Due americani residenti in Italia divorziano. Legittima la sentenza di delibazione del giudicato dello Stato del Texas anche se il Giudice americano non statuisce nulla sui figli.
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. - Sent. del 30.07.2012, n. 13556
Presidente Luccioli - Relatore Giancola
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 21.5.2009, M.H.F. chiedeva il riconoscimento nell'ordinamento italiano, ai sensi dell'art 64 della legge 31.5.1995, n. 218, della sentenza emessa il 3-23.12.2008 dal Tribunale di H. - Corte distrettuale della Contea di Harris - 312° Distretto Giudiziario - Stato del Texas (U.S.A.), con cui era stato dichiarato il suo divorzio dalla moglie J.M.S., approvando l'accordo sottoscritto nell'occasione dai coniugi stessi, con il quale essi avevano anche diviso il patrimonio comune familiare e rimesso alla giurisdizione italiana le decisioni sull'affidamento e mantenimento dei loro figli Z.H., nata a B. (U.S.A.) il (…), e L.B., nato a H. (U.S.A.) il (…), sentenza che non era stata impugnata ed era passata in giudicato secondo la legge processuale dello Stato del Texas.
S.J.M., costituitasi in giudizio, si opponeva all'accoglimento della domanda, assumendo l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento in Italia della sentenza straniera, deducendo che:
- tra le parti era in corso avanti al Tribunale di Verona una causa di separazione giudiziale, da lei promossa con ricorso depositato il 29.11.2006, ma notificato al marito dopo che questi le aveva notificato l'istanza di divorzio presentata ai giudice texano il 13-20.12.2006: la causa di separazione era stata definita in primo grado con declaratoria di estinzione del giudizio per effetto della sentenza estera di divorzio, pronunciata con ordinanza-sentenza (del 16.06.2009) contro cui ella aveva interposto (reclamo dichiarato inammissibile e) appello (respinto);
- posto che i coniugi erano privi di una legislazione comune, essendo originari di stati americani differenti, per l'individuazione della legge applicabile alla regolamentazione dello scioglimento del matrimonio andava fatto riferimento ai sensi dell'art. 31 della L. n. 218/1995, a quella dello Stato nel quale era prevalentemente localizzata la vita matrimoniale al momento della domanda di separazione, ossia la legge italiana, essendosi la famiglia trasferita a Verona dal 2002, città nella quale si erano perfettamente integrati anche i figli, che ivi frequentavano le scuole;
- nel procedimento di divorzio non erano stati rispettati i suoi diritti di difesa, giacché ella era stata costretta ad accettare la giurisdizione texana ed a sottoscrivere l'accordo del 22.1.2007 per il divorzio e la divisione dei beni, al fine di ottenere dal marito la riconsegna dei passaporti dei figli, per potere con loro fare rientro in Italia, perché potessero riprendere gli studi;
- la sentenza di divorzio era manifestamente contraria all'ordine pubblico, non contenendo alcuna disposizione in merito all'affidamento ed al mantenimento dei figli minori.
Con sentenza del 4.10-28.12.2010, la Corte di appello di Venezia, su conforme parere del PG, dichiarava l'efficacia, nel territorio della Repubblica, della sentenza pronunciata dal Tribunale di H. , compensando la metà delle spese del giudizio e ponendo la residua parte a carico della S.
La Corte territoriale osservava e riteneva:
- che sussisteva la sua competenza territoriale, in quanto la S. risiedeva a Verona
- che per il profilo della sussistenza delle condizioni, richieste dalle norme vigenti nella Repubblica, per la dichiarazione di efficacia nel nostro ordinamento della sentenza:
a) il giudice dello Stato estero (Texas) poteva conoscere della causa, in quanto, come precisato nel provvedimento, il ricorrente al momento della domanda era domiciliato in quello Stato da almeno sei mesi e residente nella Contea di Ha. da almeno novanta giorni; sul punto non assumeva rilievo la disciplina applicabile alla regolamentazione dei rapporti matrimoniali fra le parti, e che secondo la resistente sarebbe stata la legge italiana, giacché in tema di delibazione di sentenza straniera ai sensi dell'art. 64 L. n. 218/1995 non veniva in considerazione la normativa sostanziale applicabile al rapporto controverso che quella decisione aveva risolto, bensì soltanto quella processuale riguardante la competenza giurisdizionale; in ogni caso, andava precisato che ‘‘in tema di riconoscimento di sentenza straniera di divorzio, la circostanza che il diritto straniero (nella specie, il diritto di uno Stato degli USA) prevedesse che il divorzio potesse essere pronunciato senza passare attraverso la separazione personale dei coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato, tale da consentire ai coniugi medesimi di ritornare sulla loro decisione, non costituiva ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che avesse fatto applicazione di quel diritto, per quanto concerneva il rispetto del principio dell'ordine pubblico, richiesto dall'art. 64, comma 1, lettera g), della legge 31 maggio 1995, n. 218, essendo a tal fine necessario, ma anche sufficiente, che il divorzio seguisse all'accertamento dell'irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi;
b) nel procedimento le parti erano state citate e avevano avuto la facoltà di difendersi, tant'è vero che il procedimento era stato definito sulla base dell'accordo da loro sottoscritto; la contraria affermazione della S., di essere stata indotta coattivamente a sottoscrivere l'accordo di divorzio al fine di ottenere la possibilità di rientrare in Italia con i figli, risultava priva di alcun riscontro probatorio, né ella aveva proposto mezzi istruttori idonei a dimostrare tale circostanza: le uniche prove dedotte dalla resistente nella comparsa di risposta che avrebbero potuto riguardare questo aspetto, erano i cap. n. 17-18, ma come formulati apparivano ininfluenti; gli ulteriori capitoli risultavano anch'essi del tutto irrilevanti ai fini della pronuncia di delibazione;
c) la sentenza straniera era divenuta definitiva secondo le norme dell'ordinamento statuale estero;
d) non risultava, in difetto di qualsivoglia contrastante indicazione, che la sentenza fosse contraria ad altra pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato, né che fosse pendente, davanti ad altro giudice dello Stato, un giudizio per il medesimo oggetto delle stesse parti, iniziato prima da quello del procedimento suddetto;
e) la sentenza del giudice dello Stato estero non conteneva disposizioni dotate di effetti contrari all'ordine pubblico italiano. In ordine a quest'ultimo aspetto, l'assenza in tale pronuncia di disposizioni sulla prole non appariva costituire di per sé motivo di contrarietà all'ordine pubblico, essendosi i coniugi espressamente accordati di rimettere alla giurisdizione italiana ogni statuizione in merito ai figli ed essendo stato un tale accordo sottoscritto dal ‘‘Giudice Presidente della Corte”. Questo accordo, riguardante anche l'accettazione del Tribunale di H. in ordine alla pronuncia di divorzio, veniva richiamato nella sentenza, cosicché doveva presumersi che il giudice straniero, nell'omettere di provvedere sulla prole, avesse implicitamente rinviato al giudice italiano di occuparsene, come concordemente richiesto dalle parti.
Avverso questa sentenza la S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrato da memoria e notificato al PG % il giudice a quo ed al F., che ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la S. denunzia
1. ‘‘In relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 64 della L. n. 218/1995 per aver la Corte d'Appello ritenuto applicabile l'art. 64 L. 218/95 anziché l'art. 66 L. 218/95; violazione di legge con riferirrento all'art. 31 L. 218/1995.”
Deduce che nell'individuazione dei requisiti del riconoscimento la Corte d'Appello avrebbe dovuto riferirsi non all'art. 64 della L. 218/95, ma al successivo art. 66 della medesima legge, atteso che la sentenza del Tribunale di H. doveva ritenersi assimilabile ad un provvedimento di volontaria giurisdizione, perché emesso all'esito di un accordo privato tra i coniugi concernente lo scioglimento del loro matrimonio, sicché, ai sensi del precedente art. 31 dello stesso testo normativo ed al criterio residuale ivi previsto, della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, la legge applicabile al caso de quo doveva individuarsi non in quella texana, ma in quella italiana, e, pertanto, la delibazione richiesta da controparte non poteva essere concessa, per contrasto con gli artt. 31 e 66 della Legge 18/1995.
Il motivo non è fondato.
Nella doverosa applicazione dell'art. 67 della legge n. 218 del 1995, che disciplina l'attuazione sia delle sentenze straniere di cui all'art. 64, che dei diversi provvedimenti stranieri di cui agli artt. 65 e 66 del medesimo testo, la Corte distrettuale ha ineccepibilmente recepito le regole riservate dall'art. 64 al riconoscimento delle sentenze (in tema, cfr. cass. n. 10378 del 2004), in luogo di quelle, impropriamente invocate per assimilanzione dalla ricorrente previste dall'art. 66 per il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria, a tale ambito non potendosi ricondurre la pronuncia estera da attuare, resa da giudice straniero nonché formalmente e sostanzialmente espressiva di potere giurisdizionale, pur se di contenuto anche aderente agli accordi sopravvenuti tra le parti.
I giudici di merito hanno, quindi, ineccepibilmente accertato la ricorrenza anche del requisito di cui all'art. 64 lett. a) della legge n. 218 del 1995, ossia che il giudice straniero che aveva pronunciato la sentenza poteva conoscere della causa secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, quali espressi dagli artt. 32 e 3, commi 1 e 2 della medesima legge, applicando conclusivamente i criteri propri della competenza territoriale e, dunque, l'art. 18 del codice di rito (in tema cfr. cass. n. 13662 del 2004; n. 4435 del 2308).
2. ‘‘In relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 64 della L. n. 218/1995 per aver la Corte d'Appello ritenuto sussistente il requisito del rispetto dei diritti essenziali della difesa di cui al punto b) della suddetta norma di legge - In relazione all'art. 360 comma 1 n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Sostiene che è mancato l'accertamento del rispetto dei suoi diritti di difesa nel procedimento svoltosi davanti al Tribunale di H. , che controparte ha inosservato l'onere probatorio a suo carico, dal momento che avrebbe dovuto provare, non solo il rispetto formale della normativa processuale da parte del Tribunale texano, ma anche che tale normativa non si poneva in contrasto con i fondamentali diritti della difesa processuale vigenti nell'ordinamento italiano, allegare la legge straniera e dimostrare che essa era stata rispettata, e lo stesso avrebbe dovuto fare in merito alla costituzione delle parti e al passaggio in giudicato della sentenza.
3. ‘‘In relazione all'art. 360 comma 1 n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Sostiene che nel ritenere sussistente il requisito del rispetto dei diritti essenziali della difesa nel procedimento avanti il Tribunale texano, è stata del tutto trascurata la circostanza che era stata costretta a sottoscrivere l'accordo del 22/01/2007, per ottenere dal marito la riconsegna dei passaporti dei figli e potere con gli stessi fare rientro in Italia. Si duole ancora che le deduzioni istruttorie da lei articolate su tali circostanze siano state liquidate dalla Corte di Appello in modo sbrigativo come ‘‘ininfluenti” e siano state, pertanto, respinte.
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso, che involgendo questioni connesse consentono esame congiunto, non hanno pregio, risolvendosi in rilievi critici o infondati o inammissibili.
Se da un canto, in applicazione dell'art. 14 della legge n. 218 del 1995, l'accertamento della legge straniera da parte del giudice nazionale deve essere compiuto d'ufficio, sicché non può essere addebitata al F. l'eventuale mancata prova della normativa estera, dall'altro la Corte distrettuale ha irreprensibilmente verificato che la comunicazione o notificazione dell'atto introduttivo del giudizio aveva rispettato le regole previste dal diritto straniero, che la pronuncia era divenuta definitiva secondo le norme dell'ordinamento statuale estero e che erano stati anche soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento italiano, in modo tale da non ledere i diritti essenziali della difesa, primo tra tutti quello al contraddittorio (in tema, cfr. cass. n. 16978 del 2006). A tale ultimo riguardo non ha nemmeno trascurato di esaminare la prospettazione della S. circa la subita coartazione alla sottoscrizione dell'accordo divorzile, avendo evidenziato l'assenza di riscontro probatorio e l'ininfluenza delle prove da lui dedotte sul punto, valutazione che la ricorrente inammissibilmente avversa con censure generiche e prive di autosufficienza, stante la mancata trascrizione delle prove che assume articolate e non ammesse nel pregresso grado di merito.
4. ‘‘In relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 64 della L. 218/1995 per aver la Corte d'Appello ritenuto sussistente il requisito della non contrarietà degli effetti della sentenza all'ordine pubblico di cui al punto g) della suddetta norma di legge”.
Si duole che la Corte di merito abbia giudicato gli effetti della sentenza del tribunale texano come non contrari all'ordine pubblico, nonostante mancasse completamente la regolamentazione concernente l'affido dei figli ai genitori ed il contributo al mantenimento degli stessi, oltre che del coniuge economicamente più debole, e, quindi, fosse manifestamente lesiva dei diritti inviolabili e indisponibili della prole, sanciti anche a livello costituzionale.
Il motivo non merita favorevole apprezzamento.
La sentenza di divorzio pronunciata dal giudice straniero fra cittadini non italiani, ove, come nella specie, non indichi compiutamente le condizioni di affidamento e di mantenimento inerenti alla prole minorenne degli ex coniugi, non può essere ritenuta contraria all'ordine pubblico, dal momento che nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia gettata in un unico contesto, che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio (contemplata dall'art. 4 commi 12 e 13, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel testo sostituito dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. nella legge n. 80 del 2005) con possibile rinvio al prosieguo anche per l'adozione dei provvedimenti definitivi relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento. (In tema, tra le altre, cfr. cass. n. 4873 del 1993), che, inoltre, può essere dichiarata efficace nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, per effetto della quale l'affidamento ed il mantenimento della prole diviene regolabile dalla normativa interna sul matrimonio putativo (cfr. tra le altre, cass. n. 2728 del 1995), che in materia di filiazione e di rapporti personali tra genitori e figli ciascuno dei genitori stranieri, se residente in Italia, può adire il giudice italiano a norma dell'art. 37 della legge n. 218 del 1995.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore del controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la S. a rimborsare al F. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs. n 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Depositata in Cancelleria il 30.07.2012
23-08-2012 19:24
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