Il TFR spetta al coniuge divorziato? Il Tribunale di Palermo fa il punto
Tribunale Palermo Sez. I, Sent., 30/03/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PALERMO
SEZIONE I CIVILE
riunito in camera di consiglio e composto dai sigg.ri Magistrati
dr. Maura Cannella - Presidente
dr. Michele Guarnotta - Giudice (est.)
dr. Sara Marino - Giudice
nella causa iscritta al n. 4261 del Ruolo Generale degli Affari di volontaria giurisdizione dell'anno 2020 vertente
TRA
(...) (Avv. PALMIGIANO ALESSANDRO);
- ricorrente -
CONTRO
(...) (Avv.(...);
-resistente-
Letti gli atti e sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 04/02/2022;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, (...) ha chiesto accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere il 40 % del Tratta-mento di fine rapporto maturato dal resistente e condannare il medesimo resistente a corrisponderle l'importo pari ad Euro 100.000,00 o il maggiore importo che risulterà dovuto all'esito della esatta quantificazione, quale 40% del TFR maturato dal resistente stesso in ragione dei 33 anni di matrimonio, oltre rivalutazione ed interessi.
(...) ha, altresì, dedotto che con ricorso congiunto del 17.4.2016 le parti hanno chiesto a questo Tribunale di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio stabilendo a carico dell'odierno resistente l'obbligo di corrisponderle a titolo di assegno divorzile l'importo di Euro 350,00 e che con sentenza n. 6802/2016 del 2.12.2016 il Tribunale ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio ratificando il suddetto obbligo di pagamento dell'assegno divorzile.
Ha dedotto, ancora, la ricorrente che - avendo appreso del pensionamento resistente - con nota del 9.7.201 ha invitato quest'ultimo a versare la quota di TFR alla stessa spettante in ragione del disposto di cui all'art. 12 bis della legge sul divorzio, e che tuttavia il resistente medesimo le ha risposto che nulla le era dovuto asserendo che tra le parti fosse stata conclusa una transazione "tombale".
Nel costituirsi in giudizio, (...) ha contestato la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda, rilevando come le parti, alla pag. 5, punto 7, del ricorso congiunto per la pronuncia del divorzio, dopo aver definito i loro rapporti economici, hanno pattuito espressamente " ... di non avere più nulla a pretendere l'una dall'altra per crediti di qualunque natura, in atto o nascenti, collegati a rapporti giuridici, anche lavorativi, esistenti ed esistiti tra loro".
Ed ancora, il resistente ha eccepito l'inammissibilità delle domande, deducendo come il resistente non abbia percepito il trattamento di fine rapporto, e rilevando come l'art. 12 bis della L. 1 dicembre 1970, n. 898 dispone che: "Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio."
Ha dedotto, pertanto, il resistente che in base all'interpretazione letterale della disposizione di legge in esame, il diritto dell'ex coniuge, titolare di assegno di divorzio, ad ottenere una percentuale dell'indennità "percepita" dall'altro coniuge "all'atto della cessazione del rapporto di lavoro", diviene attuale - ed è quindi azionabile - nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro dell'ex coniuge, a questi venga corrisposto il relativo trattamento, e che nel caso di specie, tale condizione non si è verificata perché parte resistente, pur avendo cessato il rapporto di lavoro, non ha ancora percepito l'indennità, al netto delle anticipazioni corrisposte in corso di matrimonio.
Ha dedotto, infine, che quanto alla condizione negativa del mancato passaggio a nuove nozze del coniuge titolare dell'assegno di divorzio, questa andasse accertata nel momento in cui il diritto si attualizzerà, a seguito dell'effettiva corresponsione da parte della P.A., diventando in tal modo agibile.
Da ultimo, il resistente ha contestato la domanda avversaria anche con specifico riferimento al quantum della quota, poiché eccessiva ed avulsa dal computo di eventuali anticipazioni corrisposte a parte resistente in costanza di matrimonio.
All'udienza del 4 febbraio 2022 la causa è stata posta in riserva.
La domanda proposta dall'attrice è fondata e va, sulla scorta delle considerazioni che seguono, accolta.
Va rilevato che ai sensi dell'art. 12 bis della L. n. 898 del 1970: "Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio."
Dall'esame della predetta normativa si ricava che il diritto di credito del coniuge divorziato sorge unicamente dopo la cessazione del rapporto di lavoro dell'altro coniuge, a condizione che sussistano le ulteriori condizioni indicate dalla norma, condizioni da accertare in concreto solo coevamente alla maturazione del diritto al trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge.
Il sorgere del diritto alla corresponsione della quota trattamento di fine rapporto presuppone, dunque, che all'atto della cessazione del rapporto di lavoro dell'obbligato quest'ultimo sia ancora tenuto alla corresponsione dell'assegno di divorzio, e che il rapporto di lavoro sia coinciso temporalmente anche solo per un certo periodo con il rapporto di coniugio.
Nessun rilievo può, dunque, avere il fatto che l'indennità di fine rapporto non sia stata percepita dall'avente diritto poiché, invece, il diritto del coniuge alla percezione della quota prevista dal citato art. 12 bis, sorge quando l'indennità sia matura al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, con conseguente insussistenza del diritto unicamente se l'indennità matura anteriormente a tale momento cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 12175 del 06/06/2011 (Rv. 618384 - 01)
In altre parole, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "ratio" della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all'assegno divorzile, con la conseguenza che al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno è riconnessa l'attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. (cfr. Cass. Civ sopra menzionata).
In altre parole, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge, ossia la titolarità dell'assegno divorzile e il mancato passaggio a nuove nozze, va verificata al momento in cui matura per l'altro ex coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso (cfr. Cass. Civ. sentenza n. 2466 del 10/02/2004), dato che il diritto ad ottenere la quota dell'indennità di fine rapporto spettante all'ex coniuge diviene attuale - ed è, quindi, azionabile in giudizio - nel momento in cui per l'ex coniuge sorge, con la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto al relativo trattamento, sempre che il richiedente sia, allora, titolare di assegno di divorzio e non sia passato a nuove nozze cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 18367 del 23/08/2006 (Rv. 591539 - 01).
Al riguardo il Collegio ritiene di dover condividere l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale "ai fini del riconoscimento della quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12 bis L. 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dall'art. 16 L. 6 marzo 1987, n. 74), all'ex coniuge, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge va verificata al momento in cui matura per l'altro ex coniuge il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso, con la conseguenza che il diritto ad una quota di esso non sorge, ad esempio, a favore dell'ex coniuge passato a nuove nozze o che non sia più titolare di assegno di divorzio," (in tal senso Cass., sez. I, 10 febbraio 2004, n. 2466).
Nessun rilievo possono assumere, dunque, nell'ambito del presente giudizio le deduzioni formulate dalla parte resistente, tendenti a dimostrare la insussistenza dei presupposti per il riconoscimento in favore della ricorrente del diritto all'assegno di divorzio, giacché il diritto di parte ricorrente a percepire la quota dell'indennità di fine rapporto è sorto da momento in cui è per lui maturato il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto stesso alla presenza delle condizioni della titolarità dell'assegno divorzile e del mancato passaggio a nuove nozze.
Nemmeno può trovare accoglimento l'eccezione di parte resistente circa l'avvenuta definizione "tombale" di ogni pretesa creditoria tra le parli, ivi compresa la quota del trattamento di fine rapporto oggetto del ricorso.
A ben vedere, nel ricorso congiunto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, le odierne parti hanno previsto un apposito paragrafo, il n. 7, ove hanno indicato una serie di pretese creditorie tra di esse pendenti, specificatamente indicate. Si riporta l'intero paragrafo:
Le parti, dichiarano di rinunciare reciprocamente ad ogni restituzione, per i crediti relativi alla posizione della sig.ra (...) nei confronti del (...) e per i crediti di quest'ultimo nei confronti della moglie per l'assegno di mantenimento corrisposto in favore del figlio, per come quantificata in sentenza; tale rinunzia viene fatta anche nei confronti del figlio. Con la corretta esecuzione dell'accordo nessuna restituzione sarà quindi dovuta in forza della sentenza n. 5736/2015 del Tribunale di Palermo.
Dichiarano altresì, di non avere più nulla a pretendere luna dall'atra per crediti di qualunque natura, in atto o nascenti, collegati a rapporti giuridici, anche lavorativi, esistenti ed esistiti tra loro. Il sig. (...) dichiara di rinunziare ad ogni pretesa economica sulle spese di progettazione, costruzione e direzione dei lavori dell'immobile, sito in C. del G., censito al Catasto al foglio part.e pertanto dichiara di rinunziare ad un eventuale giudizio avente ad oggetto il rimborso del 50% di detti costi di progettazione, costruzione e direzione dei lavori e quant'altro correlato a tale attività.
Orbene, le parti hanno esplicitamente regolato alcuni specifici rapporti tra di loro esistenti, oggetto di rinuncia, e poi hanno utilizzato una espressione generale, sintetica, di stile, "Dichiarano altresì di non avere più nulla a pretendere luna dall'atra per crediti di qualunque natura, in atto o nascenti, collegati a rapporti giuridici, anche lavorativi, esistenti, ed esistiti tra loro", che - secondo il canone di ermeneutica contenuto nell'art. 1364 cod. civ. ossia: "per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare" - non comprende il diritto ad una quota parte del trattamento di fine rapporto poiché il ricorso congiunto, ossia l'accordo in quel momento da loro raggiunto, non ne ha fatto alcun cenno, dato che peraltro al momento della data della sottoscrizione del ricorso congiunto il diritto alla percezione del TFR da parte del resistente non era nato essendo ancora in corso il suo rapporto di lavoro, né il riferimento può trarsi dalla locuzione, riferita ai crediti, "in atto o nascenti', anch'essa generica, dato che peraltro la eventuale rinuncia a un diritto di notevole rilevanza economica come quello in parola sarebbe avvenuta senza alcuna contropartita in favore della ricorrente, e ciò si pone in contrasto anche con il canone ermeneutico dell'art. 1371 cod. civ. che prevede l'equo contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.
Ciò precisato, va ora rilevato che nel caso di specie, è documentalmente provato che tra le parti sia intervenuta, una sentenza di divorzio congiunto n. 6802/2016 pubblicata il 21/12/2016 con la quale a (...) è stato riconosciuto un assegno ex art. 5 L. n. 898 del 1970; non risulta, poi, che (...) sia passata a nuove nozze.
Risulta, invece, che (...) dopo la sentenza di divorzio, abbia avuto liquidata la somma di 72.056,11 euro a titolo di T.F.R., distinta in due rate (una di 40.512,70 e l'altra di 31.543,41) da parte del Fondo P.S. della Regione Siciliana - Servizio Buona Uscita, con indicazione che gli importi sarebbero stati accreditati sul conto corrente indicato dal resistente (cfr. nota all. 1 della produzione del ricorrente in data 29.09.2021, prospetto di calcolo dell'indennità di buona uscita).
Sussistono, quindi, i presupposti per ritenere fondata, sotto il profilo dell'an debeatur, la pretesa della parte ricorrente.
Per quanto riguarda il quantum debeatur, va rilevato che il matrimonio tra (...) e (...) stato contratto in data 20 luglio 1983, e che il rapporto di lavoro tra il (...) e la Regione Siciliana è iniziato il 21.09.1993 ed è proseguito sino al 16.06.2018, successivamente alla fine del medesimo (i cui effetti civili sono cessati con sentenza dei 2.21 dicembre 2016).
Al riguardo va precisato che la giurisprudenza di legittimità ha così statuito: "la disposizione dell'art. 12 bis L. 1 dicembre 1970, n. 898 - che regola il diritto del coniuge titolare di assegno di divorzio (e non passato a nuove nozze) di conseguire una quota del trattamento di fine rapporto spettante all'altro coniuge - individua come parametro per la determinazione di detta percentuale la durata del matrimonio e non già quella dell'effettiva convivenza, valorizzando il contributo che il coniuge più debole normalmente continua a fornire durante il periodo di separazione, soprattutto nel caso in cui sia affidatario di figli minori, e nel contempo ancorando il periodo di riferimento ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad uno incerto e precario come la cessazione della convivenza." (in tal senso cfr. Cass., sez. I, 25 giugno 2003, n. 10075 e Cass. zez. I, 7 marzo 2006, n. 4867).
Ciò posto, in base al citato art. 12 bis della L. n. 898 del 1970, spetta alla parte un'indennità pari 40% del T.F.R. maturato in favore dell'ex coniuge divorziato con riferimento agli anni in cui il matrimonio è coinciso con il rapporto di lavoro.
L'espressa dicitura della norma, riferita agli anni di coincidenza del matrimonio con il rapporto di lavoro, induce, peraltro, a ritenere che il legislatore abbia voluto esplicitamente indicare come base di calcolo del credito spettante al coniuge divorziato l'annualità nella sua interezza, anche in considerazione del sistema di calcolo del trattamento di fine rapporto.
Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, spetta alla ricorrente il 40% del T.F.R. maturato dal resistente dall'inizio del suo rapporto di lavoro dal settembre 1993 al dicembre 2016, dunque per 23 anni.
Il T.F.R. netto maturato in tale periodo, secondo le informazioni al riguardo fornite dalla Regione Siciliana è pari ad Euro 23.675,57 così calcolato: considerato l'importo di 72.056,11 euro del TFR al netto delle anticipazioni, che non spettano alla ricorrente poiché entrate definitivamente nel patrimonio personale del resistente prima della cessazione del rapporto di lavoro (in tal senso cfr. Cass. Civ. sentenza 29/10/2013 n. 24421), lo stesso va suddiviso per le 28 annualità computabili del rapporto di lavoro, ottenendo così la cifra di 2.573,43 la quale va moltiplicata per 23 (gli anni del matrimonio coincisi con il rapporto di lavoro) così ottenendo la somma di 59.188,94 il cui 40% corrisponde alla somma sopra indicata di 23.675,57 euro netti.
Tale somma di denaro dovrà essere corrisposta da (...) oltre interessi di pieno diritto (art. 1282 c.c.) al tasso legale dal momento della percezione, da parte del resistente, del T.F.R. fino al saldo (dal momento della percezione, infatti, il credito è esigibile, mentre il credito medesimo è liquido, nel senso che è accertabile in base ad operazioni di mero conteggio aritmetico).
Avuto riguardo all'accoglimento parziale della domanda e alle complessive difese delle parti sussistono gravi motivi per dichiarare la compensazione integrale delle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale, uditi i procuratori delle parti costituite; ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa; definitivamente pronunciando;
in parziale accoglimento della domanda proposta da (...), accerta il diritto di quest'ultima a percepire la percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita da (...), come calcolata in parte motiva, e per l'effetto condanna quest'ultimo al pagamento in favore di (...) della complessiva somma di Euro 23.675,57 euro, oltre interessi al tasso legale dal momento della percezione, da parte del resistente, del T.F.R. fino al saldo;
dichiara la integrale compensazione delle spese.
Così deciso nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile del Tribunale di Palermo il 30 marzo 2022.
Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2022.
21-06-2023 16:43
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