L’assegno di mantenimento, con il passaggio in giudicato della sentenza, è intangibile anche con la successiva delibazione della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 24 febbraio – 13 marzo 2015, n. 5133
Presidente Di Palma – Relatore Acierno
Fatto e diritto
Rilevato che è stata depositata la seguente relazione nel procedimento r.g. 16231/2013:
"A.A. ha richiesto ex art. 710 cod. proc. civ. al Tribunale di Roma la caducazione anche formale di ogni provvedimento relativo al mantenimento della coniuge separata R.M. per qualunque titolo e per qualsiasi importo in virtù del passaggio in giudicato della pronuncia della Corte d'Appello n. 5483 del 2003 di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti.
Il ricorrente ha evidenziato che, con decreto della Corte d'Appello di Roma emesso ex art. 710 cod. proc. civ., era stato revocato il contributo al mantenimento della M. a far data dal novembre 2000 e che non vi era stata pronuncia di divorzio. Pertanto, in virtù della pronuncia n. 5483 del 2003, dovevano essere caducate tutte le statuizioni patrimoniali con effetto ex tunc disposte in sede di separazione personale e che la delibazione doveva considerarsi fatto nuovo. In via subordinata ha richiesto la caducazione di tali statuizioni almeno dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'Appello del 2003.
Il Tribunale rigettava il ricorso. La Corte d'appello è pervenuta alla medesima conclusione, per quel che ancora interessa, sulla base delle seguenti argomentazioni
a) Una volta accertata in giudizio la spettanza di un diritto con pronuncia passata in giudicato, il diritto in questione non può più essere rimessa in discussione;
b) Tale conclusione espressamente affermata dalla Corte di Cassazione con riferimento all'assegno divorzile contenuto in sentenza passata in giudicato, doveva ritenersi applicabile anche al giudicato separativo.
c) Nella specie la preesistenza del giudicato esclude l'applicabilità degli artt. 129 e 129 bis cod. civ.
d) In ordine alla domanda subordinata la Corte d'Appello ne ravvisa l'infondatezza dal momento che l'assegno di mantenimento era stato revocato fin dal 2000 anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della decisione ecclesiastica.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione A.A.. Ha resistito con controricorso R.M.. Nell'unico complesso motivo di ricorso, formulato ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. il ricorrente evidenzia l'omessa considerazione della mancanza di un giudizio divorzile tra le parti. E' soltanto la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio a potersi imporre se passata in giudicato prima della sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica e non quella di separazione perché inidonea a sciogliere il vincolo.
Premessa la preventiva necessità di qualificare la censura come violazione di legge (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) essendo la dedotta omissione relativa alla mancanza della sentenza di divorzio qualificabile come un difetto del percorso logico giuridico produttivo della decisione e non come l'omesso esame di un "fatto"; deve rilevarsi l'inammissibilità del motivo sotto il profilo dell'inidoneità della censura a colpire la ratio decidendi della pronuncia impugnata. La Corte d'Appello ha fondato la propria statuizione di rigetto sulla preminenza del giudicato preesistente sulla debenza dell'assegno di mantenimento, ritenendo che il predetto giudicato s'imponga a qualsiasi pronuncia successiva. Tale conclusione non deriva dall'equiparazione degli effetti tra separazione personale e divorzio ma sull'intangibilità degli effetti del giudicato.
In conclusione, ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere ritenuto inammissibile."
Il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione, osservando, in ordine alla memoria depositata dalla parte ricorrente, che: - la documentazione prodotta è inammissibile ex art. 372 c.p.c.;
- i rilievi riproducono le argomentazioni del ricorso senza alcun elemento di sostanziale novità;
- infine, l'orientamento citato nella relazione è stato confermato di recente dalla sentenza di codesta Corte n. 21331/2013. Le spese processuali del presente procedimento seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente procedimento, nei confronti della parte contro ricorrente, da liquidarsi in Euro 3000,00 per compens4>, 100,00 per esborsi oltre accessori di legge, in favore del procuratore antistatario avvocato M.M..
19-03-2015 23:11
Richiedi una Consulenza