Divorzio. Il giudice che dichiara il divorzio deve tener conto degli accordi intercorsi tra i coniugi ins sede di separazione
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ.- Sent. del 13.01.2012, n. 387
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato l'1 giugno 2009 il signor P. M. conveniva dinanzi al Tribunale di Prato il proprio coniuge, signora M. P. per sentir dichiarare la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio concordatario, con accertamento dell'insussistenza di alcun obbligo di mantenimento in favore della moglie e dei due figli e del venir meno del diritto all'assegnazione della casa coniugale riconosciuto loro in sede di separazione consensuale.
Costituitasi ritualmente, la signora P. non si opponeva alla domanda principale, né alla richiesta accessoria di cessazione dell'assegno di mantenimento del figlio L. divenuto autosufficiente dall'agosto 2003. Chiedeva invece in via riconvenzionale un assegno di mantenimento in favore dell'altra figlia e un assegno divorzile per se stessa, oltre all'assegnazione della casa coniugale.
Con sentenza parziale 9 gennaio 2006 il Tribunale di Prato dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Con sentenza definitiva 2 febbraio 2007 il medesimo giudice poneva a carico del M. l'obbligo di versare all'ex moglie la somma mensile di euro 200,00 per il mantenimento della figlia convivente, rigettando ogni altra domanda.
La Corte d'appello di Firenze rigettava con sentenza 25 giugno 2007 il gravame principale della signora P. e in accoglimento dell'impugnazione incidentale del M. rigettava le domande ex adverso proposte nei suoi confronti, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio.
Motivava
- che l'esiguità delle risorse di cui disponeva il M., operaio a basso reddito, gravato di obblighi di sostentamento del suo nuovo nucleo familiare, e, per contro, l'autosufficienza economica
dichiarata al momento della separazione coniugale dalla P. escludevano alcun'obbligazione di mantenimento nei confronti di quest'ultima, il cui dedotto peggioramento non poteva dirsi ricollegabile alla cessazione del vincolo coniugale derivando, piuttosto, da problemi di salute sopraggiunti nel tempo;
- che l'abbandono della precedente occupazione lavorativa da parte della figlia, divenuta socia accomandataria della società che gestiva un pubblico esercizio di bar, dimostrava la sua disponibilità economica;
- che il venir meno dei presupposti per l'erogazione del contributo di mantenimento sia nei confronti della moglie, che della figlia, eliminava in radice il problema dell'assegnazione della casa coniugale in comproprietà, il cui regime giuridico rispondeva alla disciplina ordinaria della comunione.
Avverso la sentenza notificata il 13 dicembre 2007 la signora P. proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, notificato l'11 febbraio 2008 ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile.
Deduceva
1) la violazione di legge in materia di assegno divorzile, perché la Corte d'appello di Firenze pur riconoscendo i suoi gravi problemi di salute, affetta da diabete mellito di tipo uno, aggravatosi nel tempo, aveva escluso l'assegno di mantenimento per il solo fatto che ella si fosse dichiarata economicamente autosufficiente all'epoca della separazione
2) la violazione di legge in materia di assegnazione della casa familiare;
3) la carenza di motivazione in ordine al diniego dell'assegnazione della casa familiare, perché la corte territoriale non aveva tenuto conto dell'accordo intercorso tra i coniugi in sede di separazione consensuale.
Resisteva con controricorso il signor M.
All'udienza del 21 novembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore del M. precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge in materia di assegno divorzile
Il motivo è inammissibile.
La Corte d'appello di Firenze ha richiamato una pluralità di elementi di fatto rilevanti ai fini del diniego dell'assegno di mantenimento. Da un lato, ha posto in evidenza, infatti, il reddito esiguo del M. e l'aggravio di spese doverose in conseguenza della formazione di un nuovo aggregato familiare. Dall'altro, oltre a richiamare la dichiarata autosufficienza economica pregressa della signora P. ha presuntivamente accertato l'utilità economica che la stessa traeva dalla partecipazione ad un'impresa economica di bar - gestita in forma di s.a.s. - insieme con il suo nuovo compagno e con la figlia (che ne rivestiva la qualità di socia accomandataria, con la conseguente assunzione di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali).
Si tratta quindi di una ratio decidendi complessa di cui la ricorrente contesta un solo aspetto, con il motivo in esame, insufficiente, di per sé, a caducare la pronunzia.
Infondato si palesa il secondo motivo con cui si censura la violazione di legge in materia di assegnazione della casa familiare
L'art. 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74, subordina il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi. In assenza di tale presupposto la casa in comproprietà non può essere assegnata dal giudice in sostituzione
quale componente dell'assegno di mantenimento ( di separazione divorzio) e resta soggetta alle norme sulla comunione, in ordine all'uso e all'eventuale divisione (Cass., sez. l, 21 gennaio 2011, n. 1491; Cass., sez.1, 22 marzo 2007, n. 6979). Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, dopo aver escluso l'obbligazione di mantenimento nei confronti della figlia maggiorenne, convivente con la madre, statuizione, non impugnata in questa sede e quindi irrevocabile.
Con il terzo motivo si denunzia la carenza di motivazione in ordine al diniego dell'assegnazione della casa familiare.
La censura è fondata.
La corte territoriale, nel rigettare la domanda di assegnazione della casa familiare alla signora P., richiamando, come detto, la carenza del presupposto della coabitazione della P. con figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, ha fatto salva, nel contempo, l'esistenza di eventuali accordi di natura negoziale, intercorsi in sede di separazione, ritenendoli impregiudicati dalla sentenza.
Sotto questo profilo, la decisione non appare corretta, dal momento che il giudicato formatosi sul rigetto della domanda di assegnazione copre il dedotto ed il deducibile, incluso quindi il regolamento convenzionale - riportato testualmente nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza - che si assume consacrato nel verbale di separazione personale, destinato ad avere vigenza temporalmente indeterminata fino al verificarsi della condizione ivi prevista.
(”L'immobile in questione verrà posto in vendita a terzi con modalità che i coniugi stessi stabiliranno di comune accordo, quando i figli L. e V. trasferiranno altrove la loro residenza e quindi tale abitazione non sarà più di loro necessità”).
La sentenza impugnata appare quindi viziata laddove non dà conto delle ragioni - eventualmente sopravvenute - per le quali tale accordo non dovrebbe influire sulla domanda di assegnazione della casa coniugale in sede di giudizio di divorzio.
La sentenza deve essere dunque cassata in parte qua, con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase
di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati primi due, cassa la sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art.52 d. Igs. 30 Giugno 2003, n .196 (Codice in materia di protezione dei dati personali)
Depositata in Cancelleria il 13.01.2012
18-01-2012 00:00
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