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Sentenza

Entrambi i coniugi violano i doveri imposti dal matrimonio: addebito ad entrambi.
Entrambi i coniugi violano i doveri imposti dal matrimonio: addebito ad entrambi.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 marzo - 26 giugno 2013, n. 16142
Presidente Vitrone – Relatore Bisogni

Rilevato in fatto

1. Pronunciandosi sul ricorso per separazione personale di W.H.C. da E..B. , il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2996/2007, ha dichiarato la separazione personale dei coniugi con addebito ad entrambi della responsabilità della separazione e ha respinto la domanda di assegno di mantenimento della W..
2. La Corte di appello di Firenze ha respinto l'impugnazione della W. intesa ad escludere l'addebito a suo carico e a disporre in suo favore di un assegno di mantenimento.
3. Ricorre per cassazione H.C..W. affidandosi a tre motivi di impugnazione, illustrati da memoria difensiva, con i quali deduce: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 151 e 156 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; c) violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
4. Si difende con controricorso E..B. , eccependo, preliminarmente alla richiesta di rigetto nel merito, l'inammissibilità del ricorso per inidoneità dei quesiti e mancanza di esposizione dello svolgimento della vicenda processuale e la sua improcedibilità per mancata indicazione dei documenti su cui è fondato.

Ritenuto in diritto

5. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la Corte di appello di Firenze ha attribuito pari efficacia causale, ai fini dell'addebito, alle due condotte tenute dai coniugi che non sono comparabili fra loro per la loro diversa gravità e ha attribuito rilevanza alla successione temporale dei due comportamenti finendo per istituire un nesso di ritorsione e reazione del tutto improprio che attenua la gravità del comportamento del B. di per sé solo idoneo a causare la rottura del rapporto. Rileva la ricorrente che il comportamento che le è attribuito, consistito nell'aver accusato pubblicamente il marito di intrattenere rapporti incestuosi con la sorella e con il di lei marito, non è in sé lontanamente paragonabile a quello addebitato al Bardi e consistito nell'averla ripetutamente ingiuriata, denigrata, percossa e privata dei mezzi di sussistenza. Richiama quindi la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. 15101/2004) secondo cui, in tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner - essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.
6. I quesiti di diritto formulati dalla ricorrente sono palesemente inammissibili o impongono una risposta contraria a quella perorata. Il primo si risolve, nella prima parte, in una petizione di principio (se è addebitatale la separazione al coniuge che rende intollerabile la prosecuzione del rapporto) mentre, nella seconda parte, pretende di escludere rilevanza, con una valutazione di merito, ai comportamenti asseritamente diffamatori quando sono espressione di reazione al disagio psico-fisico procuratogli dal comportamento del congiunto. Il secondo quesito pone un interrogativo assolutamente non pertinente al caso che si discute (se non sia addebitabile la separazione al coniuge che sospetta una relazione extra-coniugale dell'altro coniuge). Il terzo recita: vero che non è addebitabile la separazione al coniuge ove non si dimostri che il venir meno agli obblighi imposti sia stato elemento unico e determinante per la crisi coniugale e quindi alla impossibilità della prosecuzione del rapporto. Il quesito si basa su una concezione erronea che renderebbe impossibile l'addebito ad entrambi i coniugi della responsabilità. A prescindere da ogni considerazione sulla difficoltà di stabilire quando un comportamento contrario agli obblighi derivanti dal matrimonio sia stato esclusivamente determinante della crisi del rapporto, è evidente che vi possano essere contemporaneamente comportamenti di entrambi i coniugi valutabili come gravemente contrari ai doveri imposti dal matrimonio e che sono astrattamente idonei a produrre la rottura del rapporto coniugale. Il quarto quesito afferma l'erroneità della sentenza della Corte di appello per aver ritenuto una quota di addebito della separazione alla moglie per avere la stessa ritenuto possibile un rapporto extra-coniugale tra il marito e la di lui sorella. Tale affermazione non coglie assolutamente la ratio decidendi della Corte fiorentina che si è basata sull'accertamento, non contestato, della ossessiva e reiterata accusa al B. di adulterio e di rapporti sessuali con la sorella e con il cognato, accusa che la W. ha esternato nei confronti di parenti, amici, conoscenti e persino dipendenti del B. senza avere fornito, nel corso del giudizio, alcun riscontro o indizio che potesse giustificarla. La Corte fiorentina ha valutato questo comportamento, anche a prescindere dalla valutazione della sua rilevanza penale, come gravemente contrario al dovere di rispetto che deriva dal matrimonio e integrativo di un grave vulnus alla comunione materiale e spirituale dei coniugi. La Corte di appello ha poi rilevato che tali comportamenti precedettero quelli oggettivamente più gravi del B. e che non possono pertanto considerarsi come una forma di reazione alle vessazioni subite dal B. . La Corte però non ha affatto posto un nesso di causalità né alcuna forma di giustificazione fra le gravi accuse diffamatorie della W. e il successivo comportamento violento e umiliante nei confronti del coniuge tenuto dal B. . Ha invece affermato che il comportamento della W. , privo di qualsiasi attestazione della veridicità delle infamanti accuse mosse pubblicamente al marito, costituisce un illecito a sé stante che ha quanto meno concorso a determinare la situazione di intollerabilità della convivenza e che perciò comporta la (cor)responsabilità della separazione.
7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che il comportamento della ricorrente costituì la reazione a un comportamento del B. qualificabile come mobbing. La W. che, non più in giovane età, aveva lasciato il suo contesto sociale e familiare nazionale per venire in Italia come coniuge del B. , si era venuta da subito a trovare in una situazione coniugale caratterizzata da assenza di intimità e rapporti sessuali, dall'imposizione del lavoro di badante del suocero e di addetta ai lavori domestici più umili, compensata da un atteggiamento svalutativo se non denigratorio del marito che aveva, in sostanza, dimostrato di essersi recato in XXXXXXX a cercare una solerte domestica e non una moglie. In tale contesto l'assenza di rapporti sessuali e di intimità con il marito aveva acceso i sospetti di una relazione extra-coniugale confermata dall'averlo colto in più occasioni in atteggiamenti intimi. Se la Corte fiorentina avesse valutato il suo comportamento in questo contesto avrebbe quindi dovuto escludere la responsabilità della separazione a suo carico dato che tale comportamento si qualificava come una denuncia, magari esasperata o non accorta, della grave privazione affettiva subita con il matrimonio. Per altro verso costituiva un onere eccessivo e ingiustificato addossarle la prova della veridicità delle accuse propagate ai danni del marito in conseguenza di uno stato di esasperazione.
8. I quesiti di diritto sono anche in questo caso inammissibili ovvero comportano una risposta contraria a quella sottesa alla loro formulazione. Il secondo e terzo costituiscono una mera ripetizione di quesiti posti relativamente al primo motivo di ricorso. Il quarto è palesemente fuori tema dato che si riferisce agli elementi che il giudice deve valutare nel determinare l'assegno di mantenimento e consiste, nella seconda parte, nella scontata richiesta di constatazione della impossibilità di disporre l'assegno di mantenimento a favore del coniuge che con il proprio comportamento è venuto meno ai doveri coniugali e ha determinato la crisi matrimoniale.
9. Quanto al primo quesito (se il comportamento di un coniuge sia la reazione ad atteggiamenti vessatori, emarginanti o di mobbing tenuti dal congiunto, non è addebitabile al primo bensì al secondo la separazione in quanto il venir meno della comunione morale e materiale è cagionato da chi per primo ha iniziato a rendere intollerabile la convivenza) si osserva quanto segue. Il quesito è carente laddove omette di descrivere e tipizzare il comportamento del coniuge incolpevole che nella specie è consistito, secondo la Corte di appello di Firenze, in "una grave violazione del dovere di rispetto che deriva dal matrimonio e in un eccezionale vulnus alla comunione materiale e spirituale fra i coniugi".
10. La descrizione di un quadro relazionale intollerabile sin dall'inizio del matrimonio e ascrivibile all'intenzione del B. di porre in essere un rapporto di mobbing e di asservimento in danno della persona che aveva sposato con secondi fini, appare una deduzione del tutto nuova se raffrontata al testo della sentenza della Corte di appello di Firenze che ha riscontrato comportamenti gravemente lesivi degli obblighi di convivenza e di rispetto della persona a carico del B. solo in epoca successiva al comportamento diffamatorio della W. e ha quindi escluso che tale comportamento potesse costituire una ritorsione o una forma di reazione esasperata da parte della W. . Né la difesa della ricorrente ha citato gli elementi istruttori che la Corte fiorentina avrebbe ignorato o mal valutato e che l'avrebbero dovuta condurre a una ben diversa valutazione del suo comportamento. Sotto questo profilo, sebbene il quesito rappresenti una ipotesi plausibile o quanto meno non astrattamente infondata, la censura che ne deriva alla decisione impugnata è carente sotto il profilo della autosufficienza e come tale deve essere valutata come una rappresentazione del tutto nuovo dei fatti rilevanti ai fini del giudizio che risulta palesemente inammissibile in questa sede.
11. Con il terzo motivo di ricorso si censura la condanna alle spese pronunciata dalla Corte fiorentina nei confronti dell'odierna ricorrente. Il motivo è palesemente inammissibile perché investe una valutazione discrezionale del giudice di merito del tutto coerente con il criterio dell'onere delle spese a carico del soccombente.
12. Va pertanto respinto il ricorso con condanna alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di 200,00 Euro per esborsi. Dispone che in caso di pubblicazione della presente sentenza sia omessa l'indicazione dei nominativi delle parti.
Avv. Antonino Sugamele

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