Ora di religione: nel contrasto, fra i genitori sull'iscrizione o meno della figlia minore, chi decide?
Cass. civ., sez. I, ord., 7 marzo 2023, n. 6802
Presidente Genovese – Relatore Campese
Fatti di causa
La Corte d'appello di Venezia, con decreto n. cronol. 194-2022 pubblicato il 21/1/2022, ha parzialmente riformato il decreto, ex art. 316 c.c., del Tribunale di Vicenza dell'ottobre 2021, secondo cui la decisione relativa all'iscrizione all'ora di religione, nella scuola elementare frequentata, della minore L., nata, il (Omissis), dall'unione coniugale tra C.S. e F.P., minore collocata, a seguito di separazione dei genitori nel 2019, prevalentemente presso la madre, doveva essere assunta dal padre, con conseguente iscrizione immediata della minore. I giudici di appello hanno, invece, ritenuto, senza condizionamenti su scelte future dell'adolescente L. e tenuto conto del contesto famigliare e del percorso seguito già dalla figlia primogenita M., di dovere lasciare la scelta alla madre sulla decisione rispondente al miglior interesse per L., rilevando che: a) il diritto alla libertà religiosa non assume concreta rilevanza in quanto sull'educazione religiosa i genitori hanno diverse opinioni e la figlia, in considerazione della giovane età (sei anni), non è ancora in grado di esprimere una propria posizione autonoma rispetto a quella del padre e della madre e "il diritto del padre di educare la figlia secondo le proprie convinzioni non prevale sul diritto della madre a non impartire un'educazione religiosa sino a quando la figlia non potrà compiere una propria scelta"; b) in relazione alla prima figlia della coppia, M., nata nel (Omissis), pure battezzata, in altro procedimento, si era già rilevato che la famiglia, precedentemente alla crisi coniugale, non aveva mai ritenuto di impartire un'educazione religiosa cattolica, non emergendo dalle relazioni dei Servizi Sociali che la bambina avesse frequentato l'ambiente parrocchiale o la Santa Messa, e le posizioni di M. e L., che vivono nella stessa famiglia, non potevano essere differenziate, non risultando che per L. i genitori avessero compiuto una differente scelta educativa e risultando un trattamento diverso tra M. e L. "motivo di disorientamento per le figlie"; c) la madre aveva spiegato per quali ragioni la stessa aveva chiesto che la figlia L. frequentasse l'ora di religione nella scuola dell'infanzia, ma con il cambio del ciclo scolastico, nella scuola elementare, l'insegnamento della religione era destinato ad adeguarsi alla diversa età della minore ed a divenire di contenuto più complesso e non vi erano ragioni per ritenere che " L. debba avere un'educazione religiosa a scuola fin dall'età di sei anni"; d) l'ascolto diretto della minore, attesa l'età (sei anni) che esclude una sua capacità di discernimento, "la coinvolgerebbe inutilmente nella lite fra i genitori e costituirebbe solo un motivo di turbamento"; e) non spetta al giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un'educazione religiosa possa garantire, come sostiene il padre sulla base delle sue convinzioni, "una crescita sana ed equilibrata", potendo il giudice al più ricostruire "un'eventuale scelta già compiuta dai genitori e di cui uno negasse ingiustificatamente l'esistenza". Avverso la suddetta pronuncia C.S. propone ricorso per cassazione, notificato 29/1/2022, affidato a tre motivi, nei confronti di F.P. (che resiste con controricorso, notificato il 10/3/22).
Ragioni della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 132 nn. 3 e 4 c.p.c., dell'art. 12 della Convenzione di New York per i diritti del fanciullo, degli artt. 6 della convenzione di Strasburgo del 25/1/1996, 23 Regolamento CE n. 2001/2003, nonché 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c., nonché dei principi del contraddittorio e del giusto processo e dell'art. 132 n. 4 c.p.c., per motivazione apparente, in punto di mancato ascolto, né direttamente né tramite consulente tecnico, della minore L., infradodicenne ma capace di discernimento; b) con il secondo motivo, sia la violazione della libertà religiosa, della Cost., artt. 3,7,8,9,10,19 e 30, 8,9,14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dell'art. 337 ter c,c., sia l'omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione al diritto del C., attualmente professante la religione cattolica di tramandare le proprie credenze sulla figlia minore, anche attraverso la scelta dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria, avendo la Corte territoriale affidato la scelta sull'educazione religiosa della minore solo alla madre, senza indicare perché la scelta del padre, di permettere alla figlia di seguire l'ora di religione a scuola, potesse "compromettere la salute psico-fisica o lo sviluppo dei figli minori" e senza verificare le aspirazioni della minore; c) con il terzo motivo, l'omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dalla posizione attuale e specifica del C. e della figlia L. e dal fatto che la ripresa da parte della piccola della frequentazione dell'insegnamento della religione cattolica l'aveva resa felice, cosicché l'eventuale interruzione avrebbe rappresentato un trauma per la stessa. 2. La controricorrente eccepisce l'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso decisione resa in sede di reclamo ex art. 709 ter c.p.c., concernente le modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, stante la natura non decisoria né la definitività delle relative statuizioni. 3. L'eccezione della controricorrente è infondata. Questa Corte ha affermato nel 2010 (Cass. 21718-2010) il seguente principio di diritto: "il procedimento di cui all'art. 709 ter c.p.c. (inserito dalla L. n. 54 del 2006, art. 2), di competenza del giudice del procedimento di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio e affidamento dei figli di genitori non uniti in matrimonio, è soggetto al rito camerale, ai sensi dell'art. 737 ss. c.p.c., e quando abbia ad oggetto i provvedimenti sanzionatori adottati in caso di inadempienze dei genitori o quelli aventi ad oggetto la soluzione delle controversie tra i genitori in ordine alle modalità di affidamento dei figli e all'esercizio della potestà genitoriale (anche nei conflitti concernenti le questioni di maggiore interesse per i figli, ai sensi dell'art. 155, comma 3, c.c. e nelle controversie riguardanti la "interpretazione" dei provvedimenti del giudice che potrebbero condurre non ad una modifica ma ad una loro più precisa determinazione e specificazione), esaurita la fase del reclamo, non è ricorribile per cassazione, pur coinvolgendo diritti fondamentali dell'individuo, non assumendo contenuto decisorio (attenendo piuttosto al controllo esterno sulla potestà), né carattere di definitività". Successivamente, nel 2022 (Cass. 1568-2022) si è affermato che " in tema di ricorso ex art. 709 ter c.p.c. (inserito dalla l. n. 54 del 2006, art. 2), i provvedimenti del giudice di merito volti alla mera conformazione delle modalità concrete di esercizio della responsabilità genitoriale e di affidamento della prole, in quanto privi del carattere di definitività e di contenuto decisorio, non sono ricorribili per cassazione ai sensi della Cost., art. 111" (nella specie, si è dichiarato inammissibile il ricorso proposto da uno dei genitori avverso la decisione del giudice di merito che aveva autorizzato l'altro genitore ad iscrivere il minore presso una scuola nordamericana, con connesso trasferimento della residenza); in motivazione, si è ritenuto di puntualizzare, richiamando altri precedenti (Cass. n. 33613-2021, sui provvedimenti che regolano il diritto di visita del minore; Cass. n. 4524-2019) che tale principio opera con riguardo a modalità esercenti la responsabilità genitoriale, concernenti vicende "minute e quotidiane della vita del minore". Tuttavia, sempre in tema di provvedimenti previsti dall'art. 709-ter c.p.c. per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o alle modalità dell'affidamento, questa Corte ha affermato che, al pari di quanto accade per quelli in tema di affidamento dei figli, aventi attitudine al giudicato, sia pure rebus sic stantibus, in quanto modificabili e revocabili soltanto a fronte della sopravvenienza di fatti nuovi, l'efficacia intrinsecamente temporanea delle disposizioni adottate ai sensi di tale articolo non consente di escluderne la natura decisoria e l'idoneità ad assumere un carattere tendenzialmente stabile (cfr. Cass., n. 21553/2021, in relazione alla soluzione, da adottare ai sensi dell'art. 337 ter, comma 3, c.p.c., del contrasto insorto tra genitori, legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, su "questione di particolare importanza", la scuola "religiosa" o "laica" presso cui iscrivere i figli). In ordine, poi, all'ammonimento di uno dei genitori, - adottato ai sensi dell'art. 709 ter, comma 2, n. 1 c.p.c. dalla corte d'appello in sede di reclamo -, si è di recente ritenuto (Cass. n. 143/2023) che, stante il carattere "tutt'altro che esortativo del provvedimento, nel quale e` implicita la minaccia di più gravi misure per l'ipotesi di persistente inadempienza delle condizioni riguardanti l'esercizio della responsabilità genitoriale o l'affidamento dei minori" e la portata immediatamente afflittiva del provvedimento, in quanto incide sul diritto-dovere dei genitori di intrattenere rapporti con i figli e di collaborare all'assistenza, educazione e istruzione degli stessi, è giustificata l'impugnabilità con il ricorso straordinario per cassazione. In sostanza, la ricorribilità o meno in cassazione non deriva tanto e soltanto dall'adozione del provvedimento nell'ambito dell'art. 709 ter c.p.c., ma "dalla natura dei provvedimenti emessi dal giudice di merito". Ora, in rapporto al carattere di decisorietà, incidente sull'educazione del minore, ed alla tendenziale stabilità del provvedimento relativo alla frequenza dell'insegnamento della religione cattolica, pur nell'efficacia temporale circoscritta allo svolgimento dei cicli scolastici, si deve ritenere ammissibile il ricorso per cassazione. 3. Tanto premesso, le censure del ricorso, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono fondate. 3.1. Venendo al tema centrale della scelta in ordine alla frequentazione o meno dell'ora di religione da parte della minore, nella specie il Tribunale di Vicenza aveva fatto applicazione dell'art. 316 c.c. e la Corte d'appello ha ritenuto che "non spetta a un giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un'educazione religiosa possa garantire - come ritiene i padre secondo le sue convinzioni - una crescita " sana ed equlibrata" scelta già compiuta dai genitori e di cui uno negasse ingiustificatamente l'esistenza", essendo le scelte in materia di religione "insindacabili". Recita l'art. 316 c.c., (Responsabilità genitoriale) (testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023): "Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio". Nelle ipotesi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, opera, invece, l'art. 337-ter, (Provvedimenti riguardo ai figli) (testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023), che dispone: "3. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice". Il giudice quindi, come soggetto super partes, è chiamato espressamente, in via del tutto eccezionale, a ingerirsi nella vita privata della famiglia, adottando i provvedimenti relativi alla prole, in luogo dei genitori che non siano stati in grado di comporre i propri dissidi ideologici e le correlate convinzioni e di stabilire, di comune accordo, le linee educative. La decisione non resta arbitraria ma deve essere assunta secondo un criterio stabilito dalla legge, quello dell'esclusivo riferimento al superiore interesse, morale e materiale, del minore coinvolto, nel caso concreto in esame. Questa Corte, con sentenza n. 21553-2021, ha affermato che "il contrasto insorto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, sulla scuola "religiosa" o "laica" presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell'esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori ad una crescita sana ed equilibrata, ed importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull'esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa". In precedenza (Cass. 21916-2019) si era chiarito che "in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall'adesione a un diverso credo, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei genitori è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio, che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo, e tale accertamento non può che basarsi sull'osservazione e sull'ascolto del minore, in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto" (cfr., altresì, sempre in tema di educazione religiosa, Cass., n. 24683-2013). In sostanza, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che, in materia di scelte riguardo ai figli, criterio guida, informante delle decisioni sia necessariamente quello del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata (cfr., tra le altre pronunce, Cass., 11 novembre 2020, n. 25310; Cass., 24 maggio 2018; Cass., 1 febbraio 2005, n. 1996) e, dando corso e attuazione a detto principio, questa Corte ha stabilito che, in caso di conflitto genitoriale, il perseguimento dell'interesse del minore può comportare anche l'adozione di provvedimenti, relativi all'educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori, operando come limite alla libertà religiosa dei genitori. Nella pronuncia n. 21553, si è evidenziato come dipendesse "dall'acuito bisogno dei minori di avere - nel frangente - una continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa" e che comunque costituiva apprezzamento di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, quello relativo alla valutazione della negatività dell'impatto, che avrebbe potenzialmente avuto sui minori, un repentino mutamento di scuola all'interno di un contesto temporale già contrassegnato da una vicenda di forte importanza per il loro equilibrato sviluppo, qual è quello della sopravvenuta rottura del nucleo genitoriale. La Corte Europea diritti dell'uomo, sez. I, con sentenza 19/05/2022, n. 54032, intervenendo su una nuova questione relativa alle scelte dei genitori circa l'educazione religiosa dei figli, con riguardo alla composizione di divergenze tra i due genitori, in relazione a un caso che aveva portato anche all'intervento dei giudici nazionali (denunciandosi che le autorità giudiziarie italiane che avessero impedito ad un uomo - che dopo la separazione, si era convertito ai Testimoni di Geova - di coinvolgere la propria figlia nelle iniziative religiose), ha precisato che va assicurato l'interesse superiore del minore e che talune limitazioni su alcune modalità di coinvolgimento del minore in un credo scelto da un genitore non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e a preservare la libertà di scelta del minore, di conseguenza la decisione dei giudici nazionali di precludere al padre di una bambina la presenza della minore a manifestazioni pubbliche collegate al credo seguito dal padre non è in contrasto con la CEDU se la decisione è adottata al fine di consentire la libertà di scelta della bambina e assicurare l'interesse superiore del minore; nella specie, le autorità nazionali, nell'adottare un provvedimento limitativo, avevano assicurato il rapporto continuativo padre-figlia e, quindi, non era stato leso il diritto al rispetto della vita familiare del padre. La Corte EDU ha, in passato, sottolineato che le modalità pratiche per l'esercizio della potestà genitoriale sui minori definite dai tribunali nazionali non possono, in quanto tali, violare la libertà di un ricorrente di manifestare la propria religione (Deschomets c. Francia (dec.), 16 maggio 2006, n. 31956 /02) e che l'obiettivo prioritario di tener conto dell'interesse superiore dei minori consiste nel conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cercare di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali (F.L. c. Francia (dec.), 3 novembre 2005, n. 61162/00). 3.2.Ora, la Corte d'appello ha errato, anzitutto, nell'impostazione della presente controversia, in quanto, nelle ipotesi di crisi familiare e di contrasto tra i genitori sul percorso scolastico dei figli (e, nella specie, sull'iscrizione o meno all'ora di religione nella scuola pubblica frequentata dalla figlia minore), operando non l'art. 316 bis, norma che presuppone un contrasto in un nucleo familiare unito, ma l'art. 337-ter c.c., ove si fa riferimento ad un contrasto insorto dopo l'avvenuta separazione fra i genitori, la scelta spettava proprio al giudice e non ai genitori, sulla base del preminente interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata, il che poteva comportare anche l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psichica e lo sviluppo. La scelta del giudice doveva essere indirizzata non da personali convinzioni ma esclusivamente dal criterio-guida dell'interesse della minore, con necessità di verificare quale fosse l'impegno richiesto dall'iscrizione all'ora di religione (in rapporto alla programmazione scolastica specifica della scuola primaria, pubblica, frequentata) e quali fossero i bisogni della minore, non sulla base di pregresse scelte riguardanti la sorella maggiore, ma in rapporto all'interesse della piccola ad avere una continuità socio-ambientale nel campo scolastico, in cui si svolge, per la gran parte del tempo quotidiano, la sua sfera sociale ed educativa. 3.3. E, al riguardo, in punto di ascolto della minore, la Corte d'appello ha osservato che la stessa per la giovane età (sei anni all'epoca, essendo nata nel giugno 2015) non era ancora in grado di esprimere una posizione autonoma e quindi non disponeva della necessaria capacità di discernimento e che comunque l'ascolto diretto l'avrebbe "inutilmente" coinvolta nella lite tra i genitori, con conseguente turbamento. Ora, la capacità discernimento non è una nozione fissa ed è tendenzialmente ricollegata all'acquisizione di competenze intellettuali e concettuali che aiutino il minore a riconoscere e valutare razionalmente i dati provenienti al di fuori della propria dimensione personale. La stessa è dunque considerata sussistente in tutte le ipotesi in cui il minore sia in grado di cogliere dati, informazioni e stimoli provenienti dall'esterno, riguardanti la propria sfera esistenziale ed elaborarli secondo il proprio personale sentire, formandosi un proprio convincimento riguardo ad essi, le sue esigenze e i suoi bisogni. Il limite individuato dalla legge di dodici anni è chiaramente soltanto tendenziale, come dato che rispecchia l'id quod plerumque accidit in base alle conoscenze acquisite dalle scienze pedagogiche e dell'evoluzione, ma che ben può essere oggetto di differente valutazione anche per minori di età inferiore. L'audizione è necessaria in tutte le ipotesi in cui il confronto con il minore può offrire al giudice idonei elementi per meglio comprendere quali siano i provvedimenti più opportuni nel suo interesse. La disciplina vigente richiede che sul mancato ascolto del minore infradodicenne che il giudice provveda con specifica motivazione. Questa Corte (Cass. 1474-2021) ha affermato che "in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda". Da rilevare che, il nuovo art. 473 bis.4 c.p.c., introdotto con il D.Lgs. n. 149-2022 (operante per i procedimenti instaurati dopo il 28/2/2023), ha apportato miglioramenti nella disciplina in senso di maggiore chiarezza, tipizzando i casi di esclusione motivata dell'audizione, nel comma 2 dell'art. 473-bis c.p.c. (1) l'ascolto è contrasto con l'interesse del minore; 2) l'ascolto è manifestamente superfluo; 3) sussiste una ipotesi di impossibilità fisica o psichica del minore; 4) il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato), mentre il comma 3, introduce, poi, una disposizione ad hoc per le ipotesi di accordo dei genitori, stabilendo che in questi casi, "il giudice procede all'ascolto soltanto se necessario", con l'obiettivo di tutelare l'interesse del minore a non essere ulteriormente esposto a possibili pregiudizi derivanti dal rinnovato coinvolgimento emotivo nelle questioni relative alla rottura del nucleo familiare, qualora il giudice prenda atto dell'accordo tra i genitori e ritenga non indispensabile procedere all'ascolto. La Corte d'appello ha ritenuto non capace di discernimento la minore di anni sei, in rapporto alla questione controversa, la scelta di frequentare o meno nella scuola elementare l'ora di religione, rilevando la possibile e verosimile ragione di turbamento della stessa derivante dall'audizione su problematica educativa che divideva i genitori. Inoltre, la Corte d'appello ha rilevato che il padre, non affermando che la bimba pregasse o fosse solita frequentare la messa o associazioni religiose, si limitava a sostenere "che la figlia di sei anni "desidera ardentemente coltivare" l'insegnamento della religione", senza spiegare su quali basi poggiasse tale personale convinzione. Ma, nella specie, era comunque necessario procedere ad un'osservazione della minore, proprio al fine di meglio individuare "l'inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli", cui si richiama l'art. 337 ter c.c., eventualmente attraverso anche l'intervento di consulente psicologico, al fine di meglio comprendere quali fossero le effettive esigenze della bambina: ad es., se le mancava la frequentazione dell'ora di religione insieme alla classe (che Ella aveva inizialmente avviato, sulla base della decisione del giudice di primo grado) e cosa Ella facesse nel (e come vivesse il) tempo in cui non era impegnata in tale attività scolastica. 3.3. La Corte d'appello ha ritenuto che l'accoglimento della richiesta della madre fosse più rispondente all'interesse concreto della minore, avuto riguardo essenzialmente al suo passato, non provenendo L. da una famiglia effettivamente praticante la religione cattolica, con conseguente insussistenza del rischio di trasmissione di messaggi contraddittori educativi, ed anche al trattamento già assunto nei riguardi della sorella maggiore M., aggiungendo che la scelta attuale non risultava idonea a condizionare le scelte future che L. nel momento dell'adolescenza sarà in grado autonomamente di maturare, "eventualmente anche grazie agli insegnamenti paterni". Tale decisione non tiene, tuttavia, conto, oltre di quanto già espresso nei pregressi paragrafi, pienamente della storia di L., avendo la piccola (battezzata alla nascita) frequentato già per tre anni una scuola d'infanzia che comprendeva l'insegnamento anche della religione cattolica. Inoltre, la Corte territoriale mostra di ignorare quello che è lo statuto pedagogico della c.d, "ora di religione", sempre più orientato non già all'adesione ad un credo religioso specifico ma al confronto con il momento spirituale della religiosità, al punto che qualcuno, al riguardo, parla dell'"ora delle religioni". Del resto, la crescita del multiculturalismo nelle scuole spinge proprio nella direzione di un esame complessivo del fenomeno religioso, senza particolari gerarchie, alla comune ricerca di premesse per una dimensione spirituale da coltivare nei modi che matureranno, singolarmente. 3. Per tutto quanto sopra esposto, va accolto il ricorso e il decreto impugnato va cassato, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
19-03-2023 07:34
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