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Sentenza

Il Tribunale ecclesiastico annulla il matrimonio. Chi è competente per la determinazione del contributo per il mantenimento del figlio minore?
Il Tribunale ecclesiastico annulla il matrimonio. Chi è competente per la determinazione del contributo per il mantenimento del figlio minore?
Matrimonio annullato, l'assegno per il mantenimento del figlio lo stabilisce il giudice ordinario

  La domanda riguardante la determinazione del contributo dovuto per il mantenimento del figlio minore, nato da una matrimonio celebrato con rito concordatario e dichiarato nullo dal giudice ecclesiastico, è di competenza del tribunale ordinario.  Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 febbraio – 12 maggio 2015, n. 9635
Presidente Forte – Relatore Mercolino

Svolgimento del processo

1. - Con ordinanza dell' 11 agosto 2009, il Tribunale di Teramo dichiarò i­nammissibile la domanda di determinazione dell'assegno mensile dovuto da G.A.M. ad A.D.R. a titolo di contributo per il mante­nimento del figlio minore G..
2. - Il reclamo proposto dalla D.R. è stato accolto dalla Corte d'Ap­pello di L'Aquila, che con decreto del 14 agosto 2013 ha posto a carico del M. l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 400,00, da rivalutarsi an­nualmente secondo l'indice Istat.
Premesso che la disciplina della fattispecie doveva essere rinvenuta nell'art. 155 cod. civ., richiamato dall'ari. 129, in quanto il minore era nato da un matri­monio dichiarato nullo, con la conseguente applicabilità delle norme in tema di matrimonio putativo, e considerato che l'art. 38 disp. att. cod. proc. civ. attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni soltanto le controversie riguardanti l'affidamento dei figli naturali e l'esercizio della potestà genitoriale, riservando al tribunale ordinario quelle aventi ad oggetto il mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, la Corte ha ritenuto che il Giudice di primo grado avesse erro­neamente declinato la propria competenza in favore del Tribunale per i minorenni, non avendo le parti avanzato pretese in ordine all'affidamento del minore o all'e­sercizio della potestà genitoriale, e non potendo trovare pertanto applicazione il principio, enunciato alla luce delle innovazioni introdotte dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, secondo cui la contestuale proposizione delle predette domande e di quella riguardante il mantenimento della prole comporta l'attrazione dell'intera controversia nella competenza del giudice specializzato.
Precisato inoltre che, nonostante l'avvenuto raggiungimento della maggiore età nel corso del procedimento, non era stato dedotto che il figlio avesse consegui­to anche l'indipendenza economica, la Corte ha rilevato, sulla base della documen­tazione prodotta, che la D.R. era titolare di un reddito annuo di Euro 12.000,00 circa ed il M. di un reddito di Euro 18.000,00 circa, ed ha quindi provveduto alla determinazione dell'assegno tenendo conto delle molteplici esi­genze del figlio, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese anche all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale.
3. - Avverso il predetto decreto il M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. La D.R. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazio­ne e la falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. ed all'art. 38 disp. att. cod. proc. civ., in relazione agli artt. 155, 155-bis, 155-ter, 155­quater, 155-quinquies, 155-sexies cod. civ., introdotti dalla legge n. 54 del 2006, ed all'art. 317-bis cod. civ., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, ai fini dell'esclusione della competenza del Tribunale per i minorenni, si è limitato a prendere in considerazione le conclusioni rassegnate negli atti di causa, senza e­saminarne le parti espositive. Premesso infatti di aver chiaramente manifestato la volontà d'intervenire nella vita del figlio, non solo in riferimento alle visite ed alla frequentazione, ma anche in ordine alle scelte ed alle decisioni più rilevanti per la sua crescita, osserva che l'altra parte aveva controdedotto al riguardo, sostenendo pertanto che la domanda doveva ritenersi volta alla determinazione non solo dello assegno di mantenimento, ma anche delle modalità di esercizio del diritto di visita e della potestà genitoriale, la cui disciplina è certamente riconducibile all'interesse del minore.
2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa ap­plicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 38 disp. att. cod. proc. civ., in re­lazione agli artt. 155, 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies, 155-sexies cod. civ., introdotti dalla legge n. 54 del 2006, ed all'art. 317-bis cod. civ., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, ai fini dell'individuazione del giudice competente, ha escluso dal thema decidendum la determinazione delle modalità di esercizio del diritto di visita e della potestà genitoriale, in contrasto con la volontà, da lui chiaramente manifestata, di ottenere la regolamentazione dei predetti aspet­ti.
3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto de­cisivo per il giudizio, osservando che, nell'interpretazione della domanda, la Corte di merito ha immotivatamente trascurato le difese svolte nella parte espositiva del­la memoria di costituzione, in cui egli aveva chiaramente manifestato la volontà di estendere la domanda alla determinazione delle modalità di esercizio del diritto di visita e della potestà genitoriale.
4. - 1 predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto volti a riproporre sotto distinti profili la questione di competenza già sollevata nelle preceden­ti fasi processuali, non meritano accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., alla correzione della motivazione del decreto impugnato, il cui dispositivo risulta conforme al diritto.
Ai fini dell'esclusione della competenza per materia del Tribunale per i mino­renni, la Corte di merito ha richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di provvedimenti riguardanti i figli naturali, secondo cui l'attra­zione in capo al giudice specializzato della competenza a provvedere sulla misura e sul modo in cui ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento del fi­glio si giustifica esclusivamente nel caso in cui la relativa domanda sia proposta contestualmente a quella riguardante l'affidamento e la regolamentazione del dirit­to di visita spettante al genitore non convivente, non essendo configurabili, al di fuori della predetta ipotesi, l'esigenza di assicurare la parità di trattamento rispetto ai figli di genitori coniugati e quella di favorire la concentrazione delle tutele, in funzione della ragionevole durata del processo, con la conseguenza che, in caso di proposizione di una sola delle predette domande, trova applicazione (anche a se­guito delle modificazioni normative introdotte dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54) la disciplina generale dettata dall'art. 38 disp. att, cod. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alla sostituzione disposta dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219), in virtù della quale la competenza del tribunale per i minorenni resta limitata alle domande di affidamento e di regolamentazione del diritto di visita, spettando invece al tribunale ordinario la competenza in ordi­ne alle domande di determinazione del contributo al mantenimento e di rimborso
delle spese sostenute per il sostentamento del figlio (cfr. Cass., Sez. VI, 11 aprile
2014, n. 8574; Cass., Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362).
La premessa di tale ragionamento, costituita dall'applicabilità della disciplina dettata per i figli naturali, si pone tuttavia in contrasto con la circostanza, risultan­te dal provvedimento impugnato ed ammessa da entrambe le parti, che il figlio per il cui mantenimento la D.R. ha chiesto la determinazione del contributo dovuto dal M. non è nato da un'unione di fatto, ma da un matrimonio celebrato con rito concordatario e dichiarato nullo dal giudice ecclesiastico. Pur avendo cor­rettamente precisato che la dichiarazione di efficacia nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica di nullità comporta l'applicabilità della disciplina del matrimonio putativo, dettata dall'art. 128 cod. civ., e quindi la necessità di fare ri­ferimento all'art. 155 cod. civ. ai fini della regolamentazione dei rapporti tra geni­tori e figli minori, la sentenza impugnata non ne ha tratto le dovute conseguenze, non avendo considerato che lo status di figlio legittimo, spettante al figlio nato dall'unione ai sensi del secondo comma dell'art. 128 cit., impone l'applicazione della disciplina dettata dall'art. 155 cit. non solo nei suoi aspetti sostanziali, ma anche in quelli processuali. Poiché la predetta disposizione, nel demandare al giu­dice l'adozione dei provvedimenti riguardanti tanto l'affidamento dei figli e la re­golamentazione del diritto di visita spettante al genitore non convivente quanto la determinazione del contributo da quest'ultimo dovuto per il loro mantenimento, non individua l'organo giudiziario competente, la competenza dev'essere ricono­sciuta al tribunale ordinario per entrambe le predette domande, anche nell'ipotesi in cui le stesse non siano proposte congiuntamente, restando configurabile la competenza dei tribunale per i minorenni nei soli casi in cui siano richiesti prov­vedimenti ablativi della potestà genitoriale, a norma degli artt. 330 e 333 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 16 ottobre 2008, n. 25290; 4 febbraio 2000, n. 1213; 27 marzo
1998,n.3222).
Ai fini dell'individuazione del giudice competente, che costituisce l'unico og­getto delle censure sollevate in questa sede, non può dunque assumere alcuna rile­vanza il contenuto delle difese svolte in primo grado dal ricorrente, in quanto, an­che a voler ravvisare nell'insistenza di quest'ultimo sugli ostacoli frapposti dallo altro genitore all'esercizio del diritto di visita una manifestazione di volontà diretta ad ottenere la modifica della regolamentazione di tale diritto o addirittura dell'af­fidamento, la proposizione di tale domanda, peraltro superata dall'avvenuto rag­giungimento della maggiore età da parte del figlio nelle more del giudizio, non a­vrebbe in alcun caso consentito di escludere la competenza del Giudice adito.
5. - Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, affermando che, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, il decreto impugnato si è limitato a prendere in considerazione i redditi delle parti e le loro richieste, trascurando invece le sue allegazioni e la do­cumentazione da lui prodotta.
5.1. - Il motivo è infondato.
Premesso che non era stato contestato l'obbligo del M. di continuare a contribuire al mantenimento del figlio, anche a seguito della dichiarazione di nul­lità del matrimonio, la Corte di merito ha liquidato l'importo dell'assegno dovuto dal ricorrente evidenziando da un lato le potenzialità economiche delle parti, de­sumibili dai redditi annui indicati nella documentazione acquisita agli atti, e dall'altro le esigenze di vita del giovane, delle quali ha sottolineato la molteplicità e l'attinenza non solo al profilo strettamente alimentare, ma anche a quello abitati­vo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, soprattutto in dipendenza dell'avvenu­to raggiungimento della maggiore età nel corso del procedimento.
Nonostante la sua stringatezza, tale percorso argomentativo risulta sostanzialmente rispettoso dei criteri fissati dall'art. 155 cod. civ. per la liquidazione dell'assegno, ai quali si riferiscono anche i documenti di cui il ricorrente lamenta l'omessa valutazione, e deve ritenersi pertanto idoneo ad escludere la censurabilità della decisione in riferimento all'art. 360, primo comma, n,. 5 cod. proc. civ., co­me riformulato dall'art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame: tale disposizione, che circoscrive il vizio di motivazione de­ducibile mediante il ricorso per cassazione all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce infatti e­spressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l'ambi­to dei sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, escludendo qualsiasi controllo sulla sufficienza della stessa e limitando quello sulla sua esistenza e coerenza al solo riscontro della totale omissione o del­la mera apparenza della motivazione, ovvero della sua irriducibile contraddittorie­tà o illogicità manifesta (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2014, n. 21257). In tale contesto, restringendosi l'anoma­lia motivazionale denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge costituzionalmente rilevante, per mancanza del re­quisito di cui all'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., la mancata valutazione di elementi istruttori non può essere considerata di per sè sufficiente ad integrare l'omesso e­same di un fatto decisivo, il quale, presupponendo la totale pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale, non è configurabile ailorchè, come nella specie, tale fatto sia stato comunque preso in considerazione da parte del giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 2498).
6. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricor­rente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto in data successiva al 30 gennaio 2013, trova applicazione l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, intro­dotto dall'art. 1, comma diciassettesimo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, in virtù del quale il rigetto dell'impugnazione pone a carico del ricorrente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna M. G. A. al pagamento del­le spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, ivi compresi Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, dei d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, di­chiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ri­corso, a norma del comma 1-bis dell'art. 13.
Ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omessi le generalità e gli altri dati identi­ficativi delle parti.
Avv. Antonino Sugamele

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