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Sentenza


Maltrattamenti in famiglia - Art. 572 cp - Azioni omissive - Degrado dell’accudimento dei minori.-
Maltrattamenti in famiglia - Art. 572 cp - Azioni omissive - Degrado dell’accudimento dei minori.-
Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza 27 febbraio 2024 n. 8617

Data udienza 24 gennaio 2024
REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta da

Dott. DE AMICIS Gaetano - Presidente

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere

Dott. ROSATI Martino - Consigliere

Dott. DI GERONIMO Paolo - Relatore

Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Ay.Sp., nata in N il omissis

avverso la sentenza dell'8/3/2023 emessa dalla Corte di appello di Palermo

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste;

lette le conclusioni formulate dall'avvocato Fr. Od., il quale chiede l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo, riformando la sentenza assolutoria resa nel giudizio abbreviato svoltosi in primo grado, condannava l'imputata per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso ai danni dei due figli minori.

2. Nell'interesse della ricorrente è stato presentato un unico motivo, con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione.

La difesa dell'imputata ricostruisce l'intera vicenda, ponendo in contrapposizione la sentenza di primo grado e quella di appello, valorizzando la valutazione probatoria contenuta nella prima.

Si sostiene, infatti, che la prova dei maltrattamenti sarebbe stata erroneamente dedotta dalle dichiarazioni rese dai figli dell'imputata.

La Corte di appello, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto sussistente una condotta maltrattante, mentre l'istruttoria aveva fatto emergere un mero quadro di disagio familiare, nell'ambito del quale emergevano le difficolta dell'imputata, essenzialmente a causa della sua dipendenza dall'alcol, di occuparsi adeguatamente dei figli minori. Ciononostante, non emergevano condotte abituali e volte ad imporre condizioni di vita familiari vessatorie, tanto più che i minori avevano riferito di sporadici ricorsi alla violenza fisica da parte della madre, essenzialmente legati ai momenti di maggiore criticità che si verificavano a causa dell'abuso di alcolici.

3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Il ricorso si sostanza in una lettura contrapposta delle decisioni di primo e secondo grado, volta a dimostrare la correttezza della sentenza assolutoria, chiedendo una sostanziale rilettura nel merito del quadro probatorio.

A ben vedere, infatti, non viene in alcun modo specificato quale sarebbe il profilo di manifesta illogicità o contraddittorietà della sentenza di appello, proponendosi esclusivamente una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.

La Corte di appello ha dato atto che, a seguito di un intervento dei Carabinieri avvenuto nel 2018 su richiesta dei figli dell'imputata, venivano avviate le indagini sulle condizioni dei minori, nell'ambito delle quali emergevano fatti sicuramente qualificabili in termini di maltrattamenti in famiglia.

In particolare, i minori riferivano di essere frequentemente picchiati dalla madre, aggiungendo che spesso erano costretti a dormire nel pomeriggio, per poi seguirla nei bar durante il corso della serata, fino a tarda notte. Inoltre, si verificava anche che la madre, per effetto dell'abuso di alcolici, non era in grado di occuparsi dei minori, né della gestione della casa, al punto che i minori rimanevano sostanzialmente privi di assistenza e del tutto abbandonati a sé stessi.

I giudici di appello, con motivazione immune da censure rilevabili in questa sede, hanno ritenuto che il quadro complessivo risultante dalle dichiarazioni dei minori e, in parte, confermato anche dalle annotazioni di servizio redatte in occasione di due interventi delle forze dell'ordine presso l'abitazione dell'imputata, nonché dagli accertamenti svolti dai servizi sociali (cui era seguita la sospensione della potestà genitoriale), era dimostrativo della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia.

Nel giungere a tale conclusione, la Corte di appello si è espressamente fatta carico di fornire specifiche risposte alle diverse conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado, sottolineando in primo luogo come il profilo della genericità delle dichiarazioni rese dai minori non era in alcun modo ravvisabile, né occorreva acquisire elementi di riscontro oggettivo che, in parte, erano comunque sussistenti.

La diversità di conclusioni tra la sentenza assolutoria e quella di condanna non dipende, pertanto, dalla diversa valutazione circa l'attendibilità delle dichiarazioni rese dai minori, bensì dalla qualificazione giuridica che è stata data alla condotta.

A tal riguardo si ritiene pienamente condivisibile la soluzione recepita dalla Corte di appello, secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia ben può essere commesso anche imponendo ai familiari - nel caso di specie i figli minori in tenera età - un regime di vita connotato non solo dal frequente ricorso a violenze fisiche, ma più in generale improntato a un generale degrado nell'accudimento (sia pur con riferimento a diversa fattispecie, si veda Sez.6, n. 12866 del 25/1/2018, Rv. 272737).

A tal riguardo, infatti, deve precisarsi che il reato di maltrattamenti può essere commesso anche in forma omissiva, lì dove il genitore non provveda ad assicurare al minore, specie se in tenera età, tutte quelle condotte di cura, assistenza e protezione a fronte di esigenze cui il minore non può altrimenti provvedere (Sez.6, n.4904, del 18/3/1996, Rv. 205035; Sez.6, n. 9724 del 17/1/2013, Rv. 254472).

Né è condivisibile la tesi del giudice di primo grado, secondo cui nella condotta dell'imputata non sarebbe ravvisabile la volontà di avvilire e sottoporre le persone offese ad un contesto di vita familiare degradante.

Invero, il reato di maltrattamenti, presupponendo il dolo generico, non implica l'intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (Sez.3, n. 1508 del 16/10/2018, Rv. 274341-02).

La reiterazione nel ricorso alla violenza nei rapporti con i figli, nonché l'abituale deficit di accudimento emerso, sono elementi di per sé dimostrativi della reiterazione di condotte idonee ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, sia sotto il profilo oggettivo che dell'elemento soggettivo del reato.

3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 24 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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