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Sentenza

Divorzio: no all'assegno se chi lo richiede guadagna almeno 1.000 euro al mese.
Divorzio: no all'assegno se chi lo richiede guadagna almeno 1.000 euro al mese.
Tribunale di Milano, sez. IX Civile, ordinanza 22 maggio 2017
Giudice Buffone

Osserva

[1]. … X…. e Y, nata a ….. 1960 …., hanno contratto matrimonio concordatario in … 1985. Dall'unione sono  nati i figli ….(…. 1988) e R…. (… 1992). I coniugi si sono separati consensualmente con accordo ex art. 711  c.p.c. del …2004. Al momento dei patti, il … svolgeva la professione di giornalista; la … svolgeva la  professione di imprenditrice. Per quanto qui di interesse, le parti hanno stabilito: la cessione a titolo  gratuito, da parte del … alla moglie, della sua quota di proprietà sulla ex casa familiare; l'assegno di  mantenimento per i figli pari ad euro 900 oltre il 50% delle spese extra. … è ormai indipendente e  comunque ha autonoma residenza. R.. studia lingue all'Università … di … e convive con la mamma.
[2]. In merito ai figli, .. è indipendente e vive con propria residenza: ogni questione a lui relativa è estranea  al processo. Egli, comunque, ha titolo eventualmente per intervenire. R, maggiorenne, abita con la mamma  ma ormai ha raggiunto la sua indipendenza economica, prestando servizio in una scuola di ….. … D'altro  canto, almeno formalmente, allo stato, nel suo ricorso introduttivo il padre ha chiesto la conferma  dell'assegno per R in misura pari ad euro 450 e questa disponibilità ha anche espresso in udienza. Ne  consegue che, salvo diversa decisione da poter esprimere anche nella memoria integrativa, allo stato  questo importo per R, da versare alla mamma, va confermato.
[3]. In ordine ai rapporti economici, va rilevato che il … presta servizio come responsabile di un ufficio …,  con una retribuzione mensile di circa euro 3.600. Nel PF2016 ha dichiarato un reddito imponibile annuo di  euro 66.663,00 con una imposta netta di euro 21.777. Il reddito allegato in ricorso, di euro 3000 mensili,  non corrisponde dunque a quanto emergente documentalmente. Detratto il canone locativo, il reddito  mensile effettivo è di euro 2.950: il …, infatti, sostiene un canone di locazione di euro 650 mensili. La …  presta attività in favore della …, che fa capo alla società .. .. .. & C., di cui è proprietaria al 98%; il residuo 2%  è del marito. La società opera nel settore della .. e si occupa di collocare nel mercato …. Esaminati i  documenti in atti, dall'analisi degli utili, si può apprezzare un introito, su base mensile, di circa euro 1.700.  Infatti, nel PF2016, emerge un reddito imponibile di euro 23.837, con una imposta lorda di euro 5.836. La  moglie dichiara di avere cessato l'attività in corso ma in realtà può beneficiare dell'attuale cliente che  comporta un importo annuo di circa euro 36.000. D'altro canto, può ancora beneficiare dell'assicurazione  sanitaria del marito.
[4]. Assegno divorzile Come ha ben messo in evidenza la Suprema Corte (da ultimo, cfr. Cass. Civ., sez. I,  sentenza 5 febbraio 2014, Pres. Luccioli, rel. San Giorgio) l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si  articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto,  in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, e quindi  procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di detti  mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi  procedere alla determinazione in concreto dell'assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei  criteri indicati nello stesso art. 5. Giova, però, ricordare, che – come ha affermato di recente la Corte di  Appello di Milano «l'assegno divorzile non si traduce in una impropria misura finalizzata a colmare  eventuali sperequazioni trai redditi degli ex coniugi e ma la finalità di garantire al coniuge meno abbiente di  potere continuare a godere, ove possibile, di un tenore di vita simile a quello goduto in costanza di  convivenza coniugale» (Corte App. Milano, sez. famiglia, decreto 10 gennaio 2013, Pres. Poppa, est.  Canziani). Nemmeno l'assegno divorzile può tradursi in una impropria rendita di posizione nel senso di  essere riconosciuto, tout court, per il divario reddituale trai coniugi, realizzandosi, per tal via, una  alterazione della funzione dell'assegno divorzile che travalica il limite della ragionevolezza (v. Trib. Firenze, ordinanza 22 maggio 2013, Pres., est. Palazzo). Sulla scorta di questi principi, alla moglie, al momento, non  può essere riconosciuto un emolumento. Va premesso che in separazione ella nulla ha chiesto per sé ma ha  ottenuto l'intera proprietà della ex casa coniugale. «La rinuncia all'assegno di mantenimento espressa dalla  moglie in sede di separazione non è determinante, stante la funzione assistenziale dell'assegno divorzile e  la irrinunciabilità (in quella sede) del relativo diritto, ma è sintomatica di un'autosufficienza economica della  parte, la quale con un'autonoma valutazione degli assetti patrimoniali, si era ritenuta in grado di  provvedere con il proprio reddito alle personali esigenze» (Trib. Milan, sez. IX, sentenza 5 febbraio 2014).  Va anche premesso che la moglie è inserita professionalmente nel mercato del lavoro, in un settore che  non appare affatto in crisi dagli atti; è titolare in misura pari al 98% della società per cui lavora. La  differenza di reddito liquido tra marito e moglie non è così pronunciata (2.950 – 1700) se non altro  considerata la proprietà sociale e immobiliare. Ogni altra circostanza dovrà essere esaminata in fase  istruttoria non potendosi snaturare la funzione cautelare e sommaria dell'ordinanza presidenziale. Non può  tuttavia non segnalarsi come, nelle more, i criteri di interpretazione dell'articolo 5 legge 898 del 1970 siano  mutati, per effetto del revirement adottato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11504 del 2017.  Secondo l'indirizzo tradizionale della Suprema Corte, i “mezzi adeguati” per determinare l'emolumento  divorzile devono essere raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio,  o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al  momento del divorzio. Sulla scorta del nuovo insegnamento (Cass. Civ., 10 maggio 2017 n. 11504)  Il giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come  sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi  e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma: A) deve verificare, nella fase dell'an debeatur - informata al principio dell'autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone  singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del  diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest'ultimo  soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di  procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all'indipendenza o autosufficienza  economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del  possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di  tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente),  delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al  mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla  base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il  corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;  B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà  economica» dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto  "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla  determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase,  conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei  coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla  conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di  entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al  fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni,  deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova  (art. 2697 cod. civ.). Il presupposto per riconoscere l'assegno di divorzio è, quindi, non già il raffronto con il pregresso tenore di  vita bensì il riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica del richiedente, che può essere  desunta dai principali "indici" del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari  ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di  residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione  alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di  una casa di abitazione. Per “indipendenza economica” deve intendersi la capacità per una determinare  persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio  sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio,  esercizio dei diritti fondamentali). Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato  dall'ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo  di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro  1000 mensili). Ulteriore parametro, per adattare “in concreto” il concetto di indipendenza, può anche  essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita. Guardando a questo nuovo  indirizzo di giurisprudenza e collocandone i principi nel caso di specie, può ipotizzarsi una prognosi negativa  circa la spettanza dell'assegno di divorzio alla odierna richiedente: questa prognosi “negativa” – allo stato e  in via provvisoria – rafforza la decisione come assunta.
[5]. Corre dare atto della natura provvisoria dei provvedimenti interlocutori qui assunti: essi traggono linfa  da un accertamento sommario fondato, in gran parte, su indici presuntivi e circostanze ancora non  chiaramente acclarate. E' all'evidenza necessario coltivare una adeguata attività istruttoria per porre mano  a misure definitive che, conseguentemente, vengono rimesse al Collegio, passando per le scelte che  saranno condotte dal giudice istruttore, su sollecito delle parti. Il G.I., peraltro, ben potrà apportare le  modifiche necessarie in caso di accertate sopravvenienze fatte valere in sede di revisione dall'una o  dall'altra parte.

P.Q.M.

letto ed applicato l'art. 4 comma VIII l. 898/1970 c.p.c.
1. REVOCA gli assegni di mantenimento per i figli, posti a carico di Luigi Ciccarone, ad eccezione di quanto segue.
2. PONE a carico di ….., l'obbligo di versare a …, l'assegno mensile di euro 450 per R, da versarsi entro il giorno 25 di ogni mese, oltre rivalutazione monetaria ISTAT.
Avv. Antonino Sugamele

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