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Sentenza

La natura giuridica dell'assegno divorzile
La natura giuridica dell'assegno divorzile
Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 03/10/2023) 03-11-2023, n. 30712
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente -

Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -

Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere -

Dott. VALENTINO Daniela - Consigliere -

Dott. AMATORE Roberto - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15797 2022 r.g. proposto da:

A.A. (cod. fisc. (Omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Luciana Petrella e Giovanni Galoppi, con cui elettivamente domicilia in Roma Via Sistina n. 42, presso lo studio dell'Avvocato Galoppi.

- ricorrente -

contro

B.B., nata il (Omissis) ed ivi residente (Omissis), con il patrocinio dell'avv. Cristiana Corsini e dell'avv. Tania Nicolini.

- controricorrente -

avverso sentenza n. 848/2022 pubblicata dalla Corte D'Appello di Bologna il 13.04.2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/10/2023 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Svolgimento del processo

1.Su ricorso di A.A., il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 221/2021 del 19 novembre 2020 - 22 gennaio 2021, dopo avere pronunciato, con precedente sentenza parziale n. 242/2018, lo scioglimento del matrimonio, contratto dal predetto A.A. e da B.B. il 24 ottobre 2009, ha disposto l'affido condiviso del figlio minore C.C., nato il (Omissis), a entrambi i genitori, con la precisazione che le decisioni di maggiore interesse per il figlio sarebbero state assunte di comune accordo e che ognuno dei genitori avrebbe assunto le decisioni di ordinaria amministrazione quando avesse tenuto il minore presso di sè; ha disposto il collocamento del figlio minore predetto presso la madre, alla quale è stata assegnata la casa familiare sita in (Omissis) (Omissis), di proprietà esclusiva del A.A., e i mobili in essa contenuti, affinchè vi abitasse insieme al figlio minorenne; ha regolamentato la frequentazione tra il genitore non collocatario e il figlio minorenne; ha posto a carico di A.A., dalla data della domanda, detratto quanto già corrisposto per il medesimo titolo, l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, versando alla madre, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 1.500,00 Euro, annualmente rivalutabile secondo gli indici Istat, su conto corrente che gli sarebbe stato tempestivamente comunicato; ha ripartito le spese straordinarie relative al minore, ponendole a carico del padre per il 70% e a carico e della madre per il 30%; ha dato atto dell'obbligo del A.A. di contribuire al mantenimento del figlio C.C., anche attraverso il pagamento della rata del mutuo ipotecario gravante sulla casa familiare; ha, ancora, dato atto dell'obbligo del A.A. di contribuire al mantenimento del minore predetto, anche attraverso il pagamento delle spese condominiali e delle utenze domestiche, per un importo di 500,00 Euro mensili; ha fatto obbligo al A.A. di versare, entro il giorno 5 di ogni mese, alla B.B., la somma di Euro 600,00, annualmente rivalutabile secondo gli indici Istat, su conto corrente intestato alla medesima che gli sarebbe stato tempestivamente comunicato, dalla data della domanda, a titolo di contributo per il mantenimento, e, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio, a titolo di assegno divorzile; ha condannato il A.A. a rimborsare alla B.B. le spese di lite.

2. - A.A., con ricorso depositato in data 22 febbraio 2021, ha proposto tempestivo appello avverso la sentenza predetta, censurando, con riferimento ai principi espressi da Cassazione Sezioni Unite 18287/2018, la statuizione con la quale era stato riconosciuto alla B.B. l'assegno divorzile, e il capo con il quale egli appellante era stato condannato a rimborsare all'appellata le spese di lite, sul presupposto che l'esito della lite ne giustificasse la compensazione. A.A. ha, dunque, chiesto che, in riforma dell'impugnata sentenza, venisse revocato l'assegno divorzile riconosciuto in favore di B.B. e fosse disposta l'integrale compensazione delle spese processuali del primo grado del giudizio.

3. Si è costituita in giudizio B.B. e ha resistito all'appello, invocandone il rigetto.

E' intervenuto il Procuratore Generale e ha chiesto la conferma della sentenza appellata.

La Corte territoriale, nel provvedimento qui impugnato, ha in primo luogo ricordato che il Tribunale aveva evidenziato: -che il A.A., nel 2006, aveva acquistato la casa coniugale di (Omissis) in (Omissis), vale a dire un appartamento di 250 mq cica, per l'importo di 930.000,00 Euro, sostenendo anche il costo degli interventi di ristrutturazione e degli arredi; -che, nel 2007, aveva versato sul conto (Omissis) della moglie 49.650,00 Euro e sempre nel corso dello stesso anno, aveva regalato alla B.B. una (Omissis) da 111.400,00 Euro; -che il A.A., nel maggio 2007, aveva acquistato una (Omissis); -che, nell'anno 2008, aveva versato sul conto (Omissis) e (Omissis) della B.B. la somma di 89.570,00 Euro e le aveva regalato un anello da 45.000,00 Euro; -che il A.A., nel giugno 2011, aveva acquistato una (Omissis) da 179.000,00 Euro e, nel corso degli anni, aveva regalato alla moglie quattro parure di (Omissis) del valore di listino di circa 143.000,00 Euro, oltre a diversi orologi di valore di marche prestigiose; -che lo stesso, nell'anno 2013, aveva effettuato alla moglie versamenti per la somma complessiva di 26.330,00 Euro e, nel 2014, aveva deciso di vendere la (Omissis) e di acquistare una vettura del costo di 105.000,00 Euro; che, anche dopo la separazione, il A.A. aveva mantenuto un tenore di vita molto elevato, come dimostravano un contratto di locazione per un'abitazione situata in (Omissis) al canone annuo di 30.000,00 Euro, l'esistenza di investimenti, all'atto della separazione, presso (Omissis), per 180.000,00 Euro, il versamento di 200.000,00 Euro alla figlia D.D. (nata da precedente relazione), nel (Omissis), nonchè gli estratti conto della carta di credito (Omissis) dal 2015 al 2018 e della carta Si dal 2015 al 2018, che evidenziavano movimenti di denaro per oltre 500.000,00 Euro; -che il ricorrente continuava a pagare 17.000,00 Euro annui per il mutuo della casa coniugale e 18.000,00 Euro per il mantenimento del figlio C.C., nonchè a sostenere le spese condominiali e i costi delle utenze della abitazione ex coniugale e di quella di attuale residenza; -che il A.A. deteneva il 25% delle quote della (Omissis) Spa che disponeva di un capitale sociale di 2.400.000,00 Euro, ed aveva una posizione amministrativa nello studio (Omissis), che sebbene posto in liquidazione, aveva effettuato al A.A., come dedotto dalla B.B., sulla scorta della documentazione bancaria, versamenti per complessivi 743.221,58 Euro; -che la B.B., che prima del matrimonio era una donna di 35 anni indipendente e dalle plurime occupazioni (commerciante, indossatrice e pubbliche relazioni), e che, all'atto della dissoluzione dell'unione coniugale, si era trovata ad avere dieci anni di più, senza esperienze spendibili nel suo particolare profilo professionale, con una casa importante da gestire e con un figlio da accudire; -che la B.B. aveva tentato di avviare un'attività imprenditoriale in proprio, la B.B., che però aveva dovuto chiudere dopo pochi anni perchè in costante perdita; -che, infatti, la stessa aveva conseguito redditi annui di 5.096,00 Euro, nel 2014, e di 4.870,00 Euro nel 2016; -che emergeva anche un reddito negativo per l'anno 2015; -che particolarmente significativa era la sperequazione tra i redditi del A.A., anche a volere tenere conto solo di quelli emergenti dalle dichiarazioni fiscali relative al periodo 2011-2016;-che i dati relativi alla situazione economica delle parti, sopra riportati, che emergevano da sentenza della Corte di Appello di (Omissis), emessa nel giudizio di separazione, risultavano confermati dai documenti prodotti anche nel giudizio di divorzio; -che dalla dichiarazione dei redditi relativa all'esercizio 2018, prodotta dal A.A., emergeva un imponibile di 84.065,00 Euro, corrispondente a 4.800,00 Euro mensili netti; -che il ricorrente, con il reddito predetto, non avrebbe potuto certo sostenere gli attuali obblighi economici che il suo tenore di vita comportava; -che la B.B., per contro, aveva attestato, sotto la propria responsabilità, di non avere raggiunto, negli anni 2017,2018 e 2019, la soglia di reddito minima che rendeva obbligatoria la presentazione di dichiarazione dei redditi; -che secondo la pronuncia n. 18287/2018 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, l'assegno divorzile aveva natura composita e, pertanto, ai fini di una applicazione equilibrata dei vari elementi di cui al Legge 898 del 1970, art. 5 comma 6, dovevano venire in considerazione le condizioni economiche dei coniugi (profilo assistenziale) e il contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e di quello personale di ciascuno dei coniugi(profilo compensativo), in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto;-che l'accertamento relativo all'inadeguatezza dei mezzi ed all'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive doveva, dunque, essere saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari; -che, nel caso di specie, la sproporzione, tra le disponibilità economiche del A.A. e quelle della B.B. era pacifica e rilevante, posto che quest'ultima era proprietaria esclusivamente della quota di 1/9 della casa, con annesso garage, ereditata dal padre e sita a (Omissis), avente, quindi, valore commerciale esiguo; -che la B.B., quando aveva iniziato a convivere e si era poi sposata con il A.A., gestiva un negozio di sua proprietà in (Omissis) ((Omissis)), si occupava di pubbliche relazione e lavorava come indossatrice e per alcune emittenti televisive locali; -che la stessa aveva, poi, smesso di lavorare, in quanto il progetto condiviso con il marito prevedeva che si occupasse in via prevalente della famiglia; -che la B.B., allorchè aveva preso coscienza della crisi coniugale, aveva intrapreso un'attività imprenditoriale, con il marchio di abbigliamento e accessori "B.B.", ma tale attività non era decollata ed era stata chiusa nel 2016; -che la resistente era, quindi, disoccupata e senza esperienze da spendere, posto che i lavori di indossatrice e di PR non erano adeguati ad una donna di (Omissis); -che la stessa non aveva, quindi, una capacità lavorativa effettiva e non era, perciò, ragionevole ritenere che potesse trovare una occupazione, dovendo, peraltro, occuparsi anche del figlio; -che ricorrevano, pertanto, i presupposti, sia sotto il profilo assistenziale che sotto quello perequativo e compensativo, per riconoscere alla B.B. un assegno divorzile, quantificabile in 600,00 Euro, beneficiando la stessa della casa familiare, di proprietà esclusiva del A.A.. Tanto premesso in relazione al primo grado di giudizio, la Corte territoriale ha rilevato che: a) in relazione al primo motivo di appello - con il quale l'appellante aveva dedotto che il Giudice di prime cure, riconoscendo il diritto di B.B. ad ottenere l'assegno divorzile, si sarebbe discostato dai principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 18287/2018 - ha sconfessato le doglianze così proposte, ritenendo che: (i) non era stata contestata, nell'atto di impugnazione di A.A., la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, quale delineata dal Giudice di prime cure, che si è sopra riportata; (ii) risultava, dunque, evidente, innanzitutto, la manifesta sproporzione tra le situazioni economiche delle parti, essendo la B.B. attualmente priva di qualsiasi reddito e proprietaria della quota di 1/9 di un immobile; (iii) pur dovendosi senz'altro escludere, come anche sostenuto dal A.A. nell'atto di impugnazione, che l'appellata avesse potuto contribuire alla formazione dell'ingente patrimonio e al consolidamento delle elevatissime potenzialità reddituali dell'appellante, attestate dal tenore di vita di quest'ultimo, avuto riguardo alla breve durata del matrimonio (appena cinque anni), tuttavia poteva al contrario considerarsi provato che B.B. avesse cessato, in ragione del matrimonio, ogni attività lavorativa, in forza di un accordo con il marito, per dedicarsi alla famiglia e al figlio; (iv) deponevano per tale convincimento, una serie di elementi indiziari, quali la circostanza che la cessazione di ogni attività lavorativa, da parte della appellata, fosse coincisa con il matrimonio, gli ingenti versamenti di denaro effettuati dal A.A. su conti correnti intestati a B.B., dei quali aveva dato ampiamente conto il Giudice di prime cure (e tale accertamento non era stato contestato nell'atto di appello) e l'avvio, da parte di quest'ultima, di una nuova attività commerciale in epoca prossima alla separazione; v) gli elementi fattuali ora evidenziati rendevano evidente che i coniugi avessero previsto che l'appellata si dedicasse, a tempo pieno, alla famiglia e all'accudimento del figlio e che ad ogni esigenza economica del nucleo familiare (prima di fatto, essendo il figlio nato in epoca antecedente al matrimonio) provvedesse, invece, il A.A.; (vi) la B.B. aveva, dunque, abbandonato l'attività commerciale in precedenza svolta, rinunciando anche alle attività lavorative di indossatrice e di pubbliche relazioni; (vii) che l'impossibilità di riprendere le attività lavorative da ultimo indicate dipendesse anche dall'età dell'appellata ((Omissis)), ma non poteva non considerarsi, tuttavia, che la scelta operata dai coniugi avesse impedito alla B.B. di acquisire competenze in settori lavorativi diversi e di coltivare le relazioni che avrebbero potute consentirle, una volta cessata la convivenza matrimoniale, di dedicarsi nuovamente, in maniera proficua, ad attività di impresa nel settore ove aveva in precedenza operato; viii) la totale assenza di redditi, in capo alla B.B., appariva, dunque, riconducibile alla ripartizione dei ruoli, tra l'appellata e il A.A., nell'ambito del nucleo familiare dagli stessi formato; (ix) tenuto, dunque, conto delle elevatissime potenzialità reddituali del A.A., della breve durata del matrimonio, nonchè delle circostanze che l'appellata fosse del tutto priva di redditi e che la stessa beneficiasse dell'assegnazione della casa familiare, di esclusiva proprietà dell'appellante, risultava condivisibile la determinazione dell'assegno divorzile nell'importo mensile di 600,00 Euro, di cui alla sentenza impugnata; la Corte di appello ha inoltre ritenuto infondato anche il secondo motivo della impugnazione di A.A., con il quale l'appellante aveva censurato la regolamentazione delle spese di lite operata dal Giudice di primo grado, posto che la decisione del Tribunale appariva, invero, consequenziale alla pressochè integrale soccombenza del A.A..

2. La sentenza, pubblicata il 13.04.2022, è stata impugnata da A.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui B.B. ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il mancato esame di fatto decisivo relativo alla "... considerevole patrimonialità della sig.ra B.B.".

1.2 Il motivo così articolato è inammissibile.

1.2.1 Il ricorrente censura infatti la sentenza in esame, pronunciata dalla Corte D'Appello di (Omissis), perchè i Giudici di secondo grado avrebbero "omesso l'esame circa un fatto decisivo per la definizione del giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti: la considerevole patrimonialità della signora B.B., che si compone di cospicue somme liquide (circa Euro 300.000,00) e di gioielli e orologi del consistente valore per svariate centinaia di migliaia di Euro, in gran parte frutto di liberalità dell'ex marito, che escludono il riconoscimento, di un assegno divorzile" (pag. 2 del ricorso A.A.).

1.3 Risulta evidente che il ricorrente tenta di sollecitare questa Corte di legittimità ad una nuova valutazione dei fatti e delle prove, proponendo dunque censure inammissibili.

E' utile ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza 8053/2014, hanno precisato che la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l'"omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". In realtà, secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità da ultimo citata, il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5), ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Con la conseguenza che la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività'" del fatto stesso".

1.4 Così perimetrato l'ambito di applicazione del vizio di cui al sopra ricordato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui formalmente dedotto dalla parte ricorrente (cfr. anche Cass. l'Ordinanza 4 marzo 2021 n. 5987), occorre evidenziare che la formulazione del primo motivo di impugnazione non lascia dubbi sul fatto che il ricorrente abbia richiesto un nuovo apprezzamento dei fatti e delle prove, e ciò con particolare riferimento al profilo della valutazione della consistenza patrimoniale e reddituale della odierna resistente, scrutinio che, per le ragioni già sopra evidenziate, è inibito al giudice di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito.

1.5 In realtà, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - che attribuisce rilievo, per quanto già sopra ricordato, all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio) - nè in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132 c.p.c., n. 4 - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, sia perchè la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perchè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, risulta precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016).

1.6 In realtà, il ricorrente insiste nel riportare circostanze già valutate ed apprezzate dalla Corte D'Appello di (Omissis), la quale, esercitando il suo "prudente apprezzamento", aveva ritenuto, in realtà, che le stesse non potessero far venire meno il diritto della B.B. all'assegno divorzile nella misura quantificata.

1.7 Peraltro, dallo stesso quantum dell'assegno divorzile (600,00 Euro mensili), come espresso in sentenza, si comprende che la Corte abbia tenuto conto di tutti i fatti nuovamente citati da controparte, poichè, in caso contrario, l'importo dell'assegno sarebbe stato maggiore, soprattutto alla luce del divario economico esistente tra le parti, delle ingenti risorse del A.A. e dello stato di disoccupazione della B.B..

Si tratta, come già sopra più volte rilevato, di apprezzamenti in fatto che non possono essere più rimessi in discussione nel giudizio di legittimità, per le ragioni sopra spiegate.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell'art. 2729 c.c. e della L. 898 del 1970, art. 5.

2.1 Anche il secondo mezzo non supera il vaglio di ammissibilità.

2.2 Sul punto, giova ricordare che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte di legittimità (cfr. da ultimo anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022), in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni "gravi, precise e concordanti", laddove il requisito della "precisione" è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della "gravità" al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della "concordanza", richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia - di regola - desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. anche: Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n. 15737 del 2003).

2.3 Occorre evidenziare che, anche sull'asserita violazione di legge, l'articolazione del motivo risulta nella sostanza formulata in modo da non censurare l'interpretazione o falsa applicazione della disposizione di legge invocata, ma da richiedere a questa Corte un vero e proprio riesame delle circostanze di fatto: ciò, si ripete, non è ammissibile in questo giudizio di legittimità.

2.4 Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe "fatto buon governo delle norme in materia di presunzioni" ed avrebbe, pertanto, ritenuto provata una circostanza - ossia che la B.B. avesse abbandonato il lavoro, per accordo con il marito, con l'instaurazione dell'unione matrimoniale - in forza "di fatti storici privi di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da essi della conseguenza ignota".

2.5 Orbene, osserva il Collegio che la circostanza che il ricorrente richieda non una corretta applicazione della norma, ma una nuova ricostruzione dei fatti risulta evidente dalla piana lettura del motivo di ricorso qui in esame.

Anche l'allegata circostanza che la B.B. avesse tentato di riprendere in mano la sua vita professionale proprio nell'anno 2013 con la "B.B." (attività chiusa nel 2016), ossia quando aveva preso coscienza della crisi coniugale, pretenderebbe un nuovo apprezzamento di un elemento fattuale. 2.6 In termini conclusivi, può invece ritenersi che la Corte D'Appello abbia, in realtà, correttamente applicato, motivandolo, la l. 898 del 1970, art. 5 e il carattere composito dell'assegno divorzile, il quale, invero, è stato fissato nell'ammontare "contenuto" di 600,00 Euro (se raffrontato alle condizioni economiche delle parti), e ciò in ragione della corretta interpretazione della funzione assistenziale, ma anche equilibratrice e perequativo-compensativa che deve svolgere l'assegno stesso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.2000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2023
Avv. Antonino Sugamele

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