Lecito assumere solo il cognome materno se il padre è assente ed anaffettivo
Cons. Stato, sent., 19 settembre 2023, n. 8422
Presidente Corradino – Estensore Santoleri
Fatto e diritto
1. - Con ricorso di primo grado, proposto dinanzi al TAR Toscana, la ricorrente ha impugnato il decreto della Prefettura di Prato del 22 maggio 2018, con cui è stata respinta la sua istanza diretta ad ottenere il cambio del cognome da "-omissis-" (cognome paterno) a "-omissis-" (cognome materno).
Nell'istanza, la ricorrente aveva motivato tale richiesta sostenendo che il padre, dopo la separazione ed il divorzio dalla madre, non si sarebbe mai preoccupato del suo sostentamento, né avrebbe avuto interesse ad instaurare con lei un rapporto di tipo affettivo, quale dovrebbe essere quello tra genitore e figlia; il padre avrebbe tenuto sistematicamente, nei suoi confronti, un atteggiamento anaffettivo ed arrogante in occasione di incontri casuali verificatisi nel tempo, negandole perfino il saluto; la ricorrente aveva quindi sottolineato che la decisione di assumere il cognome della madre sarebbe maturata da tempo e si sarebbe consolidata negli anni, divenendo "ponderata e certa", "per onorare l'impegno e la forza con cui la figura materna ha saputo compensare un vuoto e una ferita che avrebbero potuto causare conseguenze assai più dannose e cicatrici più profonde sulla mia persona e dentro di me".
L'Amministrazione intimata, in sede procedimentale, aveva richiesto alla ricorrente di fornire ulteriori argomentazioni e documenti a sostegno della richiesta; la ricorrente aveva prodotto una propria nota ed una dichiarazione della madre a supporto delle ragioni indicate nell'istanza; la Prefettura di Prato, dopo aver esaminato quanto prodotto dall'interessata in sede procedimentale, aveva rigettato la richiesta sulla base della seguente motivazione:
- "il nome e il cognome sono elementi fondanti dell'identità personale e (…) le modalità di attribuzione degli stessi sono dettate in maniera esplicita e dettagliata dal codice civile e dall'ordinamento dello stato civile;
- "la modificazione del nome e del cognome rivestono carattere oggettivamente rilevanti e può essere ammessa solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata e pregnante documentazione e da solide e significative motivazioni;"
- per tali ragioni ha ritenuto che l'istanza della ricorrente, ribadita anche con le osservazioni trasmesse, non rientrasse nella previsione legislativa e che, di conseguenza, non fosse accoglibile.
2. - Con il ricorso di primo grado la ricorrente aveva lamentato che:
- in base all'art. 89 del d.P.R. 30 novembre 2000, n. 396, il cambiamento del cognome non avrebbe carattere eccezionale e potrebbe essere richiesto anche per altre ragioni oltre a quelle ivi indicate a titolo esemplificativo;
- l'Amministrazione avrebbe dovuto indicare le ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento della sua istanza, che nel caso di specie, nel provvedimento non sarebbero state esternate, sicché il provvedimento impugnato sarebbe carente nella motivazione;
- inoltre, non vi sarebbe corrispondenza tra il contenuto del provvedimento impugnato e quanto rappresentato nel preavviso di diniego.
2.1 - L'Amministrazione resistente si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, chiedendone il rigetto.
3. - Con sentenza -omissis- del 26 febbraio 2019 il TAR ha accolto il ricorso ritenendo il provvedimento impugnato carente nella motivazione.
4. - Avverso tale decisione ha proposto appello l'Amministrazione chiedendone la riforma, previa sospensione.
4.1 - Con ordinanza n. -omissis- l'istanza cautelare è stata respinta.
5. - All'udienza pubblica del 13 luglio 2023 l'appello è stato trattenuto in decisione.
6. - L'appello è infondato e va, dunque, respinto.
7. - Nell'atto di appello l'Amministrazione ha innanzitutto ricordato che il diritto al nome (da intendersi comprensivo del prenome e del cognome) è un diritto fondamentale ed assoluto della persona, la cui funzione è quella di radicare e collegare l'individuo con la propria comunità familiare di appartenenza; tale diritto trova la sua copertura costituzionale nell'art. 2 Cost., come diritto all'identità personale inviolabile, nell'art. 8 della CEDU e nell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali UE; ha quindi sottolineato che il diritto del singolo deve fronteggiarsi con l'esigenza pubblicistica alla stabilità e alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale, e quindi, alla certezza degli atti e dei rapporti giuridici.
Ha quindi richiamato l'art. 6 c.c. secondo cui "non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità di legge indicati".
L'appellante ha pertanto sottolineato che non sussiste un "diritto soggettivo" al cambiamento del nome, ma semmai sussiste una posizione di interesse legittimo: l'Amministrazione, quando riceve l'istanza di cambio del nome deve verificare se sussistono ragioni meritevoli, se non ostino ragioni di pubblico interesse al mutamento, se la richiesta di cambiamento si fondi su una documentazione idonea a sorreggere la pretesa del richiedente.
In altre parole, l'Amministrazione deve stabilire – nell'esercizio del potere discrezionale che le compete -, se l'interesse dell'istante (rappresentato e documentato da elementi probatori nella richiesta) possa ritenersi prevalente sull'interesse pubblico alla certezza e stabilità dei rapporti giuridici.
L'appellante ha quindi sottolineato che – nel caso di specie – la richiesta avanzata dalla appellata non sarebbe stata corredata da adeguata documentazione probatoria, non essendo stati prodotti documenti giudiziari avviati nei confronti del padre per il mancato mantenimento, né fornite prove concrete in merito a quanto indicato nella richiesta di cambio di cognome, in relazione all'asserito inesistente, o quantomeno difficile, rapporto con il padre.
L'Amministrazione ha pertanto concluso chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.
8. - Prima di procedere alla disamina della fattispecie concreta è opportuno svolgere alcune considerazioni preliminari.
L'art. 89 del d.P.R. n. 396/2000, dispone che:
"1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.
2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere.
3. In nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza".
Da tale disposizione si evince la correttezza dei principi esposti dall'Amministrazione nella parte introduttiva dell'atto di appello: la valutazione del Prefetto circa l'istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l'interesse dell'istante (da circostanziare esprimendo le "ragioni a fondamento della richiesta"), con l'interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale.
A tale fine, secondo la circolare del Ministero dell'Interno n. 14 del 21 maggio 2012, è fondamentale il giudizio di ponderazione del Prefetto medesimo, accompagnato da una motivazione che dia conto del processo argomentativo alla base di ciascuna decisione, valutati anche gli interessi di eventuali controinteressati.
8.1 - Condivisibilmente, nella suddetta circolare, viene previsto il contraddittorio con la persona controinteressata (nel caso di specie, il padre), affinché possa rappresentare eventuali ragioni a sostegno del mantenimento dello status quo, che devono essere valutate e ponderate dal Prefetto prima di adottare il provvedimento decisorio.
Nel caso di specie, il consenso della madre, risulta, invece, dalla dichiarazione resa in sede procedimentale e versata in atti.
8.2 - In definitiva, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome abbia natura di interesse legittimo, e che la P.A. disponga del potere discrezionale in merito all'accoglimento o meno dell'istanza (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 26-09-2019, n. 6462), tenuto conto che – a fronte dell'interesse soggettivo della persona, spesso di carattere "morale" – esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua 'stabile identificazione nel corso del tempo' (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; Sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752).
È stato quindi ritenuto dalla giurisprudenza che l'art. 89 cit. non consente al richiedente di 'scegliere' il proprio nome: altrimenti opinando, vi sarebbe un serio vulnus a tale interesse pubblico, che riguarda tutti gli aspetti della vita degli individui, nei loro molteplici rapporti (anche informatici) con i soggetti pubblici e privati.
9. - Venendo alla fattispecie in esame, occorre innanzitutto considerare che la richiedente ha chiesto di cambiare il cognome paterno con quello materno, per le ragioni in precedenza esposte.
È del tutto evidente che, al momento della nascita, alla ricorrente è stato attribuito il cognome del padre, secondo quanto previsto dalla legge al momento vigente.
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2022 è mutato il regime normativo relativo all'attribuzione del cognome ai figli: la Corte ha stabilito che, in via generale, il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell'ordine concordato dagli stessi, fatto comunque salvo il loro accordo di trasmetterne uno soltanto.
Nella sentenza n. 131/2022, la Corte costituzionale ha precisato che la nuova disciplina riguarda "il momento attributivo del cognome del figlio, sicché la presente sentenza, dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, troverà applicazione alle ipotesi in cui l'attribuzione del cognome non sia ancora avvenuta, comprese quelle in cui sia pendente un procedimento giurisdizionale finalizzato a tale scopo".
La Corte costituzionale ha quindi aggiunto che "eventuali richieste di modifica del cognome, salvo specifici interventi del legislatore, non potranno, dunque, che seguire la procedura regolata dall'art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, come sostituito dall'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 54 del 2012".
9.1 - La presente controversia non ricade, ovviamente, nella disciplina attualmente vigente dopo la sentenza della Corte costituzionale, nondimeno – ritiene il Collegio – che taluni principi espressi dalla Corte in tale decisione (ed in quelle che l'hanno preceduta), possano assumere rilevanza nell'esercizio del potere discrezionale di cui dispone il Prefetto in sede di decisione sulle richieste di mutamento del cognome in ambito familiare.
Occorre partire, innanzitutto, dal cambio di prospettiva che la Corte Costituzionale ha abbracciato in ordine alla portata e alla valenza del cognome dell'individuo, anche in ragione dell'influenza della Corte EDU.
Da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l'appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare (Corte Cost., ordinanze n. 176/1988 e n. 586/1988), si è passati ad un processo di valorizzazione del diritto all'identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art. 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell'identità del singolo (Corte Cost. n. 286/2016).
Invero, la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 61/2006, su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale, non più ritenuta coerente con i principi dell'ordinamento.
Tale sistema è stato abbandonato dalla Corte Costituzionale, anche a seguito della condanna dello Stato italiano da parte della Corte EDU (Cusan-Fazzo contro Italia, del 7 gennaio 2014), dapprima, con la citata pronuncia n. 286/2016 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che non consentono ai coniugi di trasmettere, di comune accordo, il cognome materno e, più di recente, con la sentenza n. 131/2022 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati "dentro e fuori dal matrimonio" e a quelli adottivi (cfr. sul punto TAR Lazio, Sez. I Ter, 1 luglio 2022 n. 8964).
9.2 - Nella successiva sentenza n. 135 del 10 maggio – 4 luglio 2023, la Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 1, del codice civile, che imponeva nel caso di adozione di persona maggiorenne, l'obbligatoria anteposizione del cognome dell'adottante a quello dell'adottato, ha ripercorso la propria giurisprudenza sul diritto all'identità personale e sul diritto al nome, dichiarando l'illegittimità dell'irragionevole compressione del diritto inviolabile all'identità personale. Ha richiamato, in particolare, la sentenza n. 286 del 2016, secondo cui "il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all'identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini realizzazione di quest'ultima".
È emersa, quindi, una particolare sensibilità sul tema del "cognome", come testimonianza del legame del figlio con entrambi i suoi genitori, o, se si vuole, con ciascuno di essi, in quanto l'assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell'identità del figlio.
10. - Nel caso di specie, la ricorrente in primo grado ha motivato la sua richiesta di attribuzione del cognome materno, in luogo di quello paterno che le è stato assegnato, ope legis, alla nascita, in quanto non rispondente alla sua identità di figlia.
Nella richiesta ha ripercorso la sua vicenda personale, ha descritto la sofferenza derivante dall'incuria e dall'assenza del padre; il disagio derivante dal suo cognome, ritenuto ad essa estraneo e per di più ridicolo, oggetto di dileggio in ambito scolastico; il disinteresse del padre nei suoi confronti, al punto di privarla perfino del saluto.
Le circostanze dedotte nell'istanza, ribadite nella nota del 4 maggio 2018, sono state confermate dalla madre sig.ra -omissis- -omissis-, nella nota del 3 maggio 2018, nella quale ha rappresentato l'esistenza di un pregresso contenzioso civile e penale nei confronti dell'ex marito, del quale non aveva conservato la documentazione, assai risalente nel tempo.
La sig.ra -omissis- ha anche chiarito di non aver più intrapreso azioni legali nei confronti dell'ex coniuge, in quanto risultava nullatenente; ha, quindi, aggiunto a sostegno della richiesta della ricorrente:"mia figlia ha solo avuto presente la sua costante assenza, come potrei biasimare il fatto che le sia sempre pesato il suo cognome?".
11. - Con il provvedimento impugnato l'istanza della ricorrente è stata respinta: come correttamente rilevato dal TAR nella sentenza impugnata, "il diniego viene motivato apoditticamente con la asserita mancanza di 'situazioni oggettivamente rilevanti', ' pregnante documentazione' e 'significative motivazioni' senza rappresentare specifiche esigenze di interesse pubblico ostative all'accoglimento della richiesta"; per tale ragione il giudice di primo grado ha ritenuto l'atto carente nella motivazione, disponendone l'annullamento.
Nell'atto di appello, l'Amministrazione – dopo aver ribadito il principio dell'eccezionalità del cambio di cognome e l'esigenza di una "valida" giustificazione, ha sottolineato la mancanza di elementi probatori a fondamento della richiesta, sostenendo che la mancata produzione di documentazione idonea da parte della ricorrente ha fatto sì che l'Amministrazione si sia trovata nell'impossibilità di accogliere l'istanza.
11.1 - La censura dell'appellante non può essere condivisa, atteso che le motivazioni addotte dalla richiedente sono indicative di una palese divergenza tra la sua identità personale ed il cognome che le è stato attribuito, che costituisce espressione di un vincolo familiare con il padre, che nella realtà non vi è stato; dalla lettura della documentazione prodotta in giudizio emerge in modo palese il solo legame della ricorrente con la madre, unica figura di riferimento che le ha consentito di formarsi un'identità personale, della quale ha chiesto il riconoscimento formale attraverso l'acquisizione del relativo cognome.
Il cambio di cognome, in pratica, costituisce, per la richiedente, lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale.
11.2 - Se si tiene conto dei principi espressi dalla Corte Costituzionale in tema di identità personale e attribuzione del nome, ci si avvede che si tratta di ragioni serie e ponderate, che avrebbero meritato un maggior approfondimento da parte dell'Amministrazione, specie se si considera che – come ha rettamente rilevato il TAR – non sono state evidenziate "specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento dell'istanza".
11.3 - Tali non possono essere considerate quelle dedotte dall'Amministrazione nell'atto di appello, in quanto la richiedente ha prodotto ciò di cui disponeva: la madre ha precisato di non aver conservato atti processuali risalenti a tanto tempo fa; confermando, per il resto. che il padre non si è mai occupato della figlia, né dal punto di vista materiale, né di quello affettivo.
Tenuto conto dell'inesistenza di atti processuali, la Prefettura – seguendo la circolare ministeriale sopra richiamata – avrebbe potuto preavvertire il controinteressato, acquisendo informazioni al riguardo.
12. - Ritiene dunque il Collegio che il provvedimento impugnato in primo grado sia affetto da difetto di motivazione e di istruttoria e che, pertanto, sia meritevole di annullamento, così come deciso con la sentenza di primo grado.
13. - L'appello va, pertanto, respinto.
14. - Le spese di lite possono tuttavia compensarsi tra le parti, in considerazione della particolarità della fattispecie in esame.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i nomi della parte appellata e delle persone fisiche riportate in motivazione.
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25-09-2023 22:14
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