Il marito 80.000 euro annui di reddito. La moglie 15.000 euro annui. Per la Cassazione un assegno divorzile a carico del marito di Euro 500 non è congruo.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 aprile – 20 settembre 2013, n. 21604
Presidente Salmè – Relatore De Chiara
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Trapani, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra il sig. G.C. e la sig.ra R.L., assegnò la casa coniugale alla ex moglie per abitarvi con i due figli sino al raggiungimento dell'autonomia economica da parte loro e pose a carico dell'ex marito un assegno divorzile di € 300,00 e un assegno di € 1.100,00 per il mantenimento dei due figli.
La Corte di Palermo, in parziale accoglimento dell'appello del sig. C., ha dimezzato l'assegno per i figli, avendo uno dei due lasciato la residenza della madre, ed ha elevato ad € 500,00 mensili l'assegno divorzile comparando i redditi degli ex coniugi negli anni 2005, 2004 e 2003, pari rispettivamente ad € 13.608,00, € 12.799,00 ed € 20.283,00 per la ex moglie e ad € 89.636,00, € 88.108,00 e € 74,826,00 per l'ex marito, medico radiologo primario ospedaliero.
La sig.ra L. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura. Il sig. C. si è difeso con controricorso.
Motivi della decisione
1. - Con i due motivi di ricorso viene censurata, rispettivamente sotto il profilo dalle violazione di legge e del vizio di motivazione, la determinazione dell'assegno divorzile in favore della ricorrente in soli 500,00 euro mensili. La ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia preso in considerazione il solo criterio dei redditi delle parti ed abbia omesso del tutto di considerare gli altri criteri previsti dall'art. 5 l. 1° dicembre 1970, n. 898, ossia quello delle ragioni della decisione, che il Tribunale aveva individuato in comportamenti del sig. C. contrari ai doveri del matrimonio; quello del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione della vita matrimoniale e alla formazione del patrimonio comune e individuale dei medesimi, e dunque della accertata e incontestata dedizione della sig.ra L. alla cura dei figli, che ne aveva pregiudicato la crescita professionale e quindi economica; quello, della durata del matrimonio, nella specie trentennale. Con il secondo motivo si aggiunge a tali considerazioni anche l'interna contraddittorietà della decisione, la quale, dopo aver registrato un divario amplissimo tra i redditi delle parti, pretende dì colmarlo con il riconoscimento di un assegno di soli 500,00 euro mensili, del tutto inadeguato al fine - che, pure, la Corte d'appello espressamente ribadisce - di consentire alla ex moglie il godimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio quale desumibile dai redditi complessivi della coppia.
2. - I due motivi, da esaminare congiuntamente attesa la loro connessione, sono fondati. La liquidazione in concreto dell'assegno di divorzio, che ha la funzione di tendenziale ripristino delle precedenti condizioni economiche dei coniugi, per ristabilire un certo equilibrio, deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio; e anche se è vero che il giudice di merito non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alle deduzioni e richieste delle parti, è tuttavia necessaria che dia adeguata giustificazione della prevalente o esclusiva rilevanza attribuita ad uno di essi (ex multis, Cass. 317/1998, 3019/1992, 11490/1990). Nella specie, invece, la Corte d'appello si è affidata, senza darne giustificazione alcuna, al solo criterio reddituale, che evidenziava una notevole sperequazione tra le parti all'evidenza non riequilibrata dall'entità dell'assegno come da essa determinato.
3. - La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale rideterminerà l'ammontare dell'assegno secondo i criteri di legge sopra ricordati.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
21-09-2013 17:00
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