La moglie va via di casa ed inizia la separazione dopo 2 mesi. Nessun addebito alla donna.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 febbraio – 8 giugno 2016, n. 11785
Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni
Rilevato che:
I. il Tribunale di Roma, con sentenza n. 18114/11, ha dichiarato la separazione dei coniugi A.v.V. e S.E., con addebito della responsabilità della separazione alla E..
2. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5823/13, ha revocato la dichiarazione di addebito e posto a carico del V. un assegno mensile di mantenimento di 800 euro.
3. Ricorre per cassazione A.v.V. affidandosi a sei motivi di impugnazione: a) omessa pronuncia della Corte distrettuale sulla eccezione di tardività dell'appello; b) insufficiente motivazione sulla revoca dell'addebito pronunciate dal giudice di primo grado per violazione del dovere di coabitazione; c) insufficiente e contraddittoria motivazione sulla revoca dell'addebito pronunciata dal giudice di primo grado per violazione del dovere di fedeltà; d) insufficiente motivazione sulla revoca dell'addebito pronunciata dal primo giudice per violazione del dovere di assistenza morale e materiale; e) errata applicazione dell'art. 115 comma 2 c.p.c. sulla domanda di addebito della separazione; f) violazione degli arti. 115 e 156 comma 2 c.p.c. quanto alla determinazione dell'ammontare dell'assegno di mantenimento.
4. Si difende con controricorso S.E.. Ritenuto che:
5. II primo motivo di ricorso è infondato in quanto "in tema di impugnazioni, la modifica dell'art. 327 c.p.c., introdotta dalla legge n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all'originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell'instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio" (Cass. civ. sezione VI-3 ord. n. 19969 del 6 ottobre 2015, sezione VI-5 ord. n. 15741 del 21 giugno 2013 e sezione i n. 17060 del 5 ottobre 2012).
6. Gli altri motivi sono inammissibili perché consistenti in una prospettazione antagonista alla alutazione delle prove compiuta con motivazione esaustiva dalla Corte di appello e senza che sia stato rispettato il nuovo testo dell'art. 360 n. 5 C.P.C. Va rilevato che la corte di appello ha ritenuto non provati i comportamenti violativi di doveri coniugali di fedeltà e di assistenza asseriti dall'odierno ricorrente a carico della moglie S.E. mentre ha ritenuto che l'allontanamento dal domicilio coniugale da parte della E. è avvenuto, il 12 settembre 2008, in prossimità del giudizio di separazione (iniziato con ricorso del 10 novembre 2008), quando la frattura tra i due coniugi era già apparsa irreversibile. In considerazione di ciò la Corte distrettuale ha riscontrato l'assenza di un nesso causale tra tale atto compiuto dalla E. e il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza (cfr. Cass. civ. sez. VI-1 ord. n. 16959 del 14 agosto 2015, sez. i n. 13983 del 19 giugno 2014). La decisione della Corte di appello ha accertato pertanto l'insussistenza di quei requisiti che lo stesso ricorrente ha indicato nel quinto motivo come presupposti per la dichiarazione di addebito della separazione.
7. Analogamente, per ciò che concerne il diritto e l'ammontare dell'assegno di mantenimento, la decisione impugnata appare conforme ai criteri legislativi e giurisprudenziali in materia mentre il sesto motivo di ricorso si rivela sostanzialmente una richiesta di riedizione del giudizio di merito sulla comparazione dei redditi delle parti e sulla possibilità per il coniuge più debole economicamente ali conservare con i propri mezzi un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
8. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso.
La Corte condivide la relazione sopra riportata e pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.200, di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
11-06-2016 10:52
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