L’ordinanza segna un’evoluzione nell’interpretazione dei criteri per l’attribuzione dell’assegno all’interno del “nuovo corso” inaugurato dalle Sezioni unite con la sentenza 18287 del 2018. Questa pronuncia ha fissato la centralità della valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti, tenendo conto del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto al contributo. In questo quadro, l’assegno divorzile assume una funzione non solo assistenziale ma anche compensativa e perequativa, in attuazione del principio costituzionale di solidarietà.
Corte di Cass. Sez. 1 Civile Ord. 9 febbraio 2024 n. 4328
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria - Presidente
Dott. MELONI Marina - Consigliere
Dott. TRICOMI Laura - Consigliere
Dott. PAZZI Alberto - Consigliere-Rel.
Dott. REGGIANI Eleonora - Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27042/2022 R.G. proposto da:
Ma.Gi., elettivamente domiciliato in P, (...), presso lo studio degli Avvocati Ma. Pe. e Ma. Ro. Po., che lo rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al ricorso
- ricorrente -
contro
Ta.La., elettivamente domiciliata in P, (...), presso lo studio dell'Avvocato Gi. Da., che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 1815/2022 depositata il 7/9/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/1/2024 dal Consigliere Alberto Pazzi.
RILEVATO CHE:
1. Il Tribunale di Piacenza, con sentenza n. 74/2021, dichiarava lo scioglimento del matrimonio contratto da Ma.Gi. e Ta.La., disponendo che il Ma.Gi. versasse alla Ta.La. un assegno divorzile mensile di Euro 350 e contribuisse al mantenimento del figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente per Euro 300 mensili.
2. La Corte d'appello di Bologna, a seguito dell'impugnazione del Ma.Gi., condivideva la valutazione del primo giudice con riferimento al ricorrere dei presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile, tenuto conto dello squilibrio reddituale esistente fra i coniugi, della durata del rapporto matrimoniale e del contributo dato alla famiglia dalla Ta.La. con la propria attività domestica e di accudimento prevalente della prole.
Riteneva, per contro, che l'appellante non dovesse provvedere al pagamento alla madre di un contributo per il mantenimento del figlio.
3. Ma.Gi. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 7 settembre 2022, prospettando un unico motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso Ta.La..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE:
4. Il motivo di ricorso proposto denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 L. n. 898/1970, in quanto la Corte d'appello avrebbe forzatamente applicato i principi di diritto fissati dalla sentenza n. 18287/2018 di questa Corte a Sezioni Unite, senza considerare che il riconoscimento dell'assegno divorzile presuppone non solo uno squilibrio reddituale post divorzio, ma anche che questa disparità sia legata a scelte condivise nell'interesse della famiglia, che abbiano comportato la perdita di concrete occasioni lavorative ed opportunità di guadagno e necessitino di essere compensate in termini perequativi a seguito della disgregazione del rapporto matrimoniale; la Ta.La., invece, non aveva mai fatto riferimento a rinunce a eventuali possibilità di guadagno in conseguenza di scelte fatte nell'interesse familiare, cosicché l'espressione scelte condiviseutilizzata dalla Corte distrettuale risultava insufficiente e generica per supportare la decisione.
La Corte territoriale, inoltre, avrebbe omesso di valutare una serie di elementi decisivi, quali i procedimenti penali pendenti a carico della Ta.La., che ben descrivevano la personalità della donna, l'ininterrotta attività lavorativa con mansioni di bidella, l'accantonamento di somme presso un istituto di credito estero, la mancata produzione in giudizio, come era stato ordinato ex art. 210 cod. proc. civ., delle buste paga e del nuovo contratto di lavoro, il fatto che il Ma.Gi. aveva acquistato prima del matrimonio la casa poi destinata ad abitazione familiare ed era comproprietario, insieme al fratello, di un immobile in G non produttivo di reddito e l'interruzione dei rapporti fra i coniugi a seguito della nascita del figlio; la mancata considerazione di questa pluralità di circostanze renderebbe - in tesi - la motivazione della decisione impugnata soltanto apparente.
5. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.
5.1 La Corte d'appello, dopo aver richiamato i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha ritenuto che lo squilibrio reddituale, alla luce degli indici di cui all'art. 5, comma 6, prima parte, L. 898/1970, giustificasse pienamente il riconoscimento dell'assegno divorzile, in ragione del contributo dato alla famiglia dalla Ta.La. con la propria attività domestica e di accudimento prevalente della prole (oltre che con l'impegno profuso anche svolgendo attività lavorativa esterna), del fatto che questa condotta aveva consentito al marito di dedicarsi appieno e con soddisfazione economica alla propria attività lavorativa (non escludendosi per questo che anch'egli si fosse potuto interessare al figlio e alle attività domestiche) e della durata ventennale del matrimonio (v. pag. 6 della decisione impugnata). Simili valutazioni non si prestano a censure.
5.2 Le modifiche più significative apportate all'art. 5, comma 6, L. 898/1970 dall'art. 10, comma 1, L. 74/1987 attengono all'accorpamento nella prima parte della norma degli elementi di
rilievo - quali le condizioni dei coniugi, il reddito di entrambi (relativi al criterio assistenziale), il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune (attinente al criterio compensativo) e le ragioni della decisione (relative al criterio risarcitorio) - di cui il giudice deve tenere conto, anche in rapporto alla durata del matrimonio, nel disporre l'assegno di divorzio, quando l'ex coniuge che richieda l'assegno non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Questi indicatori prefigurano una funzione, oltre che assistenziale, anche perequativa e riequilibratrice dell'assegno di divorzio che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole.
Infatti (come ricorda Cass. 35434/2023, pag. 11), l'autoresponsabilità deve ... percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all'inizio del matrimonio (o dell'unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l'autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l'autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un'importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole.
5.3 L'assegno divorzile può certo essere funzionale a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio) al fine di contribuire ai bisogni della famiglia.
È il caso in cui gli ex coniugi abbiano, di comune accordo, convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali agli impegni casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, in una condizione menomata da questa scelta e diversa da quella a cui tale coniuge avrebbe potuto ambire.
Il che non significa - a parere di questo collegio - che, sempre in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale, l'assegno non possa essere riconosciuto, a prescindere dalla concordata rinuncia a occasioni professionali, anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare, la quale (salvo prova contraria) esprime una scelta comune, anche se tacita, compiuta nei fatti dai coniugi.
Una simile definizione di ruoli all'interno della coppia necessita nella fase post coniugale che sia assicurato, in funzione perequativa, un adeguato riconoscimento del contributo (esclusivo o prevalente) fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro coniuge (anche sotto forma di risparmio), come espressamente prevede uno dei criteri pari ordinati previsti dall'art. 5, comma 6, L. 898/1970.
Pure in questo caso occorre riconoscere - in una certa misura da ritenersi congrua - l'incremento di benessere (attuale o potenziale, in atto o spendibile spiega Cass. 35434/2023, pag. 16) concentratosi su uno solo dei due ex coniugi, grazie all'aiuto che egli abbia ricevuto dall'impegno familiare dell'altro.
5.4 Nel caso di specie la Corte di merito ha accertato (a pag. 5) che la Ta.La., nel corso del matrimonio, si era dedicata prevalentemente alla cura della casa e del figlio, consentendo al marito (ferroviere capotreno) di svolgere la propria attività professionale con orari anche notturni e viaggi lontani e di raggiungere così livelli professionali e reddituali di tutto rispetto.
L'assunzione su di sé, da parte della Ta.La., del peso prevalente della cura della casa e del figlio nel corso della vita matrimoniale, così da consentire all'altro coniuge di dedicarsi alla propria carriera e di godere dei correlati vantaggi patrimoniali, comporta ora la necessità, in presenza di una rilevante disparità nella situazione patrimoniale degli ex coniugi, di un riequilibrio delle loro posizioni attraverso il riconoscimento di un assegno divorzile che assolva la funzione perequativa prevista dall'art. 5, comma 6, L. 898/1970.
5.5 La seconda parte del motivo è volta a lamentare il mancato apprezzamento di una serie di circostanze che, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbero dovuto condurre al diniego dell'assegno di divorzio.
Una simile censura risulta, innanzitutto, priva di autosufficienza, dato che non deduce, con la specificità richiesta dall'art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., come le singole questioni concernenti l'omesso esame dei documenti indicati o il mancato riscontro dell'ordine di esibizione delle buste paga e del nuovo contratto di lavoro fossero state poste al vaglio della Corte d'appello secondo le regole previste dall'art. 342 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis.
Peraltro, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell' intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l' attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all' uno o all' altro dei mezzi di prova
acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
Non è data, perciò, a questa Corte la possibilità di riesaminare, nel merito, il contenuto delle risultanze istruttorie al fine di escludere l'insussistenza di un nesso causale tra lo squilibrio patrimoniale e reddituale conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale e il contributo fornito dalla ricorrente alla conduzione della vita familiare.
Né è possibile sostenere il carattere apparente della motivazione della decisione impugnata, dato che la Corte ha offerto argomentazioni del tutto idonee a far conoscere l'iter logico-intellettivo seguito per la formazione del proprio convincimento (v. Cass., Sez. U., 22232/2016).
6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma in data 9 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.
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