Il coniuge al quale è addebitata la separazione, il cui comportamento abbia leso diritti fondamentali dell'altro coniuge, ha l'onere di risarcire il danno da quest'ultimo subito, anche con riferimento ai danni non patrimoniali, in particolare quelli esistenziali.
L'azione di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione di diritti coniugali
Nel giudizio autonomo, promosso con rito ordinario, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione di diritti familiari si fonda sugli ordinari criteri di accertamento della responsabilità aquiliana ed è soggetta alle comuni regole processuali. Per quanto riguarda la violazione dei doveri coniugali, tale domanda risarcitoria può anche essere proposta contemporaneamente all'avvio del giudizio di separazione personale, con il vantaggio di poter richiedere al giudice del procedimento ordinario misure cautelari (ad esempio un sequestro conservativo) che sarebbero rigettate se proposte nel procedimento di separazione.
Nell'ordinario giudizio in cui un coniuge, un genitore o un figlio, maggiorenne o di età minore, si ritengano danneggiati ex art. 2043 ovvero art. 2059 c.c. dall'altro coniuge o dal genitore, devono fornire la prova del fatto ingiusto e del conseguente danno patito, prova che non può essere presunta dal solo verificarsi del comportamento illecito né integrata d'ufficio dal giudice.
L'orientamento della giurisprudenza di legittimità è univoco nell'affermare che «il danno oggetto dell'obbligazione risarcitoria aquiliana è esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo»; «colui che - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - assumendo di avere patito un danno a causa della altrui condotta agisca per il relativo risarcimento è tenuto non solo a provare la esistenza del danno, ma anche il nesso di causalità» con l'altrui condotta; «se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria».
La Cassazione, con le note sentenze delle Sezioni Unite, ha poi ben definito quale danno non patrimoniale sia risarcibile, avendo sottolineato che il danno non patrimoniale è una categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, ha precisato che non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione dell'apparente figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, «mentre tale situazione non è voluta dal Legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione».
La Suprema Corte è, cioè, unanime nell’affermare quale principio di diritto quello in virtù del quale il danno non patrimoniale è risarcibile solo a condizione che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione sia grave - nel senso che l’offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale - che il danno non sia futile - ossia, che non si traduca in meri disagi o fastidi - e che, infine, sia stata oggetto di specifica allegazione, non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa (Cass. civ., sez. III, ord. 29 novembre 2023, n. 33276).
In conclusione, dunque, ai fini risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti dalla violazione dei doveri coniugali, è indispensabile la verifica della sussistenza di tutti i presupposti a cui l’art. 2059 c.c. riconnette detta tutela risarcitoria, non integrando la loro mera violazione, ex se ed automaticamente, una tale responsabilità (ex multis, Corte di App. Milano, sez. II, 09 maggio 2023, n. 1509; Corte di App. Venezia, sez. II, 07 marzo 2023, n. 527; Corte di App. Perugia, 29 marzo 2022, n. 156).
Quanto ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità ne ammette la liquidazione in via equitativa «solo quando questo sia certo nella sua esistenza ontologica (ex multis, Cass. 10 gennaio 1986 n. 69), e dunque, posto pure che non possa essere provato nel suo ammontare, che esso sia stato (innanzi tutto specificamente allegato, e quindi) provato nella sua esistenza (per il che può soccorrere anche la prova per presunzioni semplici)», avendo anche precisato che «un danno meramente potenziale non soddisfa tale requisito (Cass. 30 maggio 2002, n. 7896)». È, pertanto, consolidato l’orientamento della Suprema Corte, secondo il quale la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale presuppone l’esistenza di un danno oggettivamente accertato, ossia di un danno che, pur non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, sia però certo nella sua esistenza ontologica (Cass. civ., sez. III, ord. 24 ottobre 2023, n. 29472).
La valutazione del danno in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., terrà conto di vari criteri, quali la gravità dei fatti, l'intensità del dolo, la durata dell'inadempimento, e l'importo del risarcimento sarà tanto maggiore quanto più il comportamento del responsabile appaia volontariamente lesivo della dignità altrui.
Del pari non è irragionevole pensare che la misura del danno possa variare al variare delle condizioni economiche delle parti.
Secondo l'attuale orientamento della Suprema Corte, l'importo da liquidare, soprattutto per quanto concerne la violazione di diritti attinenti la sfera dei rapporti familiari, corrisponde a un risarcimento unico del danno non patrimoniale, inteso in tutte le sue componenti, a prescindere dalle categorie risarcitorie invocate.
L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità e risarcimento del danno non patrimoniale consente oggi di definire con maggiore chiarezza i limiti di confine tra la domanda di addebito e quella risarcitoria, che possono essere così sintetizzati:
1) la pronuncia di addebito non consegue automaticamente alla sussistenza di una o anche più violazioni degli obblighi coniugali, ma richiede l'ulteriore accertamento dell'esclusivo rapporto causale tra tali violazioni e l'insorgere della crisi del matrimonio e la conseguente intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale;
2) la pronuncia di addebito in capo ad un coniuge non legittima di per sé alcuna forma risarcitoria nei confronti dell'altro, in quanto la domanda per il risarcimento del danno non patrimoniale da violazione di obblighi coniugali non trova fondamento nell'art. 151 c.c.;
3) non qualsiasi violazione dei doveri familiari può giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale, e perché tale danno sia risarcibile non è sufficiente che il fatto che lo ha cagionato sia ingiusto, ma è necessario che il fatto stesso incida gravemente su un diritto costituzionalmente protetto;
4) tale domanda risarcitoria è inammissibile se proposta nel corso del procedimento di separazione personale, pur se scaturente dalle medesime ragioni che sorreggono la domanda di addebito.
In conclusione, ritenendo condivisibile l'orientamento che sostiene la diversità dei requisiti di fondatezza della domanda di addebito e di quella risarcitoria, nonché la diversità di rito dei rispettivi procedimenti, nonché dell'oggetto e degli effetti giuridici delle relative pronunce, si deve auspicare una modifica delle scelte difensive degli avvocati, affinché propongano - laddove ne sussistano i presupposti e fermo restando che è preferibilmente auspicabile una soluzione negoziata e concordata del conflitto coniugale - nella competente sede le domande di risarcimento danni, evitando di inserire nel procedimento di separazione domande che sono improcedibili e inammissibili, e come tali non vengono neppure esaminate nel merito.
la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE
LESIONE DI DIRITTI INVIOLABILI DEL CONIUGE, QUALE PERSONA, E RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Tribunale di Crotone, 24 giugno 2020, n. 548
I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, oltre ad avere carattere morale, hanno altresì natura giuridica e sono inderogabili, onde l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla relativa osservanza ha valenza di diritto soggettivo. Ne deriva che la violazione di tali doveri non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che peraltro la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione precluda l'esperibilità di autonoma azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti.
Tribunale di Livorno, 15 aprile 2020, n. 331
I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva. In proposito, così come la mera violazione di uno di detti doveri non comporta automaticamente l'addebito della separazione, poiché dovrà preventivamente essere accertato se è stata causa della rottura del rapporto coniugale, valutando anche la condotta dell'altro coniuge (c.d. giudizio comparativo), analoga considerazione va fatta con riferimento al rapporto tra violazione dei doveri coniugali e responsabilità civile: una volta accertata la violazione del dovere coniugale, dovrà, quindi, essere svolta una ulteriore indagine, e cioè se tale violazione abbia determinato un danno risarcibile; occorre, cioè, un "quid pluris" rispetto alla mera violazione, che è costituito dalla lesione di diritti fondamentali della persona, un qualcosa in più rispetto alla rottura dell' "affectio coniugalis", che non può trovare tutela solo nei rimedi previsti dal diritto di famiglia e, quindi, di un danno risarcibile attraverso la responsabilità civile.
Tribunale Belluno, 19 dicembre 2012
L'inosservanza dei doveri derivanti dal matrimonio integra la violazione di un obbligo giuridico, ma implica la responsabilità civile extracontrattuale del coniuge inadempiente nel solo caso che la sua condotta sia stata tale da causare la lesione dei diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti dell'altro coniuge (diritto alla salute, alla dignità personale, al decoro, alla privacy...).
Tribunale Modena, 17 settembre 2012
Quando la condotta di uno dei genitori integri la violazione delle statuizioni espresse dal Tribunale sull'affidamento del figlio minore e questo comporti un danno al corretto sviluppo della personalità del minore stesso, ledendo anche il diritto dell'altro genitore al rapporto con il figlio, si applicano i provvedimenti previsti dall'art. 709-ter c.p.c.. Quanto al danno risarcibile in questi casi, trattandosi di lesione dei valori fondanti del rispetto della persona umana e dei doveri di solidarietà, personale e sociale, nella specie familiare, esso va ricollegato al danno non patrimoniale, anche indipendentemente dalla ricorrenza degli estremi di un reato, con liquidazione equitativa.
Cassazione Civ., Sezione 1, 1 giugno 2012, n. 8862
La violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, com'è noto, anche di natura patrimoniale, dall'altro, dà luogo ad un comportamento (doloso o colposo) che, incidendo su beni essenziali della vita, produce un dannoingiusto, con conseguente risarcimento, secondo lo schema generale della responsabilità civile. Possono dunque sicuramente coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità, radicalmente differenti.
Cassazione civ., Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801
L'art. 29 Cost. se da un lato giustifica l'articolata previsione di diritti e obblighi derivanti dal matrimonio, dall'altro lato garantisce una eguaglianza fondata sui vincoli della responsabilità e della solidarietà: il principio di eguaglianza tra i coniugi costituisce mera specificazione del principio generale di eguaglianza dettato dall'art. 3 Costituzione, e comporta il riconoscimento di uguali responsabilità dei coniugi nello svolgimento dei rapporti familiari e pari diritti di sviluppo e di arricchimento della loro personalità sia all'interno del nucleo che nella vita di relazione. La famiglia si configura quindi non già come un luogo di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili, ma come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto e immune da ogni distinzione di ruoli, nell'ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell'art. 2 Costituzione, che nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa.
Poiché i doveri che derivano dal matrimonio hanno natura giuridica, la violazione di essi che si traduca in condotte di intrinseca gravità tale da configurare aggressione ai diritti fondamentali della persona (fra i quali rientra il diritto alla sessualità) fa sorgere il diritto dell'altro coniuge al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, senza che possa ritenersi che la violazione di siffatti obblighi trovi la propria sanzione nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quali la separazione, il divorzio, l'addebito della separazione, l'assegno di divorzio.
Cassazione civ., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828
Il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto ogniqualvolta vi sia stata una lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti ancorché tale lesione non derivi da reato.
Cassazione civ., Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827
Il riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, primo comma, Cost.) va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto, provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri e una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all'esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari) bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz'altro trovare ristoro nell'ambito della tutela ulteriore apprestata dall'art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto.
LA TESI CHE DISTINGUE LA DOMANDA DI ADDEBITO DA QUELLA RISARCITORIA
Tribunale di Pavia, 4 maggio 2022, n. 627
La violazione dei doveri coniugali, di cui all'articolo 143 del Cc, in tema di collaborazione, coabitazione, assistenza e fedeltà, non è sanzionabile solo con i rimedi tipici del diritto di famiglia - come, per l'appunto, l'addebito della separazione - ma può dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'articolo 2059 del Cc, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, quali, a titolo esemplificativo, la dignità, la salute, l'immagine o l'onore della persona. In particolare, con precipuo riferimento alla violazione dell'obbligo di fedeltà, non è poi sufficiente il mero adulterio, ad integrare gli estremi dell'illecito civile, essendo altresì necessario valutare se l'afflizione morale che ne sia conseguita superi la soglia della tollerabilità e che la condotta, per le sue modalità o specificità concrete, sia stata tale da violare diritti di rango.
Corte d’Appello di Perugia, 29 marzo 2022, n. 156
Nell'ambito del rapporto matrimoniale tra i coniugi, opera il principio dell'autonoma risarcibilità del danno da violazione dell'obbligo di fedeltà. Precisamente, il comportamento del coniuge che violi i doveri derivanti dal matrimonio è configurabile come illecito civile, e dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.), laddove si accerti la lesione, in conseguenza di detta violazione, di un diritto costituzionalmente protetto, e si dia prova del nesso di causalità fra la violazione e il danno. Con la precisazione secondo cui, da un lato, la relativa azione di risarcimento è del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito, ed esperibile a prescindere da dette domande, e, dall'altro lato, ai fini dell'astratta configurabilità della responsabilità risarcitoria in capo al coniuge per la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, non vengono in rilievo comportamenti di minima efficacia lesiva, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona. Deve pertanto escludersi che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, possano di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, così come deve affermarsi la necessità che sia accertato in giudizio il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto della lesione, nonché il nesso eziologico tra il fatto aggressivo e il danno. D'altronde, il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa ma deve essere debitamente allegato e provato da chi lo invoca. Nell'ambito del rapporto trai coniugi, pertanto, la violazione del dovere di fedeltà, sebbene possa indubbiamente essere causa di un dispiacere per l'altro coniuge, e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare, non automaticamente è risarcibile, ma in quanto l'afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell'altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale e all'onore.
Cassazione civ., Sez. VII, Ord. 19 novembre 2020, n. 26383
In sede di separazione personale tra coniugi, l’infedeltà può essere sanzionata oltre che con l’addebito anche con il risarcimento per i danni morali, senza che questi siano preclusi dal riconoscimento o meno dell’addebito. Serve però la prova che la sofferenza è stata insopportabile con risvolti sulla salute, o sull’onore o sulla dignità personale.
Tribunale di Crotone, 24 giugno 2020, n. 548
I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, oltre ad avere carattere morale, hanno altresì natura giuridica e sono inderogabili, onde l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla relativa osservanza ha valenza di diritto soggettivo. Ne deriva che la violazione di tali doveri non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che peraltro la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione precluda l'esperibilità di autonoma azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti.
Cassazione civ., Sez. I, Ord. 23 febbraio 2018, n. 4470
I doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c.
Tribunale di Roma, Sez. I, 1° marzo 2017, n. 4187
La violazione dei doveri coniugali non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, di talché, ove sia tale da cagionare la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni; né assume carattere preclusivo, in tal senso, la mancanza di una pronuncia di addebito in sede di separazione. Consegue a quanto innanzi che nel caso in cui l'inadempimento dei doveri coniugali sia particolarmente rilevante, in capo al coniuge autore della violazione può riconoscersi, con autonomo procedimento, stante la diversità di rito, una responsabilità risarcitoria ex artt. 2043 e 2059 c.c., anche a prescindere dall'effettivo accoglimento della domanda di addebito nell'ambito del procedimento di separazione, la quale appare piuttosto subordinata alla dimostrazione, da parte del coniuge che richiede l'addebito, della effettiva incidenza causale/concausale del comportamento contrario ai doveri coniugali sulla intollerabilità della convivenza e, dunque, sulla separazione, non potendo la domanda essere accolta nel caso in cui siffatta violazione, pur verificatasi, si sia inserita su una situazione di pregressa e già conclamata crisi coniugale.
Cassazione civile, sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853
I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti danni (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha riconosciuto un risarcimento in favore della moglie che aveva dovuto subire le sofferenze per la relazione extraconiugale del marito, ampiamente pubblica e quindi particolarmente frustrante).
Tribunale di Monza 11 marzo 2009, n. 818
La pronuncia di addebito non consegue automaticamente alla sussistenza di una o anche più violazioni degli obblighi coniugali, ma richiede l'ulteriore accertamento dell'esclusivo rapporto causale tra tali violazioni e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale. La dichiarazione di addebito in capo a un coniuge non legittima di per sé alcuna forma risarcitoria nei confronti dell'altro, in quanto la domanda per il risarcimento di danni da violazione di obblighi coniugali trova fondamento nell'art. 2043 c.c. e non già nell'art. 151 c.c. In ogni caso non qualsiasi violazione dei doveri familiari può giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale, e perché tale danno sia risarcibile non è sufficiente che il fatto che lo ha cagionato sia ingiusto, ma è necessario che il fatto stesso incida su un interesse costituzionalmente protetto. Conformi: Tribunale di Monza 1° dicembre 2008, n. 3270, 9 settembre 2008, n. 2301
Corte d'Appello di Brescia 7 marzo 2007
Nel caso in cui un coniuge violi il proprio dovere di fedeltà anche instaurando una relazione omosessuale, tale fattispecie non è fonte di responsabilità da fatto illecito; tale violazione, pertanto, non può comportare una pronuncia di risarcimento del danno esistenziale.
Tribunale di Napoli, Sez. I, 7 novembre 2006, n. 592
L'addebito della separazione non comporta ex se l'obbligo di risarcire il danno ex art. 2043 c.c. a carico del coniuge cui sia stata addebitata; avendo uno spazio di operatività più ristretto e contingente, ma, appare comunque idoneo a fondare la pronuncia di responsabilità in presenza dei requisiti prescritti. Il mancato accertamento però della condotta dolosa o colposa e dell'esistenza del nesso causale tra condotta ed evento non può essere superato in un autonomo giudizio di risarcimento danni, mancando in assoluto, in presenza di separazione consensuale omologata e quindi di rinuncia all'addebito, qualsiasi collegamento con la condotta volontaria e consapevole, presupposto indispensabile del danno ingiusto.
Tribunale di Venezia 3 luglio 2006
Il rimedio del risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. è applicabile nell'ambito dei rapporti tra coniugi, indipendentemente da una eventuale pronuncia di addebito in sede di separazione, qualora la condotta assunta da uno di essi - posta in essere nella consapevolezza della sua attitudine a recare pregiudizio alla sfera dell'altro coniuge - sia apertamente contraria ai doveri nascenti dal matrimonio, sia produttiva di un danno ingiusto (poiché lesiva di una posizione soggettiva giuridicamente tutelata dell'altro) e sempre che fra la condotta stessa e il danno accertato sussista un nesso di causalità giuridicamente apprezzabile.
Cassazione civ., Sez. I, 27 novembre 2003, n. 18132
L'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento.
Tribunale di Savona 5 dicembre 2002
La responsabilità ex art. 2043 c.c. non può discendere automaticamente da una pronuncia di addebito nei confronti di un coniuge in quanto il Legislatore ha specificato analiticamente le conseguenze nella disciplina del diritto di famiglia e in quanto sussiste il rimedio della separazione personale che costituisce un diritto inquadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona, tuttavia «non può escludersi, in astratto, che sia configurabile la risarcibilità di danni ulteriori qualora i fatti che abbiano dato luogo all'addebito integrino gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità ex art. 2043 c.c.».
Tribunale di Milano 4 giugno 2002
Pronunciata la separazione personale dei coniugi con addebito a uno di essi, è ipotizzabile a carico di quest'ultimo una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., in quanto inadempiente ai doveri coniugali, ove venga accertata sia l'obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più doveri nascenti dal matrimonio, sia la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali.
L’ONERE DELLA PROVA DELLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE DERIVANTE DALLA LESIONE DEI DOVERI CONIUGALI
Corte d’Appello di Milano, Sez. II, 9 maggio 2023, n. 1509
La mera violazione dei doveri matrimoniali non integra, di per sé ed automaticamente, una responsabilità risarcitoria, dovendo, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 c.c. riconnette detta responsabilità.
Corte d’Appello di Venezia, Sez. II, 7 marzo 2023, n. 527
La mera violazione dei doveri matrimoniali non integra, quindi, di per sé ed automaticamente una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 cod. civ. riconnette detta responsabilità, secondo i principi affermati dalla Suprema Corte.
L'ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE COME TITOLO PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Tribunale Roma, 29 maggio 2013
Quando la violazione dei doveri matrimoniali venga invocata anche quale causa di addebito della separazione, il rigetto della domanda di addebito determina anche il rigetto della domanda di risarcimento dei danni, giacché l'accertamento che non vi è stata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, o che l'inosservanza di essi è innestata in un rapporto già esaurito, non può non escludere, alla radice, la sussistenza di un danno ingiusto sul quale si fonda la pretesa risarcitoria, in tal caso priva di fondamento.
Tribunale di Pavia, Sez. I, 6 settembre 2008, n. 793
Quando la condotta tenuta dal coniuge responsabile dell'irreversibile crisi è sorretta da dolo o da colpa - così come pacificamente ed esaustivamente accertato nel caso di specie - l'addebito della separazione legittimamente può costituire titolo per il risarcimento del danno ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2043 c.c.
Tribunale di Trento 22 giugno 2007
È responsabile sia della separazione coniugale - con relativo addebito su di sé - ma anche del danno non patrimoniale cagionato all'altro, il coniuge che abbia costituito in modo clandestino una famiglia parallela, con nuovi figli, pur seguitando un ménage coniugale esteriormente ordinario.
Tribunale di Lodi 16 aprile 2007
La violazione dei doveri coniugali è suscettibile, oltre che di determinare l'addebito della separazione, di dar luogo al risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale, ove pregiudichi un diritto fondamentale della persona.
Diversamente dalla domanda di scioglimento della comunione patrimoniale, la domanda di risarcimento del danno derivante dalla violazione dei doveri coniugali può essere proposta, nel giudizio di separazione personale dei coniugi, assieme all'addebito della stessa all'altro coniuge, come confermato dal disposto di cui all'art. 709 ter del Codice di procedura civile.
Corte d'Appello di Trento 29 marzo 2007
Il presupposto per la possibilità di riconoscere, in favore di uno dei coniugi, il risarcimento dei danni ulteriori ex art. 2043 c.c., causati dal comportamento, asseritamene dannoso, posto in essere dall'altro, è dato dalla circostanza che sia stata addebitata la separazione a quest'ultimo coniuge.
Tribunale di Brescia 14 ottobre 2006
Il coniuge al quale è addebitata la separazione, il cui comportamento abbia leso diritti fondamentali dell'altro coniuge, ha l'onere di risarcire il danno da quest'ultimo subito, anche con riferimento ai danni non patrimoniali, in particolare quelli esistenziali.
Tribunale di Firenze 13 giugno 2000
La contrarietà della condotta, tenuta dal coniuge, ai doveri derivanti dal matrimonio, è idonea a fondare non solo la pronuncia di addebito nella separazione, ma pure quella di responsabilità per danni all'integrità psicofisica e più in generale alla salute dell'altro coniuge, con condanna al risarcimento del danno biologico.
INAMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE NEL GIUDIZIO DI SEPARAZIONE
Tribunale di Milano, Sezione IX civile, 13 marzo 2013, n. 3440
Le fattispecie di cumulo soggettivo di domande ex art. 33 c.p.c. e di cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c., espressione della cd. connessione per coordinazione, in cui la trattazione simultanea dipende solo dalla volontà delle parti e la separazione delle cause è sempre possibile con l'unico rischio di una contraddizione logica tra giudicati, non sono comprese nell'ambito di applicazione dell'art. 40, comma 3, c.p.c., non potendosi ammettere che il mutamento del rito (da ordinario a speciale) imposto da detta norma sia opera di una mera scelta dell'attore in cause non connesse o non legate tra loro da un intenso legame di subordinazione, altrimenti violandosi, peraltro, il principio del giudice naturale precostituito per legge, in base a quanto previsto dall'art. 25 Cost.. In relazione alla materia del divorzio è stato puntualmente osservato che l'art. 40 c.p.c., come novellato dalla L. n. 353 del 1990, consente nello stesso processo il cumulo di domande, soggette a riti diversi, soltanto in presenza di ipotesi qualificate di connessione (artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell'art. 33 c.p.c. e dell'art. 103 c.p.c. soggette a riti diversi. Ne deriva l'esclusione della possibilità del simultaneus processus, nell'ambito dell'azione di divorzio soggetta al rito della camera di consiglio, con quella di scioglimento della comunione di beni immobili, di restituzione di beni mobili, di restituzione e pagamento di somme che sono soggette al rito ordinario trattandosi di domande non legate dal vincolo di connessione, ma in tutto autonome e distinte dalla domanda di divorzio. Tenuto conto di tali principi, nel caso concreto, la domanda della resistente di risarcimento del danno esistenziale da ricondursi all'opposizione manifestata dal ricorrente ad un progetto di filiazione, in origine asseritamente condiviso, non rientra, rispetto alla domanda di divorzio, nelle ipotesi qualificate di connessione come sopra specificate, sì da non essere applicabile l'art.40 c.p.c. che al terzo comma prescrive l'adozione del rito ordinario. Pertanto, la domanda è stata dichiarata inammissibile.
Tribunale di Milano, Sez. IX civ., 20 marzo 2009, n. 3862
È inammissibile la domanda proposta nel procedimento di separazione personale, volta a ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale. Invero l'art. 40 c.p.c. stabilisce la possibilità del cumulo nello stesso processo di domande connesse soggette a riti diversi solo in presenza di ipotesi qualificate di connessione. In particolare il comma 3 della richiamata norma disciplina la trattazione congiunta nei casi previsti dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 e prevede la trattazione con rito ordinario, salva l'applicazione del rito speciale in caso di controversia di lavoro o previdenziale. È pertanto esclusa la proposizione di domande connesse soggettivamente ex art. 33 o ai sensi degli artt. 103 e 104 c.p.c. e soggette a riti diversi; ed è di conseguenza esclusa la possibilità di unsimultaneus processus nell'ambito dell'azione di separazione - soggetta al rito speciale - con quella di scioglimento della comunione, restituzione di beni o pagamento di somme - soggetta al rito ordinario, trattandosi di domande non legate dal vincolo della connessione, ma del tutto autonome e distinte dalla domanda principale. Conforme: Tribunale di Milano, Sez. IX civ., 11 marzo 2009, n. 3318
Tribunale di Milano, Sez. IX civ., 10 febbraio 2009, n. 1767
Va dichiarata inammissibile nel giudizio di separazione personale la domanda di risarcimento dei danni, trattandosi di domanda che non ha un rapporto di connessione qualificata ex art. 40 c.p.c. con la domanda principale di separazione e che deve essere trattata con rito ordinario, incompatibile con il rito speciale previsto dalla legge per i giudizi di separazione e divorzio, secondo la giurisprudenza ormai consolidata della Cassazione e di questo tribunale; è stato peraltro accertato che appaiono infondate le domande di addebito della separazione formulate nel presente giudizio e appare quindi evidente che altri fatti illeciti commessi dai coniugi l'uno in danno dell'altro, idonei a determinare una responsabilità ex art. 2043 c.c., dovranno essere accertati con separata causa ordinaria.
Tribunale di Monza 1° dicembre 2008, n. 3270
Non è ammissibile, nell'ambito del giudizio di separazione tra coniugi, la domanda di risarcimento danni ex art. 2043 c.c.
È indubbio che tali domande non appartengano di per sé al thema decidendum su cui si struttura per legge il giudizio di separazione personale e le cui statuizioni sono assolutamente tipiche.
È altrettanto indubbio che tali domande siano di per sé estranee alla competenza del giudice collegiale ex art. 50 bis c.p.c.
Si tratta quindi di valutare la sussistenza di un rapporto di connessione giuridica, tra le suddette domande e il presente giudizio di separazione, tale da assoggettare anche le prima al rito collegiale e legittimare quindi il simultaneus processus.
Tale rapporto non esiste.
Anche laddove il fondamento fattuale coincide (come appunto nel caso in esame, in cui i fatti posti a fondamento della domanda di addebito sono gli stessi sui quali si fonda la domanda risarcitoria), il titolo giuridico è sempre diverso (nel primo caso l'art. 155 c.c. nel secondo l'art. 2043 c.c.), come diversi sono i requisiti di fondatezza delle due domande nonché l'oggetto e gli effetti giuridici delle due pronunce (cfr. Cass., Sez. I, 22 marzo 1993, n. 3367, secondo cui «l'addebito della separazione a un coniuge comporta solo gli effetti previsti dalla legge, ma non comporta la violazione di un diritto dell'altro coniuge in relazione alla quale poter invocare la tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.»; Cass., Sez. I, 6 aprile 1993, n. 4108, secondo cui «dalla separazione personale dei coniugi può nascere, sul piano economico... (omissis)... solo il diritto a un assegno di mantenimento dell'uno nei confronti dell'altro, quando ne ricorrono le circostanze specificamente previste dalla legge, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere, ex art. 2043 c.c., ancorché la separazione sia addebitabile a uno di essi, anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo risentiti a causa della separazione stessa»; Cass., Sez. I, 26 maggio 1995, n. 5866, secondo cui «l'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento»): la domanda risarcitoria, di per sé, non dipende né discende, fattualmente e/o giuridicamente, dalle questioni devolute ex lege al giudice collegiale nell'ambito del giudizio di separazione personale (sicché è esclusa anche ogni possibilità di contrasto di giudicato).
Tribunale di Monza 9 settembre 2008, n. 2301
Nel procedimento per la separazione dei coniugi, il campo di indagine del giudice è ex lege limitato alle sole questioni che concernono l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, l'addebito della separazione, l'assegnazione della casa coniugale, l'affidamento dei figli minori e il contributo per il mantenimento, restando invece fuori dal thema decidendum tutti quegli argomenti che, sebbene scaturenti dal medesimo fondamento, hanno un titolo giuridico differente; ne deriva da ciò che la domanda per il risarcimento danni da c.d. mobbing coniugale o da violazione dell'obbligo di fedeltà - il cui titolo giuridico è l'art. 2043 c.c. e non già l'art. 151 c.c. - è inammissibile se proposta nel corso di tale procedimento, pur se scaturente dalle medesime ragioni che sorreggono la domanda di addebito.
Corte d'Appello di Bologna, Sez. I, 19 ottobre 2007
Non è ammessa la connessione nell'ambito di una causa divorzile, retta dal rito camerale, in occasione di una domanda, come nel caso di specie, avente a oggetto il risarcimento dei danni (danno biologico) pur subiti dall'altro coniuge durante il rapporto matrimoniale. Il c.d. simultaneous procesuss non può esulare dalle ipotesi contemplate dagli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.
12-05-2024 15:23
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