Separazione. La madre chiede il mantenimento per i figli, ma uno lavora nell’azienda di famiglia, due gestiscono un’attività, l’altra svolge pratica professionale.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 aprile - 18 settembre 2013, n. 21334
Presidente Salmé – Relatore De Chiara
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Firenze ha respinto il gravame proposto dalla sig.ra M.G..B. avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia con cui, pronunciata su domanda del marito dell'appellante sig. R..C. la separazione dei coniugi, era stata respinta la domanda riconvenzionale di addebito della separazione a lui ed era stato posto a carico del medesimo un assegno mensile di Euro 5.000,00 per il mantenimento della moglie, della quale erano state altresì respinte le richieste di assegno per il mantenimento dei figli conviventi, di contributo per le spese straordinarie e di assegnazione della casa coniugale.
La Corte ha escluso l'addebito della separazione al marito in quanto, benché il C. avesse lasciato il domicilio coniugale e intrattenesse una relazione extraconiugale, il suo trasferimento era avvenuto per accudire la figlia G. , che stava completando gli studi, e la relazione extraconiugale era iniziata quando il rapporto matrimoniale si era già deteriorato. Quanto alle restanti pretese dell'appellante, ha osservato che il reddito mensile del C. ammontava a 10.000,00 Euro; che il figlio F. , trentacinquenne, lavorava nell'azienda del padre, le figlie Fr. e S. avevano propri nuclei familiari, con figli, e gestivano una loro attività da cui ricavavano reddito; che la figlia G. , quasi trentenne, aveva lasciato gli studi da circa dodici anni, ma, avendo svolto pratica professionale presso uno studio commerciale, aveva sicure potenzialità reddituali; che conseguentemente non vi era spazio per il riconoscimento di assegno per il mantenimento dei figli, a titolo ordinario o straordinario, né per l'assegnazione della casa coniugale alla madre.
La sig.ra B. ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi. Il sig. C. si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.
Motivi della decisione
1. - Il primo, il secondo, il quinto e il settimo motivo di ricorso, con i quali si denunciano vizi di motivazione ai sensi dell'art. 360, comma primo n. 5, c.p.c., sono inammissibili mancando del momento di sintesi contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, ai sensi dell'art. 366 bis, secondo comma, c.p.c. (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 20603/2007), norma nella specie applicabile ratione temporis risalendo il deposito della sentenza impugnata a data anteriore a quella dell'entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, che l'ha abrogata (artt. 47 e 58 l. cit.).
2. - Il terzo e il quarto motivo sono connessi e vanno pertanto esaminati congiuntamente. Denunciando rispettivamente violazione dell'art. 156 c.c. e vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte d'appello, nel rigettare la richiesta di determinazione dell'assegno di separazione in Euro 7.500,00 mensili, abbia preso in considerazione il solo reddito del marito e abbia trascurato, invece, non solo i proventi di una vantaggiosa operazione commerciale - la c.d. operazione ... - ma anche altri elementi di giudizio quali "il tenore di vita, il patrimonio, le entrate correnti, le disponibilità di quote societarie, le proprietà mobiliari e immobiliari" dell'obbligato.
2.1. - La complessiva censura è inammissibile. La Corte d'appello ha chiarito che la c.d. operazione ... non riguardava il C. , bensì suo fratello, e la ricorrensi limita a contestare tale circostanza, piuttosto che articolare in proposito una vera e propria censura di vizio di motivazione; quanto, poi, agli ulteriori elementi che sarebbero stati ignorati dai giudici di secondo grado, le indicazioni della ricorrente sono assolutamente generiche, riducendosi a null'altro che le parole sopra testualmente riportate.
3. - Con il sesto motivo di ricorso si censura, denunciando violazione dell'art. 155 quater c.c., il rigetto della domanda di assegnazione della casa familiare. Premesso che le figlie S. e G. , per quanto giudicate economicamente autosufficienti, convivevano con la madre, si sostiene che l'interesse dei figli giustifica l'assegnazione della casa familiare anche allorché si tratti di figli economicamente autosufficienti.
3.1. - Il motivo è infondato. Come il previgente art. 155, comma quarto, c.c., così anche l'attuale art. 155 quater (introdotto dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54), nella parte in cui prevede che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli", ha una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l'interesse a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti (Cass. 6979/ 2007, 16398/2007). Tale ratio protettiva è evidentemente configurabile solo con riguardo ai figli minorenni o non economicamente autosufficienti, non ponendosi altrimenti alcuna esigenza di speciale protezione.
4. - Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna della ricorrente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 8.500,00, di cui Euro 8.300,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
21-09-2013 17:16
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