In tema di addebito della separazione personale, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 17 febbraio – 8 aprile 2015, n. 7057
Presidente Di Palma – Relatore Cristiano
E' stata depositata la seguente relazione:
1) La Corte d'appello di Messina, con sentenza del 7.3.013, ha respinto l'appello proposto da C.L.F. contro la sentenza dei Tribunale di Patti che le aveva addebitato la separazione dal marito C. S., aveva conseguentemente revocato il provvedimento interinale con il quale era stato posto a carico dello S. l'obbligo di corrisponderle un assegno mensile di mantenimento ed aveva respinto la sua domanda di corresponsione di un assegno alimentare ai sensi dell'art. 433 c.c..
La corte territoriale ha ritenuto che l'intollerabilità della convivenza fra i coniugi fosse stata determinata dalla violazione dei dovere di fedeltà da parte della L., la quale non aveva fornito prova dell'anteriorità della crisi matrimoniale rispetto al suo accertato tradimento; a tale riguardo il giudice dei merito ha escluso, in primo luogo, che la crisi potesse farsi risalire al 2001 - anno nel corso del quale lo S. aveva depositato una prima domanda di separazione giudiziale cui aveva poi rinunciato - atteso che l'abbandono del ricorso costituiva indice sintomatico della persistenza, all'epoca, dell'affectio coniugalis; ha inoltre ritenuto non significativo il fatto che nel luglio del 2004, poco tempo dopo l'introduzione dei giudizio, la L. avesse denunciato lo S. per lesioni e maltrattamenti e che questi fosse stato rinviato a giudizio per i! reato di cui all'art. 572 c.p. , tanto più che erano ignoti gli elementi di prova che sorreggevano l'azione penale, ed ha infine rilevato che il certificato medico prodotto dall'appellante, ricoverata in ospedale a seguito di trauma cranico provocato da un oggetto contundente, risaliva al 2000 e faceva perciò riferimento ad un episodio lontano nel tempo.
Quanto alla domanda di corresponsione di un assegno alimentare, la corte palermitana ha affermato che non v'era prova dello stato di bisogno della L. e, soprattutto, dell'impossibilità per la stessa di provvedere al proprio mantenimento. C.L.F. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
C. S. non ha svolto attività difensiva.
2)Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 143, 151, 2697 c.c. nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la separazione dovesse esserle addebitata.
Deduce che, contrariamente a quanto affermato dal giudice d'appello, non vi sarebbe alcuna prova che la relazione extraconiugale da lei intrattenuta sia stata causa, anziché effetto, della disgregazione dei matrimonio, risultando dagli atti che la crisi risaliva al 2001, quando lo S. aveva presentato la prima domanda di separazione, ritirata, per sua stessa ammissione "soprattutto per le insistenze dei familiari' (dichiarazione, questa, che dimostrerebbe il carattere meramente formale della riconciliazione successivamente intervenuta). Lamenta inoltre che la corte territoriale abbia escluso la rilevanza dei comportamento violento del marito, che si era manifestato in numerose occasioni, era culminato nell'aggressione che l'aveva costretta al ricovero ospedaliero ed era comprovato dal rinvio a giudizio dello S. per il reato di maltrattamenti, consumato in suo danno dall'agosto 2000 al giugno del 2004.
3.1)11 motivo, ad avviso di questo relatore, é manifestamente infondato nella parte in cui denuncia la violazione delle regole che, in materia, presiedono alla ripartizione dell'onere della prova.
Infatti, secondo quanto affermato nella sentenza n. 20591012, richiamata dalla stessa ricorrente, in tema di addebito della separazione personale l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave,la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, mentre i fatti che escludono il nesso di causalità tra la violazione accertata e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, ove non emergano dagli atti del processo, devono essere allegati e provati dalla parte che resiste alla domanda di addebito. 3.2) La censura appare invece inammissibile nella parte in cui lamenta un vizio di motivazione della sentenza impugnata, versandosi in tema di ricorso soggetto - ratione temporis - al disposto dell'art. 360 1 comma n. 5 c.p.c. come novellato dal dall'art. 54 I comma lett. b) della I. n. 1341012, che ha ricondotto tale vizio all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e_abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Nel caso di specie la corte territoriale ha esaminato tutti gli elementi addotti dalla L. a prova della pregressa insorgenza della crisi matrimoniale, ma li ha ritenuti inidonei a vincere la presunzione di addebitabilità della separazione alla violazione dei dovere di fedeltà che le incombeva: non ricorre, pertanto, l'ipotesi delineata dalla norma citata, e ciò a prescindere dal rilievo che le censure svolte dalla ricorrente si risolvono nella richiesta di una diversa valutazione, nel merito, degli elementi probatori in questione.
4) Col secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione dell'art. 433 c.c., sostiene che la corte territoriale avrebbe respinto la domanda di corresponsione dell'assegno alimentare senza considerare che la sua impossidenza emergeva dagli atti e che, tenuto conto della sua età, delle sue effettive capacità e del contesto sociale nel quale ella vive, non le è data alcuna effettiva possibilità di svolgere un'attività lavorativa retribuita.
Anche questo motivo, che, benché qualificato ai sensi del n. 3 dell'art. 360 I comma c.p.c., si risolve nella denuncia di un vizio di insufficiente motivazione, appare inammissibile, attesa l'omessa indicazione delle circostanze decisive, ignorate dalla corte territoriale, dalle quali si sarebbe dovuto desumere lo stato di bisogno della ricorrente.
Tanto potrebbe essere deciso in camera di consiglio, ai sensi dell'ari_ 380 bis c.p.c.
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, peraltro non contrastate dalla ricorrente, che non ha depositato memoria. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non v'è luogo alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte intimata, che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di diffusione dei presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in esso menzionati.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dPR n. 11512002, introdotto dall'art. 1, 17° comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza crei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titólo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
11-04-2015 18:28
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