riportato (pag. 25) il
motivo di gravame secondo cui il mutamento in peius della
condizione reddituale e patrimoniale dell'appellante, dovuto
alla crisi economica mondiale, avrebbe imposto una riduzione
del contributo, anche al fine di evitare che egli fosse
costretto a dismettere parte del suo patrimonio, ha calcolato
in 53 milioni di Euro il redditomedio annuo del B., sulla base
delle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni dal 2006
al 2010, ed ha quindi espresso un giudizio di inattendibilità in
merito tanto all'ultimo reddito dichiarato,nell'anno 2012, di
Euro 4.515.298,00, quanto in ordine alla dedotta riduzione
del valore del gruppo Fininvest.
5.3. La violazione della norma sopra indicata-per non aver
la sentenza impugnata tenuto conto del decremento - può
ritenersi esclusa sulla base del rilievo di inattendibilità
testè indicato, essendo evidente che il giudizio di inattendibilità
in merito alla deduzione esimeva la valutazione
delle giuridiche conseguenze della circostanza; mette
conto di precisare, per altro, che non è sufficiente il
verificarsi di una variazione delle condizioni patrimoniali
dei coniugi (sia in corso di causa - Cass. 22 ottobre 2002,
n. 14886; Cass. 22 aprile 1999, n. 4011 - sia nei giudizi di
revisione dell'assegno), essendo necessario procedere al
rigoroso accertamento dell'incidenza della nuova situazione
patrimoniale sul diritto al contributo o sulla sua
entità (Cass. 20 giugno 2014, n. 14143; Cass. 15 settembre
2008, n. 236943; Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass. 2
maggio 2007, n. 10133; Cass. 28 agosto 1999, n. 9056;
Cass. 28 settembre 1998, n. 8654). Sotto tale profilo, come
sopra evidenziato, la Corte territoriale ha posto in evidenza
il rilevante divario fra le condizioni patrimoniali e
reddituali degli ex coniugi, ponendo in risalto, infine,
l'ammissione dello stesso B. di essere “ultracapiente”.
6. La terza censura, con la quale si deduce l'errore del calcolo
della media dei redditi dell'appellante, per non essersi considerata
la natura straordinaria degli elevati profitti conseguiti
nell'anno 2006, con conseguente deduzione della violazione
di cui all'art. 112 c.p.c., presenta evidenti profili di inammissibilità,
per non aver colto la complessiva ratio decidendi
della decisione impugnata, fondata non soltanto sulla posizione
reddituale dell'appellante, già di per sé estremamente
rilevante, considerato anche il giudizio di inattendibilità in
merito al reddito più recente, ma, soprattutto, sulla consistenza
patrimoniale del ricorrente, che,convarie oscillazioni,
lo collocava nel periodo considerato, fra gli uomini più ricchi
del mondo, tenuto conto delle partecipazioni azionarie e
della proprietà di prestigiose ville.
Tale aspetto si associa al richiamo della Corte territoriale
al principio, non censurato, secondo cui non è necessaria
una individuazione precisa degli elementi relativi alla
situazione patrimoniale e reddituali dei coniugi, essendo
sufficiente una loro ricostruzione attendibile. In proposito
questa Corte ha in più occasioni affermato che, benché la
separazione determini normalmente la cessazione di una
serie di benefici e consuetudini di vita e anche il diretto
godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza
della convivenza va identificato avendo riguardo allo
standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso
delle risorse economiche dei coniugi, tenendo
quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità
del patrimonio in termini di redditività, di capacità
di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate
aspettative per il futuro. Inoltre, al fine della determinazione
del “quantum” dell'assegno di mantenimento, la
valutazione delle condizioni economiche delle parti non
richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel
loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile
ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e
reddituali dei coniugi (Cass. 22 febbraio 2008, n. 4540;
Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass. 12 giugno 2006,
n. 13592; Cass. 19 marzo 2002, n. 3974).
7. In definitiva, in disparte la contestazione in apicibus della
norma contenuta nell'art. 145 c.c., il ricorso non appare
meritevole di accoglimento, avendo ad oggetto un decisione
sostanzialmente incentrata sulladeterminazione inconcreto
dell'assegno di mantenimento, che si fonda sostanzialmente
sulla valutazione di circostanze che, avuto anche riguardo
alle evidenziate limitazioni concernenti la deducibilità in
questa sede del vizio di motivazione, è affidata all'apprezzamento
del giudice del merito.
8. Le spese relative al presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza, e si liquidano comein dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali relative al presente
giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40.200,00, di
cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di
legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato.
22-09-2018 16:14
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