In Europa non è riconosciuto il divorzio islamico.
La tutela dei valori comuni dell'Unione europea, incluso il divieto di discriminazione nei confronti della donna, va garantita nei casi di riconoscimento di atti di divorzio pronunciati all'estero. Di qui l'obbligo del giudice nazionale di impedire l'ingresso in uno Stato membro di atti di tribunali islamici che mettono la donna in una situazione di inferiorità. E questo anche quando il coniuge discriminato ha dato il suo consenso. Lo ha affermato l'avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea, Saugmandsgaard Øe, nelle conclusioni depositate ieri (C-372/16) con le quali ha chiarito che una discriminazione «fondata sull'appartenenza dei coniugi all'uno o all'altro sesso, riveste una gravità tale da dover comportare il rigetto assoluto, senza alcuna possibilità di eccezione nel singolo caso concreto, della totalità della legge altrimenti applicabile».
È stato il tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera a chiamare in aiuto gli eurogiudici. Una coppia di cittadini siriani, che aveva acquisito anche la cittadinanza tedesca, si era sposata in un tribunale islamico di Homs (Siria). Dopo vari spostamenti, i coniugi erano rientrati in Germania. Il marito si era rivolto al tribunale religioso della sharia in Siria e aveva ottenuto il divorzio. La donna, secondo le regole della sharia, aveva dovuto firmare un dichiarazione con la quale accettava una somma di denaro e liberava il marito da ogni obbligo nei suoi confronti. L'uomo aveva chiesto ai giudici tedeschi il riconoscimento della pronuncia di divorzio. In un primo tempo aveva ottenuto il sì al riconoscimento, ma la ex moglie si era opposta e il tribunale regionale, prima di decidere, si è rivolto a Lussemburgo per l'interpretazione del regolamento n. 1259/2010 sull'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (“Roma III”), in vigore dal 2012.
17-09-2017 16:06
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